Secondo i trattati di
cooperazione giudiziaria serve la pronuncia di una corte in Germania che
valuti la congruità della sanzione. Il ministero della Giustizia però
non ha ancora inviato la sentenza tradotta. Nel frattempo l’ex ad e un
consigliere d’amministrazione devono ancora scontare 16 anni di carcere.
È passato un anno e sono ancora liberi. I manager tedeschi della Thyssenkrupp, condannati in via definitiva dalla Corte di Cassazione il 13 maggio 2016, non sono ancora in carcere, a differenza dei loro coimputati italiani. L’ex amministratore delegato, Harald Espenhahn, e il consigliere d’amministrazione, Gerald Priegnitz, ritenuti responsabili di omicidio colposo plurimo per la morte di sette operai tra il 5 e il 6 dicembre 2007 a Torino, dovranno scontare rispettivamente nove anni e otto mesi e sei anni e tre mesi, ma le condanne non sono state ancora eseguite. Il motivo? Le lunghe procedure di cooperazione giudiziaria tra gli Stati e i ritardi della burocrazia.
Un anno fa, dopo la lettura del verdetto, gli altri condannati – Marco Pucci, Daniele Moroni, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri – si sono presentati spontaneamente alla polizia e ai carabinieri per poi essere portati in prigione. I tedeschi invece no. I tempi burocratici permettono loro di restare ancora fuori dal carcere e non espiare la condanna. Prima, infatti, c’è bisogno che la Germania convalidi alcune pratiche per l’applicazione della pena.Nei giorni immediatamente successivi al verdetto della Suprema corte, il sostituto procuratore generale Vittorio Corsi e il procuratore generale Francesco Saluzzo hanno preparato il mandato di cattura europeo che, al momento, non risulta ancora eseguito. Secondo i trattati di cooperazione giudiziaria tra Italia e Germania serve la pronuncia di una corte tedesca che valuti la congruità della sanzione ed eventualmente la uniformi a quella prevista dal codice penale locale, che punisce il reato di omicidio colposo con una pena massima di cinque anni. “In Germania l’equivalente della nostra corte d’appello deve tenere un’udienza nella quale acquisire le sentenze italiane tradotte”, spiega l’avvocato Ezio Audisio, difensore dei due manager tedeschi.
La traduzione in tedesco delle sentenze spetta al nostro ministero della Giustizia, ma – a quanto si apprende da fonti giudiziarie – non sarebbe ancora conclusa nonostante le motivazioni della condanna in Cassazione siano state depositate il 12 dicembre scorso, già cinque mesi fa. Il ministero della Giustizia – contattato venerdì 12 maggio da ilfattoquotidiano.it – non ha ancora fornito una risposta.
Nel rogo della Thyssenkrupp persero la vita sette operai impegnati in quel turno di notte sulla linea 5 dell’acciaieria. Al divampare delle fiamme, frequenti su quell’impianto, erano intervenuti con gli estintori e i manicotti che però non funzionarono. L’azienda aveva deciso da tempo di tagliare sulle spese sulla prevenzione e sulla sicurezza: quello stabilimento doveva chiudere in vista della concentrazione di tutte le l’attività nella sede di Terni. Per i giudici della Cassazione queste decisioni rientravano nelle “scellerate strategie aziendali” e l’ex ad Espenhahn è ritenuto “il massimo autore delle violazioni antinfortunistiche che hanno causato gli eventi di incendio e morte
Secondo i trattati di
cooperazione giudiziaria serve la pronuncia di una corte in Germania che
valuti la congruità della sanzione. Il ministero della Giustizia però
non ha ancora inviato la sentenza tradotta. Nel frattempo l’ex ad e un
consigliere d’amministrazione devono ancora scontare 16 anni di carcere.
Un anno fa, dopo la lettura del verdetto, gli altri condannati – Marco Pucci, Daniele Moroni, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri – si sono presentati spontaneamente alla polizia e ai carabinieri per poi essere portati in prigione. I tedeschi invece no. I tempi burocratici permettono loro di restare ancora fuori dal carcere e non espiare la condanna. Prima, infatti, c’è bisogno che la Germania convalidi alcune pratiche per l’applicazione della pena.Nei giorni immediatamente successivi al verdetto della Suprema corte, il sostituto procuratore generale Vittorio Corsi e il procuratore generale Francesco Saluzzo hanno preparato il mandato di cattura europeo che, al momento, non risulta ancora eseguito. Secondo i trattati di cooperazione giudiziaria tra Italia e Germania serve la pronuncia di una corte tedesca che valuti la congruità della sanzione ed eventualmente la uniformi a quella prevista dal codice penale locale, che punisce il reato di omicidio colposo con una pena massima di cinque anni. “In Germania l’equivalente della nostra corte d’appello deve tenere un’udienza nella quale acquisire le sentenze italiane tradotte”, spiega l’avvocato Ezio Audisio, difensore dei due manager tedeschi.
La traduzione in tedesco delle sentenze spetta al nostro ministero della Giustizia, ma – a quanto si apprende da fonti giudiziarie – non sarebbe ancora conclusa nonostante le motivazioni della condanna in Cassazione siano state depositate il 12 dicembre scorso, già cinque mesi fa. Il ministero della Giustizia – contattato venerdì 12 maggio da ilfattoquotidiano.it – non ha ancora fornito una risposta.
Nel rogo della Thyssenkrupp persero la vita sette operai impegnati in quel turno di notte sulla linea 5 dell’acciaieria. Al divampare delle fiamme, frequenti su quell’impianto, erano intervenuti con gli estintori e i manicotti che però non funzionarono. L’azienda aveva deciso da tempo di tagliare sulle spese sulla prevenzione e sulla sicurezza: quello stabilimento doveva chiudere in vista della concentrazione di tutte le l’attività nella sede di Terni. Per i giudici della Cassazione queste decisioni rientravano nelle “scellerate strategie aziendali” e l’ex ad Espenhahn è ritenuto “il massimo autore delle violazioni antinfortunistiche che hanno causato gli eventi di incendio e morte
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