Da Paolo Pagani (che voterebbe per il no) a Luigi Gaffurini (sì senza dubbi), tutti sposano la linea della leader Cgil: «Il referendum si rispetta»
Rebecchi: «Senza unità d'azione non si va lontano» Gaffurini: «La Fiom ha tirato la corda per vent'anni» Pagani: «Regole, sì a un accordo interconfederale»
09/01/2011
da brescia oggi
I lavoratori della Fiat Mirafiori saranno chiamati a votare il referendum sull'accordo il 13 e 14 gennaio fra Pietro Ichino («la vittoria del no a Mirafiori sarebbe una catastrofe») e Sergio Cofferati («l'accordo di Mirafiori è una lesione democratica peggiore di quella di Pomigliano») il Pd bresciano sceglie Susanna Camusso. Ovvero la neo-leader Cgil che chiede di accettare il verdetto del referendum operaio del 13 e 14 gennaio e di ricorrere a una firma «tecnica» in caso di vittoria del «sì».
A una settimana dal voto che potrebbe ridisegnare le relazioni industriali in Italia il Pd mette la sordina alle bizantine discussioni interne e torna a occuparsi di una realtà ruvida ma decisiva: le vie d'uscite dalla crisi, la vocazione industriale del Paese, un nuovo modello di relazioni sindacali. Per scoprirsi meno disunito del previsto, a costo di aumentare le distanze dalla Camera del lavoro a trazione Fiom.
«L'ESITO del referendum va rispettato - sostiene Aldo Rebecchi - non puoi accettare il parere dei lavoratori un giorno sì e l'altro no». La tesi del voto invalidato dalla «pistola puntata alla tempia», per Rebecchi non regge: «Gli accordi si fanno sempre così. Se la produzione tira la pistola in pugno ce l'ha il sindacato. Oggi invece i rapporti di forza sono sfavorevoli al mondo del lavoro».
Rebecchi è preoccupato: «O si ritrova un minimo di unità d'azione sindacale - dice - o non si va da nessuna parte». Rebecchi giudica «responsabile» la linea scelta dalla Camusso. E la Fiom? «Non tiene conto dei rapporti di forza. Non dico che ha torto, dico che sbaglia politicamente. E dovrebbe spiegare perchè altre categorie firmano accordi unitari e i metalmeccanici no».
Il capogruppo del Pd in Loggia, Emilio Del Bono, ricorda la propria «storica» vicinanza a Ichino e Treu. E dunque: «Ci sono tutte le condizioni per approvare gli accordi che, dopo mesi di cassa integrazione, creano l'opportunità per tornare al lavoro e legare la Fiat a investimenti in Italia. Si tratta, sia chiaro, di scelte dolorose. Che tuttavia andrebbero fatte».
Memore dell'esperienza in commissione Lavoro alla Camera Del Bono rilancia - «anche a costo di scontrarmi con gli amici di Cisl e Uil» - la necessità di «una legge sulla rappresentanza sindacale». Del Bono non vede invece il «rischio» che la dottrina-Marchionne faccia scuola anche in provincia: «In realtà a Brescia, terra di piccole e medie imprese non sindacalizzate, la linea Marchionne non è di oggi. Si può dire l'abbiano inventata le Pmi bresciane». E la Fiom? «Con queste scelte è la Fiom che diventa eccentrica al quadro delle trattative. Auto-escludersi rende più debole la Fiom e chi resta a trattare».
Pierangelo Ferrari, deputato del Pd, si sofferma su un dato politico, il ruolo del governo. «I governi di Francia, Gran Bretagna, Germania - spiega - si sono posti il problema di mantenere impianti produttivi sui territori nazionali in condizioni di competitività. Lì la politica ha fatto scelte, agendo sulla leva fiscale in favore delle imprese e dei lavoratori». In Italia invece - è la tesi di Ferrari - «il governo è stato fuori dal campo della competitività mentre è intervenuto in quello improprio dei conflitti sindacali. Sacconi ha lavorato per la divisione dei sindacati e per favorire un quadro conflittuale, di scontro». D'accordo anche Ferrari con la Camusso: «Partecipare al referendum e prendere atto del suo esito».
Anche l'ala sinistra del Pd con Paolo Pagani (responsabile area del lavoro) non sposa le tesi della maggioranza della Fiom: «Piuttosto quelle della minoranza. Cioè al referendum voterei, e voterei no. Ma se vincesse il sì ne prenderei atto e - come propone la Camusso - opterei per la firma tecnica. Penso che la Fiom avrebbe dovuto fare come Trentin nel '92, quando firmò un accordo che non condivideva, subito dopo si dimise da segretario della Cgil ma così facendo creò le condizioni per l'accordo del '93». Alla Fiom Pagani attribuisce «troppi errori che l'hanno spinta nell'angolo, scegliendo sempre la via della protesta senza mai una proposta che scompaginasse il campo». Certo l'accordo di Mirafiori è in chiaroscuro: «Accettabile sull'uso degli impianti, non bene su malattia e diritto di sciopero, malissimo sulle Rsa nominate dai sindacati provinciali. Un vero e proprio porcellum». L'alternativa? «Un accordo interconfederale sulla rappresentanza sindacale, da incardinare poi in una legge».
LUIGI GAFFURINI (ex dipendente Iveco) non usa giri di parole: «Io l'accordo l'avrei firmato, pur sapendo che ci si trova in una situazione di fortissimo condizionamento. La Fiom per vent'anni in Fiat non ha firmato gli accordi e ha sempre attaccato chi li firmava. Adesso Marchionne gli presenta il conto: "Se dici di rappresentare i lavoratori ma non firmi mai, non ti siedi neppure al tavolo". Sia chiaro: io ho grande stima per gli iscritti Fiom che di solito si sacrificano di più, lottano di più, ma i loro dirigenti non trovano mai la capacità di una sintesi, rilanciano richieste massimaliste che alimentano divisioni. Ovvio che scatti lo spirito di rivalsa delle altre organizzazioni sindacali». Anche per Gaffurini, comunque, meglio la linea Camusso: «Se passa il referendum, l'accordo va firmato».
Massimo Tedeschi
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