Questo speciale ORE 12 fatto da un operaio di proletari comunisti mette anche insieme testi già usciti sul blog, ma questo è necessario per dare unità a ciò che è ed appare ancora frammentato, ma è parte del percorso dell'unità della classe operaia.
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Oggi vogliamo iniziare questa controinformazione rossoperaia con una lettera sulla situazione delle condizioni disumane lavorative di questi giorni, una lettera di un operaio: “a 50 gradi costretti a lavorare”
“Mi chiamo Oreste , ho 37 anni e lavoro da quasi 16 anni in una fabbrica della provincia di Pisa, settore meccanico. Siamo una trentina di operai, in fabbrica non esiste il sindacato, il sindacato firmatario di contratto si presenta due volte l'anno per il premio di risultato e per fare tessere in cambio di servizi come il caf. La detassazione del premio conviene al datore di lavoro e assai meno a noi, sono briciole al cospetto dei guadagni e dei fatturati aziendali. Da giorni lavoriamo con temperature di quasi 50 gradi, i pochi ventilatori sono insufficienti, solo negli uffici c'è l'aria condizionata Alcuni operai hanno accusato malori, abbiamo anticipato di un'ora l'ingresso ma alle 9 l'aria è già irrespirabile, un caldo incredibile accresciuto dai macchinari. Chi lavora sul piazzale sta quasi sempre al sole a caricare e scaricare i camion, con e senza muletto.
Abbiamo chiesto di ridurre l'orario di lavoro approfittando delle eccedenze orarie accumulate in Giugno ma la proprietà non sente ragione, ci sono richieste continue da evadere, ordini dall'Italia e dall'estero. Un mulettista è andato a casa oggi per un colpo di sole, era svenuto sul piazzale, due operai oggi hanno accusato cali di pressione e hanno perso anche loro i sensi. Non hanno chiamato l'ambulanza ma solo acconsentito di uscire prima con un permesso speciale e senza recuperare le ore mancanti.
In questi anni con i soldi guadagnati avrebbero potuto dotare la fabbrica di aria condizionata, non averlo fatto è stata una decisione scellerata di cui paghiamo le conseguenze. Per tenerci buoni ci hanno promesso una sorta di una tantum di 100 euro netti da riscuotere al termine del mese di Luglio se la percentuale dei presenti sarà pari all'80 per cento degli organici. Ad oggi ci sono 6 colleghi a casa per il caldo che corrispondono a un quinto del personale, poi ci sono due colleghi infortunati e uno con il tumore, 8 assenti su 30 operai e con questi numeri non vedremo manco questi soldi.
Potremmo ricorre alla cassa integrazione o a turni ridotti lavorando magari solo la notte ma in tal caso non raggiungeremmo la produzione prevista in base alla domanda. Siamo senza tutele e disperati, abbiamo chiesto anche di fare sciopero ma regna la paura e purtroppo la rassegnazione, il sindacato ha poi firmato un accordo per scambiare pochi euro con l'aumento dei ritmi produttivi e vuole mantenere la parola data ad ogni costo, ossia sulla nostra pelle.
Oggi ritorniamo a parlare delle fabbriche in particolare delle grandi concentrazioni operaie che sono quelle che mandano avanti l’economia di questo paese come la Stellantis e Acciaierie d’Italia ex-Ilva, in cui sono “contenute tutte le contraddizioni del sistema capitalista, dello scontro tra padroni e classe
operaia, tra classe e Stato del Capitale” (da controinfo del 21/6), e proprio per questo centrali per la ripresa dello scontro di classe generale contro padroni e governo.Ne parliamo perché queste fabbriche sono in movimento rispetto ai piani di ristrutturazione dei padroni nella competizione mondiale, all’azione del governo fascista Meloni e al ruolo dei sindacati confederali che accompagnano il morto e dall’altro alla ripresa degli scioperi dal basso di Pomigliano che riaprono la strada perché una scintilla incendi tutta la prateria.
Una situazione che riprendiamo utilizzando alcuni articoli di approfondimento, perché i concetti contenuti sono utili e devono essere presi a riferimento da tutti gli operai che vogliono lottare, perché indipendentemente se ancora non si lotta nessuno può dire di lavorare bene visto che le condizioni di sfruttamento e condizioni di lavoro e sicurezza sono comuni e non possono che peggiorare all’interno dello scontro/crisi/guerra del sistema imperialista mondiale di cui l’Italia è parte.
Sono dinamiche della lotta di classe che riguardano tutta la classe operaia in quanto la scesa in campo delle fabbrica nella lotta contro padroni è governo è sempre più necessaria a fronte di una condizione che balza anche agli occhi della stampa borghese con dati “ufficiali” di 6 milioni di lavoratori che pur avendo un lavoro sono sotto la soglia di povertà, oltre 3 milioni assunti con contratti precari (aperti dal PD ma con l’ultimo provvedimento della Meloni ancora più facile), per non palare della sicurezza con infortuni e morti in aumento di cui gli ultimi casi quelli per il caldo, in cui emerge che la logica del sistema è sempre quella del profitto a qualsiasi condizione e chissenefrega dei lavoratori, i lavoratori per i padroni il loro governo fascista e il loro stato borghese sono solo e sempre più considerati degli schiavi, dei robot, dei numeri.
Queste sono le condizioni oggettive anche nelle fabbriche che ancora non si muovono o che per il momento come alla Tenaris Dalmine grazie alla congiuntura della guerra con il petrolio stanno macinando record produttivi e di profitti.
“economia di guerra per tenaris +124% di utile netto; mentre per gli operai il fiato e i capi sul collo tutto il giorno, la produzione che ti riprogramma la vita, la salute e la sicurezza attaccate dal profitto, più tubi con meno operai sempre più veloci e più precari.
Tutto questo è frutto anche qui della politica dei padroni con le ristrutturazioni nei reparti e gli accordi sindacali che, come una spada di damocle sulla testa degli operai, stanno portando ad un rapido peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro in cambio di premi produttivi variabili che l’azienda nella trattativa per il rinnovo del contratto aziendale è pronta a mettere in discussione a suo favore legandola ad ulteriori parametri di sfruttamento.
Ma anche qui cova sotto la cenere il bisogno di ribellione per ora con degli scioperi sotto il controllo confederale, e quindi senza prospettiva per gli operai ma che per i temi sollevati (la qualità del pasto mensa, il controllo della salute con nelle mani dell’azienda, la sicurezza con le 2 esplosioni in acciaieria) sono sintomi di questa situazione latente, proprio di recente nel reparto FAS, già teatro di scioperi “spontanei” contro la riorganizzazione della turnistica, vi è stata anche una fermata contro il sistema di comando dispotico di dirigenti.
E’ chiaro che questo esempio ci riporta all’importanza degli scioperi a Pomigliano, degli scioperi dal basso e improvvisi proprio quando nelle fabbriche ogni cosa è regolamentata e perfino gli scioperi sono depotenziati dalle procedure di raffreddamento che ne limitano i riflessi dello sciopero, come gli accordi sindacali alla Dalmine,
Per questo alla Dalmine ci sono stati gli scioperi ma non hanno lasciato il segno a dimostrazione che se gli scioperi non partono dal basso non portano a niente, è quindi della necessità di riprendere scioperi nei reparti decisi dai lavoratori nelle modalità e contenuti fino a risultati.
Su questo è emblematico di quanto sia inutilizzabile e dannosa per i lavoratori la linea collaterale al governo dei sindacati confederali, espressa nello sciopero dei metalmeccanici di fim fiom uilm un "non sciopero per un falso movimento” che non parte dalle condizioni che ci sono nei posti di lavoro per affrontare i reali bisogni dei lavoratori, e quindi la necessità di riprendere a lottare collettivamente nei reparti, visto che i sindacati che lo hanno indetto sono gli stessi che avvallano in fabbrica i piani del padrone di più produzione con meno operai.
Le fabbriche quindi sono al centro, le grandi fabbriche che quando si autorganizzano, lottano e si uniscono, possono diventare esempio, prospettiva, presa di coscienza per l’intera classe operaia, per chi fatica a trovare la via della mobilitazione, per chi a volte spontaneamente resiste come può - come nei giorni scorsi a Mirafiori, con il forte caldo, alle carrozzerie, l’azienda è stata costretta a dichiarare la cassaintegrazione con la motivazione delle batterie, in realtà perché le linee erano ingestibili per l’alta percentuale di assenteismo.
Così lo possono essere per le operaie e gli operaie delle fabbriche come la Galbusera in Valtellina, dove dal 1938 per la prima volta, 400 operaie su 500 hanno scioperato in questi giorni, proprio per le terribili condizioni esistenti nel settore alimentare. Galbusera è la fabbrica più grossa in un territorio agricolo e artigianale, dove il posto di lavoro fino alla pensione, per lungo tempo è stato garanzia dei fedeltà produttiva. Ritmi di lavoro insostenibili e usuranti, forte utilizzo di precari e l’emergenza salariale non compensata dai miseri premi ad incentivi, hanno innescato una protesta con le assemblee che hanno spinto gli stessi confederali responsabili degli accordi sindacali, a dichiarare gli scioperi. Una contraddizione aperta, che per il momento non ha fermato gli scioperi, che sono ripresi proprio ieri.
Una realtà industriale simile alla Beretta, un “mondo di convenienza” per i padroni, con in più le operaie senza tutele e con l’aparthaid salariale degli appalti e del CCNL multiservizi, oltre ai tanti contratti precari, un vero e proprio ricatto che il nuovo decreto lavoro del governo Meloni ha reso ancora più facile usare, estendere e senza controlli.
Al Salumificio di Trezzo le operaie dell’appalto portano avanti una lotta di civiltà, di emancipazione, di autodifesa con la rivendicazione dell’assunzione diretta e del CCNL Alimentari per tutta la fabbrica, ma anche la via che può dare una base di unità e forza in tutto lo stabilimento alle lavoratrici, oggi separate in tre gruppi da accordi, contratti, sindacali aziendali.
Una lotta che dice a tutte le operaie che ‘bisogna guardare la fabbrica con occhi nuovi, vederla come il luogo dove ci possiamo avvicinare alle altre compagne di lavoro, perchè la stessa fatica che ci lega, può diventare forza di trasformazione se ci vediamo come alleate non più con ostilità e in concorrenza, una contro le altre sottomesse ai capi’, a far le crumire sostituendo sulle linee le operaie in sciopero, nel silenzio della Cgil.
Una voglia di cambiare che sta toccando gli operai alla Wuber, ancora per le condizioni salariali, di lavoro, per rigetto dei sindacati confederali. Wuber è un’altra importante fabbrica del gruppo Beretta, dove i ritmi sono alti, le mansioni usuranti, il turn over dei precari frequente, ed è gestita con lo stesso schema, divisione e autoritarismo, appalto ingiustificato, reparti isolati, lavoratrici e lavoratori che non si conoscono a pochi metri di distanza, lavoratori differenziati nei contratti, nella paghe, dove i sindacati collaborazionisti e corporativi tengono assemblee per mansione…
Siamo in guerra anche se ancora non ne abbiamo coscienza e questo governo fascista dimostra sempre di più che questo sistema democratico borghese getta la maschera è appare come dittatura aperta dei padroni, odio di classe e disprezzo per gli operai, basta vedere l’intervento del governo all’ ArcelorMittal Taranto con il decreto Meloni/Fitto: produzione a tutti i costi e in tutte le maniere azzerando ambiente e sicurezza e cancellando sentenze, inchieste della magistratura e procedimenti UE. Un emendamento di Fitto blinda l’ex Ilva, si legge sulla stampa: «La produzione non verrà mai interrotta». Una norma sottoscritta dal ministro nel decreto «salva infrazioni» in discussione al senato: lo stabilimento potrà rimanere attivo anche in caso di confisca definitiva
Così come rappresenta lo specchio della situazione nelle fabbriche il ruolo dei sindacati confederali che a Melfi, senza la Fiom hanno sottoscritto un accordo sindacale che concede tutto all’azienda.
Fim Uilm Fismic Ugl hanno accettato un anno di contratti di solidarietà fino al 90% per 4662 lavoratori su 5827, con il salario ridotto a 1260 euro, con l’impegno al ‘necessario miglioramento delle prestazioni del sito in un contesto di crescente concorrenza’.
E’ un accordo che rende permanente i trasferimenti degli operai di Melfi ad altri stabilimenti, lasciando nel vago se i 111 euro giornalieri siano aggiuntivi o inclusivi della paga normale, e sui motivi di eventuale impedimento l’azienda deciderà unilateralmente.
Quindi, per gli ignobili sindacati collaborazionisti, dirigenti assolutamente venduti, delegati complici questo sarebbe il “governo del presente”: sfruttamento e schiavismo operaio in vista di un futuro, ovvero i famosi 4 modelli promessi nel ’21 più un quinto modello da definire. Per un futuro di più sfruttamento ed esuberi
Noi non condividiamo la rassegnazione su questa situazione, e non pensiamo che andrà come padroni, governo e sindacati collaborazionisti pensano. Noi pensiamo che una scintilla accenderà la prateria, o meglio, il “prato verde”; e certo assumiamo l’impegno a fare di tutto e con tutti i mezzi possibili – nel fuoco della lotta di classe in stretto legame con le masse – perché ciò avvenga.
Certo la Fiom è stata tenuta fuori, nel timore che potesse comunque contribuire a una scintilla alla “Pomigliano maniera” - questo al di là delle intenzioni.
Ma De Palma, continua, come nel caso degli scioperi di Pomigliano, a fare dichiarazioni barricadiere e poi a ritirarsi nella realtà.
C’è molto da dire su questo, ma ora è comunque il tempo dell’unità di tutti gli operai che siano contro questo accordo, come anello di una lotta di lunga durata contro padroni e governo oggi.
Per questo chiudiamo la controinformazione operaia di oggi ma non certo la questione operaia che meriterebbe quasi una radiocronaca giornaliera di tutte le contraddizioni, le fabbriche e in particolare le grandi fabbriche contengono tutte le contraddizioni del sistema capitalista, dello scontro tra padroni e classe operaia, tra classe e Stato del capitale. E pensiamo che questa prateria ha bisogno di una scintilla che l’accenda. Per questo lavoriamo quotidianamente tra gli operai, con iniziative alla fabbrica e scritti fondati sui fatti e i fatti ci danno ragione. Ma sappiamo bene che nella lotta di classe tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Ma il “mare armato” della coscienza di classe e dell’organizzazione di classe è l’arma invincibile dei lavoratori. E questa arma prima o poi deve essere impugnata.
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