Gaza, presidente di Music for Peace respinto al Cairo e rimpatriato: bloccata la missione umanitaria
Stefano Rebora era diretto al valico di Rafah per scortare all'interno della Striscia gli aiuti umanitari partiti da Genova
Genova. Bloccata sul nascere la missione umanitaria di Music for Peace a Gaza, iniziata nei giorni scorsi ma terminata poche ore dopo nell’aeroporto del Cairo, in Egitto. Il presidente della organizzazione genovese, Stefano Rebora, diretto al valico di Rafah per scortare gli aiuti umanitari raccolti in queste settimane, è stato infatti fermato in aeroporto appena sbarcato, portato nelle stanze di controllo, dove è stato interrogato e fatto aspettare ore in attesa di accertamenti da parte delle autorità egiziane.
Le operazioni di controllo sono terminate decine di minuti dopo, con il respingimento di fatto dell’attivista, rientrato forzatamente in Italia il 27 marzo: “Preclusa la possibilità di svolgere l’attività per cui è preposta e per cui, soprattutto in una situazione di emergenza di questa portata, dovrebbe ricevere supporto da ogni istituzione”, come si legge nella nota stampa diffusa dalla organizzazione sui canali social.
Un episodio che si aggiunge ad una serie di azioni repressive portate avanti dalle autorità egiziane
in questi anni nei confronti di Rebora, da anni attivo in diverse missioni umanitarie a Gaza come in altri contesti di necessità. A riportarli lo stesso comunicato stampa dell’organizzazione: “Nel 2018 a seguito dell’inizio degli intensi bombardamenti sulla Striscia di Gaza, la squadra di missione di Music for Peace è costretta al rientro. Il presidente Stefano Rebora conduce il team al border di uscita, dopo aver effettuato il coordinamento. Viene respinta l’uscita e posticipata al giorno dopo. La mattina successiva lo staff di Music for Peace si ripresenta la border e dal lato palestinese viene fatto passare. Fermato invece dal lato egiziano, che per le verifiche del caso la Guardia Nazionale invita i cooperanti ad attendere. Dopo 5 ore viene rigettata la richiesta di uscita. Stefano Rebora, in qualità di capo missione, spiega che è necessaria l’uscita immediata per questioni di sicurezza. Da qui nasce un confronto verbale con l’ufficiale in turno il quale, ritenendosi offeso, strappa di mano i passaporti allo staff dichiarando “adesso vi faccio uscire io”. I volontari di Music for Peace sono obbligati ad accodarsi al pullman (che trasporta i palestinesi riusciti ad uscire dal valico) con destinazione Cairo perché i passaporti viaggiano con la polizia. Arrivati nell’aeroporto cairota vengono rinchiusi nelle stanze di accertamento, privi di ogni effetto personale e di documenti. La console italiana Cecilia Bonilla Taviani raggiunge i cooperanti di Music for Peace in aeroporto e riesce attraverso una mediazione a farli uscire dalla stanza. Vengono scortati dalla polizia locale sull’aereo e fatti partire per l’Italia”.Situazione simile si verifica nel 2018 quando questa volta Rebora viene fermato direttamente in aeroporto: “A seguito della ricezione di tutti i permessi per il transito del personale di missione e dei container, Stefano Rebora atterra al Cairo. In uscita viene fermato, messo in stato di fermo e recluso nelle stanze di accertamento. Dopo 8 ore di privazione di qualsiasi diritto personale, l’ambasciatore Giampaolo Cantini giunge in aeroporto, riesce a incontrare Rebora. Nonostante l’intervento dell’Avvocato di Ambasciata viene impedito, per la prima volta, l’ingresso su territorio egiziano al presidente della ong senza fornire motivazione alcuna neppure alla propria Ambasciata. Rebora viene scortato dalla polizia sul primo aereo disponibile per l’Italia”.
Si arriva quindi all’ultimo episodio di due giorni fa. “Il problema fondamentale – evidenzia Rebora – non è tanto il trattamento poco ospitale ricevuto “Se fossi stato un turista? Magari scambiato per un’altra persona? Non avendo determinati contatti e una struttura preparata a fare fronte a un’emergenza di questo tipo, come avrei potuto dare mie notizie? Una volta tolto il cellulare dalle mani sei in balìa di un sistema che mette gravemente a repentaglio la propria sicurezza personale”. Non solo questo risulta essere il problema, Rebora prosegue: “se la situazione del 2014 non fosse stata lasciata precipitare nell’oblio, forse avremmo potuto evitare altri eventi gravissimi”.
Da gennaio scorso l’ong genovese ha lavorato quotidianamente, in stretto contatto con l’Ambasciata che rappresenta l’Italia in Egitto e la ERC (Egyptian Red Crescent), alla preparazione di questo convoglio “fondamentale alla risposta della grave crisi umanitaria in Striscia di Gaza”. Sono state inviate Note Verbali al Ministero degli Esteri egiziano che ha sempre risposto in maniera positiva al transito del personale e dei materiali. Nell’invio delle richieste ufficiali alle Autorità locali sono sempre stati allegati nominativi e documenti dello staff di missione. Conclude così Stefano Rebora: “Se è vero che i problemi sono solo nei miei confronti (comunicano infatti gli egiziani che il respingimento è “Ad personam”) è altrettanto oggettivo che se da una macchina levi il motore, il mezzo rimane fermo”
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