3.185 desaparecidos nel solo Stato di Rio de Janeiro nei primi sei mesi del 2014. In Brasile, corpi paramilitari della polizia stanno compiendo una vera e propria selezione della specie, massacrando i neri, giovani e poveri.
di Guilherme Boulos
Guilherme Boulos ha trentadue anni, è professore di psicoanalisi e membro del coordinamento nazionale del Movimento dei lavoratori senza tetto. Attivo anche nel Fronte di resistenza urbana (è autore del libro “Perché noi occupiamo: un’introduzione alla lotta dei senzatetto”) ha scritto un reportage sulla violenza della polizia brasiliana rivolta contro i ragazzi delle favelas. Una sorta di pena di morte selettiva, basata sull’età (giovane), il colore della pelle (nero) e il censo (poveri). Una selezione della cittadinanza brasiliana avallata da tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni, compreso quello di Dilma Roussef. Popoff, che ha già trattato l’argomento con una serie di articoli, pubblicati a ridosso dei mondiali di calcio, ha deciso di pubblicare la storia.
«Meno due», questo è stato il commento di un poliziotto militare di Rio de Janeiro al suo collega dopo aver giustiziato due ragazzi, M. di quindici anni e Matheus Alves dos Santos, di quattordici, l’11 giugno di quest’anno. In realtà, M. è sopravvissuto anche se colpito dal proiettile di un fucile e così la storia è venuta alla luce. I ragazzi, neri e abitanti della favela di Maré, camminavano per il centro di Rio de Janeiro, quando sono stati abbordati dalla polizia militare e portati dai poliziotti sulla collina di Sumaré, luogo dell’esecuzione.
Andato in onda domenica 20.07 in tarda serata, all’interno del programma “Fantastico” della Globo, il video riprende due poliziotti militari di Rio de Janeiro mentre arrestano e poi conducono su una collina due adolescenti di quattordici e quindici anni per giustiziarli. Il più giovane, Matheus Alves dos Santos, è stato ritrovato morto cinque giorni dopo, grazie alla coraggiosissima testimonianza del secondo ragazzo, che è sopravvissuto (fingendosi morto dopo il secondo degli spari che lo hanno raggiunto) ed ha denunciato l’accaduto. I due poliziotti sapevano di essere filmati dalle telecamere piazzate sulla loro auto, ma erano così sicuri della loro (abituale) impunità che non se ne sono minimamente preoccupati.
Altro che «meno due!». Almeno seicentododici, soltanto nel primo semestre di quest’anno. Questo è il numero di persone uccise dalla polizia militare in servizio a Rio de Janeiro e San Paolo, da gennaio a giugno 2014. Lungi dall’essere una pratica isolata di alcuni psicopatici in uniforme, lo sterminio poliziesco è di routine in Brasile.
A Rio de Janeiro, che ha la polizia più letale del Paese, 10.700 omicidi sono stati commessi dalla polizia in un decennio, dal 2001 al 2011, contando solo le registrazioni di morti in seguito a intervento della polizia, cioè, quelle dichiarate dai poliziotti. Nei primi sei mesi di quest’anno sono stati duecentonovantacinque gli omicidi in questa categoria. Ma il numero reale è, probabilmente, molto più alto. Se il giovane M., fatto raro, non fosse sopravvissuto al colpo di fucile, Matheus rientrerebbe nelle statistiche come desaparecido, e non come morte causata dalla polizia militare.
Sempre nel primo semestre di quest’anno, sono stati 3.185 i desaparecidos nello Stato di Rio de Janeiro, secondo l’Istituto di Pubblica Sicurezza. Numeri, già allarmanti in sé, che potrebbero ancora essere molto sottostimati.
A San Paolo la realtà non è così diversa. La letalità della polizia è relativamente minore di quella di Rio, ma sta crescendo. Quest’anno la crescita degli omicidi da parte della polizia dello Stato ha fatto notizia in tutto il mondo. Da gennaio a giugno sono stati trecentodiciassette gli assassinati da poliziotti in servizio, con un incremento del centoundici per cento rispetto al primo semestre del 2013. Più del doppio! Questo significa cinque omicidi ogni due giorni.
Solo il mese scorso sono stati due i casi che hanno ottenuto grande eco. Il massacro di Carapicuíba il 13 e il 26 luglio, per la vendetta della polizia dopo l’uccisione di un poliziotto militare in città, che ha provocato dodici morti tra cui una donna incinta.
E poi i due giovani freddati il 31 luglio, dopo essere stati sorpresi dalla polizia mentre graffitavano un edificio abbandonato nella zona est della capitale. «Stavano disegnando graffiti, quindi erano banditi!», ribatterebbe lo “spirito conservatore” paulistano così bene evidenziato in un recente articolo di Antonio Prata. Già, non risulta che il fare graffiti o commettere qualsiasi altro crimine comporti nel codice penale brasiliano la pena di morte. Per inciso, pena di morte eseguita vigliaccamente, senza diritto di difesa, giudizio o condanna legale.
Il caso del muratore Amarildo, fermato per un controllo dai poliziotti militari della Upp (Unità di polizia pacificatrice) della favela Rocinha, torturato e poi fatto sparire è uno dei pochi investigati tra i più di seimila desaparecidos nello Stato di Rio de Janeiro tra il 2012 ed il 2013.
In pratica la pena di morte esiste in Brasile. I dati di Amnesty International mostrano che solo la polizia di São Paulo e Rio de Janeiro ha ucciso il quarantadue per cento di persone in più che in tutti i Paesi in cui la pena di morte esiste legalmente. La polizia degli Stati Uniti, un Paese così apprezzato da quelli “dallo spirito conservatore”, uccide tra duecento e quattrocento persone l’anno, data una popolazione complessiva di oltre trecento milioni di abitanti. Solo la polizia di São Paulo, Stato che ha poco più di un decimo di questa popolazione, ne ha già uccise trecentodiciassette solo nel primo semestre di quest’anno.
Ma questa pena di morte extragiudiziale è selettiva. I loro obiettivi sono ben definiti. Hanno colore, età e indirizzo. Sono quasi sempre giovani e neri. E sono sempre poveri e residenti delle periferie. La mappa realizzata dal sito Ponte.org non lascia dubbi al riguardo.
Ed è proprio per questo che la pena di morte brasiliana è tollerata e addirittura incoraggiata da un settore della società. È vista nell’immaginario fascista di una parte della borghesia brasiliana come una necessaria pulizia sociale. Dopo tutto, come si usa dire in Brasile: «Bandito buono è il bandito morto!». I diritti umani sono per gli umani diritti. Vale a dire, non è stato il caporale della polizia militare di Rio che ha inventato il «meno due». Ha espresso solo, con un sadismo nudo e crudo, il culto della barbarie e dello sterminio dei più poveri che è difeso da persone molto più importanti di lui, nei circoli sociali, nei media e nei governi. Quando il governatore Geraldo Alckmin dice che «chi non ha reagito è ancora vivo» nel mezzo dell’ondata di esecuzioni commesse dalla polizia nel 2012 a San Paolo, quale messaggio invia alle truppe? Se si considera che oltre il novanta per cento degli omicidi commessi dalla polizia di Rio de Janeiro vede la sua indagine archiviata in meno di tre anni da parte della magistratura, senza alcuna punizione. Che cosa i giudici ed i pubblici ministeri stanno dicendo a questi poliziotti militari? Uccidere neri e poveri nelle periferie è consentito. Questo è il messaggio. Un vero e proprio sigillo ufficiale. Non c’è da meravigliarsi se i numeri crescono.
Fino a quando la struttura della sicurezza pubblica non verrà smilitarizzata (proposta che staziona nel parlamento) e fino a quando i governi e la magistratura continueranno a tollerare e stimolare lo sterminio poliziesco nelle periferie, questa tendenza non si invertirà. Noi continueremo a testimoniare quotidianamente la mattanza di nuovi Amarildo, Claudia, Douglas, Matheus e tanti altri senza nome che hanno avuto la vita falciata dalla vigliaccheria ingiustificabile di un’esecuzione compiuta in nome dell’ordine.
Fonte originaria “Folha de S.Paulo“
Tradotto in italiano da “Il Resto del Carlinho“. Potete trovare l’articolo anche su “Comune-info“
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