traduzione in italiano dell'articolo - in originale allegato
Brasile - RRC - Il populismo funerario di Cláudio Castro - dalla Rivista della Rivoluzione Culturale
Le immagini del giorno dopo la mega operazione di polizia condotta dalla polizia di Cláudio Castro, che ha provocato la morte di più di 130 persone, sono impressionanti. Più di settanta corpi salvati dagli stessi residenti distesi in una piazza, molti dei quali con segni di esecuzione, come colpi alla nuca e torture. La portata delle uccisioni è senza precedenti: nelle settimane di assedio del Venezuela, le forze militari statunitensi hanno giustiziato circa 50 persone nei Caraibi. In un solo giorno, la polizia militare di Rio ha ucciso ben più del doppio in una unica località.
Bisogna dirlo senza mezzi termini: questa non è una guerra, perché non c'è un progetto politico o nazionale indipendente da parte dell'avversario, cioè del Comando Rosso. In realtà, il traffico di droga è un business miliardario transnazionale, i cui maggiori agenti e beneficiari sono magnati posizionati all'apice del potere politico ed economico. E' ridicolo supporre che possa essere utilizzato da giovani provenienti da ambienti poveri e con poca istruzione, assediati nelle baraccopoli. Se così fosse, il Brasile, che negli ultimi anni ha moltiplicato la sua popolazione carceraria e registra tassi senza
precedenti nel mondo delle esecuzioni extragiudiziali, avrebbe già sradicato il business della droga. Infatti, quello che si pratica sulle colline è il commercio al dettaglio, la punta di una lunga catena che non potrebbe essere mantenuta nemmeno un giorno senza il coinvolgimento degli alti ranghi militari, incaricati, in fondo, di pattugliare le frontiere e lo spazio aereo. Così, la cosiddetta lotta contro il narcotraffico non è altro che un alibi per la commissione di reati ufficiali e per la permanenza di uno stato di eccezione nei confronti di milioni di lavoratori che abitano le favelas e i loro dintorni.Quello che è successo ieri a Rio de Janeiro è stato un massacro che ha ucciso più di cento persone e ha colpito direttamente o indirettamente i dodici milioni di residenti della regione metropolitana, che sono stati privati dei trasporti pubblici per tornare a casa, che hanno avuto le loro lezioni o quelle dei loro figli sospese, che hanno vissuto con voci e allarmi per tutto il giorno. Si è trattato di un'azione di terrorismo di Stato, il cui obiettivo principale era la popolazione civile, già priva di risorse di base, che vive nelle favelas trasformate in teatro di operazioni. Se si vuole parlare di guerra, è semplicemente la guerra delle forze di polizia contro gli stessi poveri brasiliani.
Da un punto di vista operativo, la polizia, pur lasciando dietro di sé una scia di cadaveri, ha fallito. L'obiettivo principale della sua mobilitazione, il membro del CV Doca, non è stato catturato e infatti nulla è cambiato nelle località insanguinate. La miseria, la mancanza di prospettive e l'odio stesso contro le atrocità della polizia fanno sì che i posti lasciati vacanti dalla carneficina di ieri vengano rapidamente occupati da altri giovani poveri e per lo più neri. L'immagine dei corpi distesi risuona in tutto il mondo. Si scopre che non c'è nulla di operativo in questo approccio. Esso, infatti, ha un chiaro scopo politico: Cláudio Castro cerca di scambiare sangue in voti, mettere all'angolo il governo federale e, forse, diventare un nome del bolsonarismo per le elezioni presidenziali, in un momento di vuoto di leadership in questo campo. Tuttavia, lui stesso non è altro che un politico reazionario e inespressivo a livello nazionale, senza la stoffa per combattere in questo campo. Qui, è necessario vedere l'episodio in due fasi: nella fase breve, fallimento dell'operazione e usura del governatore; a medio e lungo termine, un inasprimento della repressione contro i poveri e i dissidenti, seguendo una tendenza globale inaugurata a Gaza.
Spetta ai movimenti popolari intensificare la denuncia del terrorismo di Stato, dei massacri della polizia e della demagogia di uno Stato di diritto che non è altro che una democrazia selettiva, da cui sono esclusi milioni di lavoratori poveri nelle città e nelle campagne. E' chiaro che ci sarà un'opinione pubblica che difenderà la barbarie ed è necessario confrontarsi politicamente con questa corrente, in ogni luogo di studio e di lavoro. In realtà, il populismo funerario è sovra-partitico in Brasile, precede (e in qualche modo ha creato) il bolsonarismo e gli sopravviverà. Se il governo federale decreterà una Garanzia di Legge e Ordine (GLO) a Rio, come hanno fatto Lula e Dilma in altre occasioni, sarà solo complice della continuazione del massacro. E' anche necessario, naturalmente, garantire una solidarietà attiva alle vittime. Dove sono, infatti, le "sacrosante istituzioni democratiche", come la Procura della Repubblica e la Magistratura, che non hanno mai punito nessun governatore di Rio per i massacri che ne affliggono la storia? Alla fine, i politici vengono arrestati solo per corruzione, una delle tante prove che il nostro passato di schiavi riecheggia nel persistente primato del diritto di proprietà sul diritto alla vita.
Infine, questa drammatica situazione, ma anche la crescente resistenza dei lavoratori, anche nella loro auto-organizzazione per salvare le vittime e proteggersi dalla brutalità della polizia, rafforzano non solo la possibilità ma anche la necessità di esercitare forme di autodifesa popolare nelle aree urbane. Sulla scia della crisi mondiale e dell'ondata di manifestazioni che si scatenano in diversi continenti e paesi, la futura rivolta popolare in Brasile sta maturando. Trarre tutte le lezioni da queste azioni genocide, sia dal loro metodo repressivo che dalla resistenza popolare in gran parte spontanea che vi si oppone, è una condizione per portare la lotta il più avanti possibile quando si presenta il momento. Il conto dei carnefici del popolo non fa che aumentare, verrà il momento di farlo pagare.
Brasil - RRC – O populismo funerário de Cláudio Castro - da Revista Revolução Cultural

Republicamos aqui o “Que Fazer?” da Revista Revolução Cultural “O populismo funerário de Cláudio Castro”.
As imagens no dia seguinte à megaoperação policial comandada pela polícia de Cláudio Castro, que resultou na morte de mais de 130 pessoas, são impressionantes. Mais de setenta corpos resgatados pelos próprios moradores estirados em uma praça, muitos deles com sinais de execução, como tiros na nuca, e torturas. A escala da matança é inédita: em semanas de cerco à Venezuela, as forças militares dos Estados Unidos executaram cerca de 50 pessoas no Caribe. Num único dia, a Polícia Militar do Rio assassinou bem mais do que o dobro em uma única localidade.
É preciso que se diga sem rodeios: não se trata de uma guerra, porque não há da parte do oponente, isto é, o Comando Vermelho, nenhum projeto político ou nacional independente. Na verdade, o tráfico de drogas é um negócio bilionário transnacional, cujos maiores agentes e beneficiários são magnatas posicionados no cume do poder político e econômico. É ridículo supor que ele possa ser operado por jovens de origem pobre e escassa instrução, sitiados em favelas. Se assim fosse, o Brasil, que multiplicou sua população carcerária nos últimos anos e coleciona índices sem paralelo no mundo de execuções extrajudiciais, já teria erradicado o negócio da droga. Na verdade, o que se pratica nos morros é o comércio varejista, a ponta de uma longa cadeia que não poderia se manter nem um dia sequer sem o envolvimento das altas patentes militares, responsáveis, ao fim e ao cabo, pelo patrulhamento das fronteiras e do espaço aéreo. De sorte que o dito combate ao tráfico não passa de um álibi para o cometimento de crimes oficiais e para a permanência de um estado de exceção contra milhões de trabalhadores que habitam as favelas e o seu entorno.
O que ocorreu ontem no Rio de Janeiro foi uma chacina que vitimou fatalmente mais de cem pessoas e impactou direta ou indiretamente os doze milhões de moradores da região metropolitana, que ficaram privados do transporte público para voltar para casa, que tiveram as suas aulas ou de seus filhos suspensas, que conviveram com boatos e alarmes durante todo o dia. Foi uma ação de terrorismo de Estado, cujo alvo principal foi a população civil, já carente de recursos básicos, que mora nas favelas convertidas em teatro de operação. Se se quiser falar em guerra, ela é simplesmente a guerra das forças policiais contra os próprios brasileiros pobres.

Aos movimentos populares, cabe intensificar a denúncia do terrorismo de Estado, das chacinas policiais e da demagogia de um Estado de direito que não passa de uma democracia seletiva, da qual estão excluídos milhões de trabalhadores pobres da cidade e do campo. É claro que haverá uma opinião pública que defenda a barbárie e é preciso fazer o enfrentamento político a esta corrente, em cada local de estudo e de trabalho. De fato, o populismo funerário é suprapartidário no Brasil, ele antecede (e de algum modo criou) o bolsonarismo e sobreviverá a ele. Se o governo federal decretar uma Garantia de Lei e Ordem (GLO) no Rio, como Lula e Dilma fizeram em outras ocasiões, apenas se acumpliciará com o prosseguimento do massacre. Também é necessário, claro, prestar solidariedade ativa às vítimas. Aliás, onde estão as “sacrossantas instituições democráticas”, como o Ministério Público e o Judiciário, que jamais puniram qualquer governador do Rio pelas chacinas sucessivas que assolam a sua história? Eventualmente, políticos são presos por corrupção somente, uma das tantas provas de que nosso passado escravista ecoa na persistente primazia do direito de patrimônio sobre o direito à vida.
Finalmente, essa situação dramática, mas também a crescente resistência dos trabalhadores, inclusive na sua auto-organização para resgatar as vítimas e se protegerem das brutalidades policiais, reforçam não só a possibilidade mas também a necessidade de exercitar formas de autodefesa popular em áreas urbanas. No esteio da crise mundial e da onda de manifestações que se desatam em vários continentes e países, amadurece o futuro levantamento popular no Brasil. Tirar todas as lições dessas ações genocidas, tanto do seu método repressivo como da resistência popular, em grande parte espontânea, que se opõe a elas, é condição para levar a luta o mais longe possível quando o momento se apresente. A conta dos algozes do povo só aumenta, chegará a hora dela ser cobrada.
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