giovedì 30 ottobre 2025

pc 30 ottobre - La Palestina, il movimento di massa, noi comunisti

La Palestina non è solo la madre di tutte le ingiustizie, dei crimini verso i popoli oppressi, verso l’umanità, la Palestina significa resistenza e la Palestina libera anche noi. 

La questione del ruolo del governo, del ruolo del moderno fascismo, l'appoggio criminale da parte del governo italiano ad Israele, forniscono il terreno per porre la possibilità del suo rovesciamento.

Le masse stanno lottando per una causa che ne vale la pena, in questo scoprono che lottare per una causa non è assolutamente una cosa non concreta. Lottare per una causa è la questione vitale di cui hanno bisogno, chiaramente soprattutto i giovani, perché evidentemente sono predisposti per questo, ma anche tutti gli altri, tutte le masse attaccate, devastate ideologicamente, politicamente e materialmente dall'oppressione capitalista e dall'intreccio crisi, oppressione, guerra, dalla drammaticità delle cose che appaiono nel mondo e dalla miseria quotidiana.

La miseria della vita quotidiana ci spinge a comprendere che ci vuole una causa per poter uscire da questa miseria e riscattarsi. In questo senso la Palestina è questo, invade, aiuta, trasforma.

Il movimento ha queste caratteristiche, e noi, comunisti, ci stiamo bene.

Chiaramente il materialismo dialettico ci insegna il rapporto oggettivo e soggettivo e ci insegna anche quella cosa che è più difficile da imparare, la questione dei tempi.
Anche i tempi sono importanti, da tenere in conto. Siamo sull'onda del movimento, ci mettiamo al suo servizio, ci facciamo trascinare e nello stesso tempo lo aiutiamo a comprendere la natura della lotta che sta facendo.

Anche nel ‘68 furono fatti passi giganteschi in pochi mesi. Tutto a un tratto, da giugno a novembre era scoppiato tutto. Tutti entrarono in fermento. Allora fu il Vietnam, il movimento studentesco, tutta una serie di questioni che colpivano, che invadevano e quindi stimolavano. Allora avevamo un vento, quello della rivoluzione, della Grande rivoluzione culturale proletaria, della mobilitazione rivoluzionaria delle grandi masse cinesi.

Ma anche allora occorreva pazienza - anche se non ne avevamo. Per la scesa in campo degli operai ci volle un anno, quello che passò tra l'estate-autunno del 68 e l'estate-autunno del 69, l'Autunno caldo. 

Ecco, oggi pure noi siamo in attesa. Non dobbiamo illuderci ma neanche frenarci. Dobbiamo continuare in questo vento.

Gli insegnamenti storici dell'Autunno caldo ci dicono che se entra in campo la classe operaia non sarà in discussione un governo, ma la rivoluzione, cioè il cambiamento di questo sistema. Nel ‘68, in cui c’erano manifestazioni dalla mattina alla sera, si gridava: borghesi ancora pochi mesi, e si pensava che effettivamente ci sarebbero voluti pochi mesi. Certo, nel ‘68 poi si vide che i mesi erano molti di più e che le tappe dovevano passare dalle forche caudine del flusso e del riflusso. 

Però, oggi, una volta tanto, possiamo fare questo discorso senza che sia un discorso storico, ma qualcosa che può tornare a vivere anche oggi. 

E su questo dobbiamo essere attenti. Attenti alle posizioni; perché anche allora le posizioni alla fine contarono tanto, e su ogni cosa c'erano sempre tre posizioni: l'opportunismo di destra, l'estremismo che è poi un'altra forma di opportunismo e la posizione giusta. 

Questa è una importante questione anche oggi. Per esempio si può pensare che l'appropriazione fatta da USB, Potere al popolo delle mobilitazioni del 22, del 3 ottobre sul momento può non dare così tanto fastidio perché in fondo stanno facendo il loro mestiere: hanno chiamato allo sciopero, hanno mobilitando gente, sono un riferimento. Però capiamo che dentro questa appropriazione c'è poi la riduzione di un grande movimento a quello che è possibile, e quindi via via si opera una burocratizzazione del movimento che ne soffoca l’anima, impedisce che l'onda vada avanti.  

Nello stesso tempo come fattore secondario non bisogna trascurare, non tanto le prassi combattenti e militanti che sono caratteristiche dei movimenti reali, e questo è un movimento reale, ma l'ideologia estremista di gruppi che vogliono sovradeterminare il movimento reale Ma attenzione, qui non siamo di fronte a un movimento pacifico, perché il movimento che poi si è ritrovato a Roma, ha bloccato strade, ha bloccato autostrade, ha invaso stazioni, si è scontrato con la polizia, ha attaccato la Leonardo, anche nelle più piccole realtà, è un movimento attivo, violento nel senso buono della parola, antagonista e combattivo e non ha bisogno di imparare su questo terreno, ma di crescere.

Nello stesso tempo, ogni sottovalutazione, ogni atteggiamento di “fare le pulci” al movimento reale non è mai un buon mestiere. 

La scelta nostra è un'altra, la scelta è appunto di starci dentro, diventare sempre più determinati, influire di più, essere di più noi, perché poi i giochi si dovranno fare. Con l'opportunismo di destra innanzitutto che come sempre è la faccia attuale del revisionismo, della socialdemocrazia nel movimento reale e quindi è il nemico principale, che comincia a recintare il movimento e poi passa nell'altro campo. Dobbiamo comprendere che nel piccolo si mostrano spesso le grandi deviazioni che vanno criticate e combattute. 

Devono maturare le ragioni perché si debba tornare a Roma con più forze di prima. Occorre che entri in campo un settore che non c'è ancora, la classe operaia, la massa dei lavoratori; anche se erano tanti certamente i lavoratori presenti a Roma il 4 ottobre. 

Un'ultima questione. Questa storia della classe operaia è tosta, e quindi dobbiamo avere su questo una doppia pazienza, perché anche gli operai hanno bisogno di uno scossone che in qualche maniera li aiuti a comprendere la natura del problema. E il detonatore è il fattore esterno ancora, non è il fattore interno. 

Bisogna cogliere la dimensione effettiva dell’attuale governo. Questi sono fascisti dentro, ancora più di quanto siano fascisti fuori, perché fuori cercano in qualche maniera di celare, nascondere. Le reazioni istintive della Meloni, il modo con cui si rapporta, questo è il fascismo, la politica poi si adegua, pur piena di contraddizioni perché non sono già forti da imporre il fascismo nel paese. Noi dobbiamo insistere molto sul “fascismo dentro”, ed è quello che stiamo cercando di fare quando denunciamo tutti i comportamenti di questi governanti, i comportamenti umani, morali, di stile, ecc., che quando vengono fuori aiutano il processo di mobilitazione.

Questo governo non si dimette perché non riconosce lo stato di Palestina o perché non rompe i legami con Netanyahu, non è possibile che si dimetta per questa ragione, deve entrare la guerra, deve entrare la condizione economica, la goccia che fa traboccare il vaso. 

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