In fabbrica. Landini: la metà dei dipendenti italiani è in «cassa». In uno studio sugli stabilimenti italiani si scopre che il 46 per cento delle auto del gruppo comprate in Italia sono prodotte all'estero. Una chimera la "piena occupazione" promessa da Marchionne per il 2018

Nel giorno in cui arriva lo (scon­tato) cam­bio di nome — Fiat group auto­mo­bi­les diventa Fca Italy spa — la Fiom rende pub­blica la sua inda­gine sugli sta­bi­li­menti, deno­mi­nata “Radio­gra­fiat”, por­tata avanti con fatica — «l’azienda non ci ha certo aiu­tati» — dal ricer­ca­tore dell’università di Salerno Davide Bub­bico. E i dati fanno abba­stanza impres­sione. Il 51 per cento dei lavo­ra­tori dei 56 sta­bi­li­menti ita­liani nel primo tri­me­stre del 2014 è stato inte­res­sato da ammor­tiz­za­tori sociali — ben 33 su 65mila. Ancora di più col­pi­sce il dato sulle ven­dite del gruppo fra gen­naio e novem­bre: il 46 per cento delle vet­ture ex Fiat acqui­state in Ita­lia è stata pro­dotta in sta­bi­li­menti esteri.
Il tutto porta Mau­ri­zio Lan­dini a soste­nere che «siamo davanti ad un vero pro­cesso di delo­ca­liz­za­zione, verso Polo­nia, Ser­bia e Tur­chia». E se que­sto pro­cesso è incon­te­sta­bile la pro­messa di Mar­chionne della piena occu­pa­zione negli sta­bi­li­menti ita­liani entro il 2018 diventa una chi­mera irraggiungibile.
Di più. Cas­sino e Mira­fiori sono ancora senza nuovi modelli e ven­gono da circa quat­tro anni di cassa inte­gra­zione. Prima di giu­gno non arri­verà nes­suna uffi­cia­lità sul rilan­cio dell’Alfa e da lì alla messa in pro­du­zione ser­virà almeno un altro anno e mezzo. «Con il Jobs act il governo punta a ridurre la durata della cassa inte­gra­zione e degli ammor­tiz­za­tori sociali, si rischia quindi che nel 2015 migliaia di lavo­ra­tori riman­gano per strada».
È la logica del piano di Mar­chionne a fare acqua: «Noi non diciamo che non va bene pun­tare su modelli di gamma supe­riore, fac­ciamo però notare che per pro­durli ser­vi­ranno meno lavo­ra­tori anche per­ché in que­sti anni si è pun­tato mol­tis­simo sull’aumento della pro­dut­ti­vità e su ritmi di lavoro sem­pre più for­sen­nati che hanno com­por­tato un numero altis­simo di lavo­ra­tori con ridotte capa­cità lavo­ra­tive», i cosi­detti Rcl.
In più, a con­tra­stare la bontà della svolta di Mar­chionne arri­vano i dati sulle espor­ta­zioni. «Nono­stante gli annunci di pro­du­zioni ita­liane per i nuovi mer­cati, fra gen­naio e set­tem­bre sono aumen­tate solo del 2 per cento e solo gra­zie alle Mase­rati pro­dotte a Gru­glia­sco, per gli altri modelli l’export si è ridotto men­tre di Jeep pro­dotte a Melfi in Ita­lia ne sono state ven­dute solo 9mila, un volume pari all’1 per cento del totale in Italia».
L’altro grido di dolore riguarda il capi­tolo pro­get­ta­zione. Agli Enti cen­trali di Mira­fiori, una volta fiore all’occhiello del Lin­gotto — «gli inge­gneri fanno la spola con Detroit: dei nuovi modelli solo la 500X di Melfi è stata pro­get­tata lì, il resto è stato tutto spo­stato negli Stati Uniti, dal cen­tro d’eccellenza sui motori ibridi, sfrut­tando i fondi fede­rali, alla pro­get­ta­zione del motore elet­trico», spiega Bubbico.
Da sfa­tare anche il mito della pro­pa­ganda di Mar­chionne: «La Fiat non prende più un soldo pub­blico». Mica vero: i soldi pub­blici arri­vano lo stesso, ma in altra forma. «Fra fondi regio­nali e fondi euro­pei, la Fiat ha avuto 18 milioni di finan­zia­mento per il Cam­pus in Basi­li­cata e 9 milioni per il motore elet­trico pro­dotto dalla Magneti Marelli a Bari».
Il qua­dro comun­que, sot­to­li­nea Lan­dini, «è molto varie­gato, cam­bia da sta­bi­li­mento a sta­bi­li­mento». Ci sono isole per­fino felici nell’arcipelago Fiat: «Per esem­pio va molto bene la parte della Magneti Marelli elet­tro­nica, ha assunto nuovi dipen­denti con con­tratto inte­ri­nale, ma il motivo è pre­sto detto: va bene per­ché pro­duce anche per i con­cor­renti della Fiat», spiega sar­ca­stico Landini.
E qui ci si ricol­lega ad un altro vec­chio cavallo di bat­ta­glia della Fiom: «Siamo uno dei pochi paesi euro­pei in cui c’è un unico pro­dut­tore di auto e anche per que­sto siamo pas­sati dall’essere il decimo pro­dut­tore mon­diale al 24esimo». Una situa­zione che non muterà nem­meno se Mar­chionne man­terrà la pro­messa di pro­durre in Ita­lia le 400mila nuove Alfa entro il 2018. Nel frat­tempo, per il 2014 la pro­du­zione non si disco­sterà da quota 360mila del 2013, un valore che impal­li­di­sce di fronte al milione e 400 mila auto l’anno pro­messe ai tempi del defunto piano “Fab­brica Italia”.
Anche il resto della pro­du­zione non se la passa bene. Se tiene l’Iveco — «a Man­tova gra­zie agli scio­peri siamo riu­sciti ad evi­tare i rien­tri il sabato e fac­ciamo invece lavo­rare tutti» — e la Sevel del Ducato, pro­prio ieri si è final­mente con­clusa la que­relle Iri­sbus di Valle Ufita (Avel­lino). Il primo sta­bi­li­mento chiuso da Mar­chionne nel 2010 è uffi­cial­mente diven­tato di pro­prietà dei cinesi di King Long con il pas­sag­gio dei 300 lavo­ra­tori ex Fiat alla neo­nata Indu­stria ita­liana auto­bus (Iia) che riu­ni­sce anche la Bre­da­me­na­rini di Bolo­gna — gruppo Fin­mec­ca­nica. «Mon­te­ranno com­po­nenti cinesi men­tre l’Iveco ha spo­stato le pro­du­zioni in Fran­cia e Slo­vac­chia, ma la stessa Iveco va avanti ancora con le com­messe pub­bli­che ita­liane, una vera ver­go­gna», denun­cia Landini.
E allora la Fiom si rivolge nuo­va­mente al governo. «Manca una poli­tica indu­striale, nes­sun governo ha mai chie­sto niente alla Fiat, è ora che qual­cuno lo fac­cia».
L’ultimo affondo è per il nuovo con­tratto e gli altri sin­da­cati. «Mar­chionne aveva detto che voleva uscire da Con­fin­du­stria per dare salari tede­schi ai dipen­denti ita­liani, ma dal primo gen­naio 2015 i dipen­denti del gruppo pren­de­ranno meno del minimo sta­bi­lito dal con­tratto nazio­nale, men­tre finora era supe­riore solo per­ché hanno spal­mato la quat­tor­di­ce­sima su tutti i mesi. Forse il governo punta ad esten­dere a tutti il modello Fiat o Mar­chionne si rife­riva ai mini­job tede­schi», scherza Landini.
«L’azienda poi con­ti­nua con un dop­pio bina­rio, porta avanti una trat­ta­tiva con i sin­da­cati fir­ma­tari del con­tratto e uno sepa­rato con noi, ridu­cen­doci le ore di assem­blea. Noi a novem­bre abbiamo chie­sto a Fim e Uilm di eleg­gere le Rsu, ma ci hanno rispo­sto che se non fir­miamo il con­tratto non sono d’accordo e potreb­bero deci­dere di eleg­gerle da soli. Sarebbe una novità gra­vis­sima: siamo dovuti andare alla Corte Costi­tu­zio­nale per tor­nare in Fiat, ma que­sta volta non sarebbe l’azienda, ma gli altri sin­da­cati ad esclu­derci. Una vera fol­lia che con­tra­ste­remo con ogni mezzo», chiude Landini.