di marco santopadre - contropiano
La vendetta dello stato turco contro chi lo scorso anno partecipò alle proteste popolari contro il regime liberal-islamista è lenta ma inesorabile.
Non si contano i processi in corso contro attivisti sociali, sindacalisti, dirigenti politici, giornalisti e semplici cittadini che nella primavera e nell’estate del 2013si riversarono nelle strade e nelle piazze di tutto il paese.
Per dire no alla distruzione del Parco Gezi di Istanbul certo, ma anche per protestare contro la deriva autoritaria e islamista del partito di governo e per denunciare la corruzione dell’esecutivo, legato a doppio filo a potenti lobby del cemento e della speculazione.
Ieri i pubblici ministeri turchi hanno chiesto niente meno che l'ergastolo per 35 tifosi di una delle principali squadre di calcio della metropoli sul Bosforo, il Besiktas, fondata nel 1903.
L’accusa nei loro confronti è, incredibilmente, di aver tentato di rovesciare il governo partecipando alle proteste di piazza del giugno dello scorso anno.
All’epoca tra i diversi collettivi protagonisti della mobilitazione – sfociata in alcuni casi in aperta rivolta – ci fu anche il Çarşı (abbreviazione di Beşiktaş Çarşı Grubu), il cui logo include una A anarchica e che da sempre, oltre a sostenere la propria squadra di calcio si mobilita anche nell’ambito di campagne antifasciste e antirazziste o comunque schierate a sinistra.
Durante i primi giorni di protesta che seguirono la brutale repressione da parte della polizia nei confronti di alcune centinaia di attivisti che a Istanbul si opponevano alla distruzione del Gezi Park, migliaia di supporter del Besiktas, insieme a quelli dei team avversari del Fenerbahce e del Galatasaray, scesero in piazza uniti a supporto delle proteste, si scontrarono con gli agenti in assetto antisommossa e in molti casi realizzarono barricate nel popolare quartiere dal quale la squadra prende il nome. Grazie ai cori e agli striscioni dei membri del Çarşı, gli slogan della protesta entrarono anche all'interno degli stadi.
I trentacinque imputati, tra i quali anche alcuni leader della tifoseria, secondo l’accusa avrebbero tentato di rovesciare il governo formando "un'organizzazione armata" e aizzando il resto dei manifestanti contro la polizia e le autorità. Il capo d'imputazione aggiunge che i tifosi del Çarşı tentarono anche ci creare un'immagine simile a quella della "primavera araba", fornendo a media esteri immagini degli scontri con la polizia. E che, inoltre, tentarono di invadere gli uffici dell'allora premier e oggi presidente Recep Tayyip Erdogan, nel quartiere di Besiktas, e la sua casa di Ankara. Le ‘prove’ dei presunti progetti insurrezionali dei tifosi del Çarşı comprendono anche alcuni tweet e post pubblicati sui social network.
Alcuni degli accusati sono già stati arrestati durante le proteste dello scorso anno per essere poi rilasciati in attesa del processo attualmente giunto alle fasi finali.
La vendetta dello stato turco contro chi lo scorso anno partecipò alle proteste popolari contro il regime liberal-islamista è lenta ma inesorabile.
Non si contano i processi in corso contro attivisti sociali, sindacalisti, dirigenti politici, giornalisti e semplici cittadini che nella primavera e nell’estate del 2013si riversarono nelle strade e nelle piazze di tutto il paese.
Per dire no alla distruzione del Parco Gezi di Istanbul certo, ma anche per protestare contro la deriva autoritaria e islamista del partito di governo e per denunciare la corruzione dell’esecutivo, legato a doppio filo a potenti lobby del cemento e della speculazione.
Ieri i pubblici ministeri turchi hanno chiesto niente meno che l'ergastolo per 35 tifosi di una delle principali squadre di calcio della metropoli sul Bosforo, il Besiktas, fondata nel 1903.
L’accusa nei loro confronti è, incredibilmente, di aver tentato di rovesciare il governo partecipando alle proteste di piazza del giugno dello scorso anno.
All’epoca tra i diversi collettivi protagonisti della mobilitazione – sfociata in alcuni casi in aperta rivolta – ci fu anche il Çarşı (abbreviazione di Beşiktaş Çarşı Grubu), il cui logo include una A anarchica e che da sempre, oltre a sostenere la propria squadra di calcio si mobilita anche nell’ambito di campagne antifasciste e antirazziste o comunque schierate a sinistra.
Durante i primi giorni di protesta che seguirono la brutale repressione da parte della polizia nei confronti di alcune centinaia di attivisti che a Istanbul si opponevano alla distruzione del Gezi Park, migliaia di supporter del Besiktas, insieme a quelli dei team avversari del Fenerbahce e del Galatasaray, scesero in piazza uniti a supporto delle proteste, si scontrarono con gli agenti in assetto antisommossa e in molti casi realizzarono barricate nel popolare quartiere dal quale la squadra prende il nome. Grazie ai cori e agli striscioni dei membri del Çarşı, gli slogan della protesta entrarono anche all'interno degli stadi.
I trentacinque imputati, tra i quali anche alcuni leader della tifoseria, secondo l’accusa avrebbero tentato di rovesciare il governo formando "un'organizzazione armata" e aizzando il resto dei manifestanti contro la polizia e le autorità. Il capo d'imputazione aggiunge che i tifosi del Çarşı tentarono anche ci creare un'immagine simile a quella della "primavera araba", fornendo a media esteri immagini degli scontri con la polizia. E che, inoltre, tentarono di invadere gli uffici dell'allora premier e oggi presidente Recep Tayyip Erdogan, nel quartiere di Besiktas, e la sua casa di Ankara. Le ‘prove’ dei presunti progetti insurrezionali dei tifosi del Çarşı comprendono anche alcuni tweet e post pubblicati sui social network.
Alcuni degli accusati sono già stati arrestati durante le proteste dello scorso anno per essere poi rilasciati in attesa del processo attualmente giunto alle fasi finali.
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