- di marco santopadre
- contropiano
La
Turchia come l’Isis… Abbiamo scritto solo due giorni fa della
recrudescenza della repressione del regime Erdogan-Davutoglu contro la
popolazione curda e la sua protesta contro la complicità di Ankara nei
confronti dei jihadisti che dilagano in Siria, Iraq e Libano, e siamo di
nuovo costretti a scrivere di una nuova vittima.
Giovedì a perdere la vita è stata Kader Ortakaya, una giovane attivista curda della Piattaforma Collettiva per la Libertà e studentessa all’Università di Marmara (ad Istanbul), uccisa con un colpo alla testa sparato da alcuni militari turchi contro un gruppo di persone che manifestava pacificamente, realizzando una catena umana a Suruc, cittadina gemella di Kobane sul lato turco del Kurdistan.
Una frontiera ipermilitarizzata dall’esercito di Ankara, con migliaia di soldati che assistono all’eroica battaglia dei guerriglieri e delle guerrigliere curde che difendono da parecchie settimane la città del Rojava assediata e bombardata dai miliziani dello Stato Islamico. La città non è caduta nelle mani del califfato e Ankara non ha ricevuto da Washington l’ok a invadere il nord della Siria e a imporre la sua ‘no fly zone’ contro il governo di Damasco. Il regime islamista turco ha più volte affermato di considerare la guerriglia di sinistra curda peggiore dell’Isis e non sono mancate scene di fraternizzazione e collaborazione tra i militari di Ankara e i jihadisti che pure Erdogan afferma di considerare un nemico, anche se non prioritario. Negli ultimi mesi l’esercito turco è ricorso più volte alla forza contro sfollati curdi, attivisti politici e giornalisti che cercavano di attraversare la frontiera per andare a documentare cosa accadeva a poche centinaia di metri, a Kobane, oppure per unirsi ai combattenti delle Ypg e delle Jpg. Più volte i cannoni ad acqua e le pallottole di gomma hanno mostrato plasticamente al mondo da che parte sta la Turchia, con numerosi feriti nei combattimenti contro i miliziani jihadisti morti a pochi metri dagli ospedali di Suruc perché Ankara ha negato loro di oltrepassare la frontiera.
Ma quanto è accaduto giovedì ha dell’incredibile: alcune decine di attivisti hanno formato una catena umana lungo il confine, insieme ad artisti e musicisti dell’Iniziativa per l’Arte Libera. Per tutta risposta i soldati turchi li hanno prima attaccati con lacrimogeni e pallottole di gomma e poi improvvisamente hanno iniziato a sparare pallottole vere. La 28enne Kader è stata colpita alla testa ed è morta sul colpo.
La rabbia per quanto è accaduto è stata tale che dall’altra parte del filo spinato alcuni guerriglieri dell’Ypg che stavano assistendo alla scena hanno sparato contro le postazioni dell’esercito turco.
Incredibilmente il prefetto turco di Suruc, Abdullah Ciftci, ha negato che ciò che tutti hanno visto e che è stato anche ripreso in alcuni video sia mai avvenuto, ed ha parlato solo dell’uso di lacrimogeni da parte dei poliziotti che sorvegliano il confine. Ha raccontato il parlamentare curdo del Partito Democratico dei Popoli (Hdp) Ibrahim Ayhan, testimone dell’omicidio: “Ci trovavamo sulla frontiera. Hanno attaccato senza dare alcun avvertimento – ha spiegato all’emittente televisiva CnnTurk – Non é giusto che un soldato uccida un civile in questo modo. Lo condanniamo”. L’attacco delle forze di sicurezza turche ha causato anche altri 4 feriti, due dei quali musicisti.
I deputati dell’HDP di Şırnak, Faysal Sarıyıldız e di Urfa, İbrahim Ayhan, hanno presentato interrogazioni scritte al parlamento turco chiedendo conto al Ministro dell’Interno Efkan Ala e al Primo Ministro Ahmet Davutoğlu del comportamento omicida delle truppe schierate alla frontiera con la Siria. Nelle interrogazioni i deputati hanno chiesto: “Perché i soldati che hanno affermato di aver ‘avvertito’ componenti armati dell’ISIS che hanno violato il confine turco una settimana prima che Kader Ortakaya venisse uccisa con colpi di arma da fuoco, sparano ai civili senza avvertire?”. Sarıyıldız ha ricordato che l’agenzia di stampa Dicle ha pubblicato un filmato che ritrae le truppe turche che conversano tranquillamente con alcuni jihadisti. In seguito alla diffusione delle riprese lo Stato Maggiore turco si è giustificato affermando che i soldati stavano ‘avvertendo’ i due miliziani islamisti del fatto che si trovavano in un campo minato. Sarıyıldız ha chiesto polemicamente al Ministro dell’Interno Efkan Ala: “Sono stati uccisi, feriti o arrestati dei componenti dell’ISIS mentre attraversavano il confine ad Hatay, Kilis e Urfa? Quanti componenti dell’ISIS sono stati arrestati e quanti rilasciati?”
La giovane Kader Ortakaya, che era arrivata alcune settimane fa a Suruc e stava prestando la sua assistenza ai profughi di Kobane e di altre zone del Rojava costretti a fuggire dalle proprie case e dai propri villaggi a causa delle persecuzioni degli estremisti sunniti, nei giorni scorsi aveva scritto una lettera indirizzata alla sua famiglia avvertendo che avrebbe cercato di andare a Kobane per combattere a fianco dei suoi fratelli e sorelle.
Ecco la lettera scritta da Ortakaya alla sua famiglia:
“Cara famiglia,
Sono a Kobanê. Questa guerra non è solo una guerra del popolo di Kobanê, ma una guerra per tutti noi. Mi unisco a questa lotta per la mia amata famiglia e per l’umanità. Se oggi manchiamo nel vedere questa guerra come una guerra per noi, resteremo soli quando domani le bombe colpiranno le nostre case. Vincere questa guerra significa che vinceranno i poveri e gli sfruttati. Io credo di poter essere più utile unendomi a questa guerra che andando a lavorare in un ufficio. Probabilmente vi arrabbierete con me perché vi rendo tristi, ma prima o poi capirete che ho ragione.
Auguro a tutte e tutti di vivere liberamente e da uguali. Non voglio che nessuno venga sfruttato per tutta la vita per avere un pezzo di pane o un riparo. Perché questi desideri si avverino, bisogna lottare e combattere.
Ritornerò quando la guerra sarà finita e Kobanê sarà riconquistata. Quando tornerò per piacere accogliete anche i miei amici. Per piacere non cercate di trovarmi. È impossibile farlo. Una delle ragioni importanti per la quale sto scrivendo questa lettera è che non voglio che facciate sforzi per trovarmi e che ne soffriate. Se mi succede qualcosa ne sarete informati.
Se non volete che venga incarcerate e torturata in carcere, per piacere non rivolgetevi alla polizia o ad altre istituzioni dello stato. Se lo farete, io, voi e i miei amici, tutti ne soffriremo. Non dite nemmeno ai nostri parenti che sono andata a Kobanê in modo che non sarò incarcerata quando tornerò. Strappate questa lettera dopo averla letta.
Se volete fare qualcosa per me, sostenete la mia lotta. Siete rimasti in silenzio rispetto a tutti i malfunzionamenti dello stato. Dite basta al fatto che la gente viene uccisa per la strada, esposta a bombardamenti con gas, bombardata come è successo a Roboski. Continuerei a partecipare alle manifestazioni e alle attività delle associazioni se vivessi con voi. Vi affido la mia lotta fino a quando tornerò.
Vi abbraccio tutti, mia madre, mio padre e Ada, Deniz, Zelal e Mahir che sta per nascere. Mando un saluto particolare a mio fratello Kadri. Farà quello che è più adatto a lui.
Vi abbraccio con tutti i miei sentimenti rivoluzionari.
Il telefono è un regalo di mio fratello. Dentro ci sono le nostre foto. Mando la mia tessera di studente a mia madre. Lasciatele comprare le sue medicine fino a quando torno.
Vi amo tutti molto.
Per il momento arrivederci”
L'appello/proposta diffuso alla manifestazione del 1° novembre a Roma in solidarietà con la resistenza di Kobane, per un presidio di donne al fianco delle combattenti curde contro l'Isis e l'imperialismo da realizzarsi il 22 novembre sotto l'ambasciata turca ha due ragioni:
1) perchè vogliamo sostenere le nostre sorelle curde che combattono per la difesa di Kobane e Rojava; le combattenti curde sono in prima fila nella lotta di tutto il popolo curdo e insieme portano avanti la battaglia per la liberazione sociale delle donne; esse mandano un messaggio a tutte le donne che deve essere raccolto dalle donne del nostro paese;
2) perchè vogliamo denunciare il ruolo complice dell'Isis della Turchia, come dei regimi arabi, come degli imperialisti, Usa ed europei. Questo secondo aspetto è altrettanto importante e ci spetta, a noi donne che viviamo in uno di questi paesi imperialisti.
Oggi la Turchia in questa battaglia dei nemici del popolo curdo assume un ruolo di punta nello schiacciare la rivoluzione in Rojava.
Se vogliamo essere al fianco delle donne, combattenti curde che difendono con la vita Rojava per tutto quello che significa anche per le donne, noi dobbiamo lottare contro chi, Turchia, imperialismo... fa una finta opposizione all’ISIS mentre l'ha fornita di armamenti, dollari; come dobbiamo smascherare l'autorizzazione al passaggio di poche centinaia di curdi di Barzani (quelli, sì, che si affidano all'aiuto dell'imperialismo Usa) a fini di autopropaganda, mentre lascia morire ai suoi confini migliaia di curdi, donne, bambini.
Questa lotta ci tocca.
Giovedì a perdere la vita è stata Kader Ortakaya, una giovane attivista curda della Piattaforma Collettiva per la Libertà e studentessa all’Università di Marmara (ad Istanbul), uccisa con un colpo alla testa sparato da alcuni militari turchi contro un gruppo di persone che manifestava pacificamente, realizzando una catena umana a Suruc, cittadina gemella di Kobane sul lato turco del Kurdistan.
Una frontiera ipermilitarizzata dall’esercito di Ankara, con migliaia di soldati che assistono all’eroica battaglia dei guerriglieri e delle guerrigliere curde che difendono da parecchie settimane la città del Rojava assediata e bombardata dai miliziani dello Stato Islamico. La città non è caduta nelle mani del califfato e Ankara non ha ricevuto da Washington l’ok a invadere il nord della Siria e a imporre la sua ‘no fly zone’ contro il governo di Damasco. Il regime islamista turco ha più volte affermato di considerare la guerriglia di sinistra curda peggiore dell’Isis e non sono mancate scene di fraternizzazione e collaborazione tra i militari di Ankara e i jihadisti che pure Erdogan afferma di considerare un nemico, anche se non prioritario. Negli ultimi mesi l’esercito turco è ricorso più volte alla forza contro sfollati curdi, attivisti politici e giornalisti che cercavano di attraversare la frontiera per andare a documentare cosa accadeva a poche centinaia di metri, a Kobane, oppure per unirsi ai combattenti delle Ypg e delle Jpg. Più volte i cannoni ad acqua e le pallottole di gomma hanno mostrato plasticamente al mondo da che parte sta la Turchia, con numerosi feriti nei combattimenti contro i miliziani jihadisti morti a pochi metri dagli ospedali di Suruc perché Ankara ha negato loro di oltrepassare la frontiera.
Ma quanto è accaduto giovedì ha dell’incredibile: alcune decine di attivisti hanno formato una catena umana lungo il confine, insieme ad artisti e musicisti dell’Iniziativa per l’Arte Libera. Per tutta risposta i soldati turchi li hanno prima attaccati con lacrimogeni e pallottole di gomma e poi improvvisamente hanno iniziato a sparare pallottole vere. La 28enne Kader è stata colpita alla testa ed è morta sul colpo.
La rabbia per quanto è accaduto è stata tale che dall’altra parte del filo spinato alcuni guerriglieri dell’Ypg che stavano assistendo alla scena hanno sparato contro le postazioni dell’esercito turco.
Incredibilmente il prefetto turco di Suruc, Abdullah Ciftci, ha negato che ciò che tutti hanno visto e che è stato anche ripreso in alcuni video sia mai avvenuto, ed ha parlato solo dell’uso di lacrimogeni da parte dei poliziotti che sorvegliano il confine. Ha raccontato il parlamentare curdo del Partito Democratico dei Popoli (Hdp) Ibrahim Ayhan, testimone dell’omicidio: “Ci trovavamo sulla frontiera. Hanno attaccato senza dare alcun avvertimento – ha spiegato all’emittente televisiva CnnTurk – Non é giusto che un soldato uccida un civile in questo modo. Lo condanniamo”. L’attacco delle forze di sicurezza turche ha causato anche altri 4 feriti, due dei quali musicisti.
I deputati dell’HDP di Şırnak, Faysal Sarıyıldız e di Urfa, İbrahim Ayhan, hanno presentato interrogazioni scritte al parlamento turco chiedendo conto al Ministro dell’Interno Efkan Ala e al Primo Ministro Ahmet Davutoğlu del comportamento omicida delle truppe schierate alla frontiera con la Siria. Nelle interrogazioni i deputati hanno chiesto: “Perché i soldati che hanno affermato di aver ‘avvertito’ componenti armati dell’ISIS che hanno violato il confine turco una settimana prima che Kader Ortakaya venisse uccisa con colpi di arma da fuoco, sparano ai civili senza avvertire?”. Sarıyıldız ha ricordato che l’agenzia di stampa Dicle ha pubblicato un filmato che ritrae le truppe turche che conversano tranquillamente con alcuni jihadisti. In seguito alla diffusione delle riprese lo Stato Maggiore turco si è giustificato affermando che i soldati stavano ‘avvertendo’ i due miliziani islamisti del fatto che si trovavano in un campo minato. Sarıyıldız ha chiesto polemicamente al Ministro dell’Interno Efkan Ala: “Sono stati uccisi, feriti o arrestati dei componenti dell’ISIS mentre attraversavano il confine ad Hatay, Kilis e Urfa? Quanti componenti dell’ISIS sono stati arrestati e quanti rilasciati?”
La giovane Kader Ortakaya, che era arrivata alcune settimane fa a Suruc e stava prestando la sua assistenza ai profughi di Kobane e di altre zone del Rojava costretti a fuggire dalle proprie case e dai propri villaggi a causa delle persecuzioni degli estremisti sunniti, nei giorni scorsi aveva scritto una lettera indirizzata alla sua famiglia avvertendo che avrebbe cercato di andare a Kobane per combattere a fianco dei suoi fratelli e sorelle.
Ecco la lettera scritta da Ortakaya alla sua famiglia:
“Cara famiglia,
Sono a Kobanê. Questa guerra non è solo una guerra del popolo di Kobanê, ma una guerra per tutti noi. Mi unisco a questa lotta per la mia amata famiglia e per l’umanità. Se oggi manchiamo nel vedere questa guerra come una guerra per noi, resteremo soli quando domani le bombe colpiranno le nostre case. Vincere questa guerra significa che vinceranno i poveri e gli sfruttati. Io credo di poter essere più utile unendomi a questa guerra che andando a lavorare in un ufficio. Probabilmente vi arrabbierete con me perché vi rendo tristi, ma prima o poi capirete che ho ragione.
Auguro a tutte e tutti di vivere liberamente e da uguali. Non voglio che nessuno venga sfruttato per tutta la vita per avere un pezzo di pane o un riparo. Perché questi desideri si avverino, bisogna lottare e combattere.
Ritornerò quando la guerra sarà finita e Kobanê sarà riconquistata. Quando tornerò per piacere accogliete anche i miei amici. Per piacere non cercate di trovarmi. È impossibile farlo. Una delle ragioni importanti per la quale sto scrivendo questa lettera è che non voglio che facciate sforzi per trovarmi e che ne soffriate. Se mi succede qualcosa ne sarete informati.
Se non volete che venga incarcerate e torturata in carcere, per piacere non rivolgetevi alla polizia o ad altre istituzioni dello stato. Se lo farete, io, voi e i miei amici, tutti ne soffriremo. Non dite nemmeno ai nostri parenti che sono andata a Kobanê in modo che non sarò incarcerata quando tornerò. Strappate questa lettera dopo averla letta.
Se volete fare qualcosa per me, sostenete la mia lotta. Siete rimasti in silenzio rispetto a tutti i malfunzionamenti dello stato. Dite basta al fatto che la gente viene uccisa per la strada, esposta a bombardamenti con gas, bombardata come è successo a Roboski. Continuerei a partecipare alle manifestazioni e alle attività delle associazioni se vivessi con voi. Vi affido la mia lotta fino a quando tornerò.
Vi abbraccio tutti, mia madre, mio padre e Ada, Deniz, Zelal e Mahir che sta per nascere. Mando un saluto particolare a mio fratello Kadri. Farà quello che è più adatto a lui.
Vi abbraccio con tutti i miei sentimenti rivoluzionari.
Il telefono è un regalo di mio fratello. Dentro ci sono le nostre foto. Mando la mia tessera di studente a mia madre. Lasciatele comprare le sue medicine fino a quando torno.
Vi amo tutti molto.
Per il momento arrivederci”
L'appello/proposta diffuso alla manifestazione del 1° novembre a Roma in solidarietà con la resistenza di Kobane, per un presidio di donne al fianco delle combattenti curde contro l'Isis e l'imperialismo da realizzarsi il 22 novembre sotto l'ambasciata turca ha due ragioni:
1) perchè vogliamo sostenere le nostre sorelle curde che combattono per la difesa di Kobane e Rojava; le combattenti curde sono in prima fila nella lotta di tutto il popolo curdo e insieme portano avanti la battaglia per la liberazione sociale delle donne; esse mandano un messaggio a tutte le donne che deve essere raccolto dalle donne del nostro paese;
2) perchè vogliamo denunciare il ruolo complice dell'Isis della Turchia, come dei regimi arabi, come degli imperialisti, Usa ed europei. Questo secondo aspetto è altrettanto importante e ci spetta, a noi donne che viviamo in uno di questi paesi imperialisti.
Oggi la Turchia in questa battaglia dei nemici del popolo curdo assume un ruolo di punta nello schiacciare la rivoluzione in Rojava.
Se vogliamo essere al fianco delle donne, combattenti curde che difendono con la vita Rojava per tutto quello che significa anche per le donne, noi dobbiamo lottare contro chi, Turchia, imperialismo... fa una finta opposizione all’ISIS mentre l'ha fornita di armamenti, dollari; come dobbiamo smascherare l'autorizzazione al passaggio di poche centinaia di curdi di Barzani (quelli, sì, che si affidano all'aiuto dell'imperialismo Usa) a fini di autopropaganda, mentre lascia morire ai suoi confini migliaia di curdi, donne, bambini.
Questa lotta ci tocca.
Il presidio
è e deve essere chiaramente, visibilmente di DENUNCIA, CONTRO la Turchia. Su
questo non ci potranno essere equivoci.
Rinnoviamo, quindi, l'appello a realizzare per il 22 NOVEMBRE UN PRESIDIO SOTTO L'AMBASCIATA TURCA, come donne che lottano, come compagne, come democratiche.
MFPR
Rinnoviamo, quindi, l'appello a realizzare per il 22 NOVEMBRE UN PRESIDIO SOTTO L'AMBASCIATA TURCA, come donne che lottano, come compagne, come democratiche.
MFPR
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