Una eloquente intervista al Giornale di quella figura che incarna questa continuità
"A rischio la democrazia. E la Meloni va protetta"
L'ex ministro dell'Interno, Marco Minniti: "Mai sottovalutare le minacce, molte forze vogliono creare instabilità"
Marco Minniti, ex ragazzo di Berlinguer, ha una lunghissima carriera politica. È stato ministro dell'Interno e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio in vari governi di centrosinistra. È stato autorità delegata ai servizi segreti. Oggi dirige il centro studi di politica internazionale di Leonardo.
Onorevole Minniti, sembra che ci siano vere e proprie minacce di morte contro Giorgia Meloni. Vanno prese sul serio?
«Assolutamente sì. Mai sottovalutare queste minacce. Specialmente in questo momento di crisi internazionale e mentre ci sono forze ingenti che operano per creare instabilità».
Ma i nostri servizi segreti sono efficienti?
«Sì, lo sono. Tecnologicamente non siamo proprio in primissima fila. Lo siamo, invece, per le capacità humint: le relazioni e le conoscenze sul campo. Vede, Israele è stata colpita a sorpresa, il 7 Ottobre del '23, perché aveva dei servizi potentissimi tecnologicamente ma che avevano perso la passione per le capacità humint. Noi invece siamo l'unico paese occidentale mai colpito dal terrorismo internazionale. Non si tratta del tipo stellone italiano ma di una straordinaria collaborazione tra servizi segreti, forze di polizia, magistratura. Tutto ciò fa dell'Italia un modello».
Dossier, intercettazioni abusive, spionaggio. L'Italia è nelle mani di alcuni gruppi di spioni?
«Ci sono molte indagini in corso. Coordinate dalla Procura nazionale. Il quadro è allarmante. È in corso
un'attività di spionaggio, di soggetti infedeli e forse di privati, che mette in discussione alcuni pilastri della nostra democrazia».Quali sono i pilastri che vengono attaccati?
«Usare informazioni riservate per cambiare l'andamento della lotta politica colpisce i fondamenti della Costituzione e della democrazia: la libertà del confronto politico. Poi c'è la libertà nel funzionamento dell'attività economica. E questa attività di spionaggio rischia di demolirla modificando gli andamenti dei mercati con azioni illegali. Sono questi i due pilastri della democrazia: la libertà politica e la libertà del mercato».
Quindi allarme democratico?
«Sì».
È un problema solo italiano?
«No. Riguarda tutti. Dobbiamo partire da qui: noi sappiamo che in pochi anni è cambiato radicalmente il funzionamento della macchina delle informazioni. Le tecnologie hanno rivoluzionato tutto e ci consentono ogni momento di più di aumentare le capacità informative di tutti. Questo ovviamente è un fatto positivo. Arricchisce le nostre società. E però dobbiamo sapere che più è ampia la possibilità di accedere alle informazioni e più il sistema è fragile. Dovevamo saperlo e dovevamo intervenire prima».
Questi spioni rispondono a se stessi o anche a potenze esterne?
«Lo capiremo meglio completando le indagini. Le indagini devono procedere senza guardare in faccia a nessuno».
Qual è il meccanismo di questa attività di spionaggio?
«La bussola è sempre la stessa: controllare la vita degli altri. E quindi esprimere potere sugli altri».
La vita degli altri?
«Si ricorda quel film sul funzionamento del controllo sociale e politico in paesi comunisti come la Germania orientale? L'idea allora era di utilizzare gli elementi di controllo come uno strumento per realizzare un potere assoluto sulla tua vita. Fino a spingerti alla paranoia.
Cosa facevano i servizi segreti della Germania orientale?
«Loro sapevano, per esempio, che tu eri una dissidente. Allora, mentre tu eri al lavoro, ti entravano in casa e spostavano tutti i mobili. Tu rientravi in casa ed eri allibita. In quel momento arrivava una telefonata e ti chiedevano di tornare immediatamente in ufficio. Tu più tardi tornavi a casa e ritrovavi i mobili tutti a posto. A quel punto pensavi di essere impazzita».
In Italia siamo a questo punto?
«No. Per fortuna da noi la cosa è molto più limitata. Però l'idea di partenza è quella».
Ma chi sono gli spioni?
«Funzionari infedeli».
Anche ditte private?
«Al momento entrambi. Il punto più delicato è comprendere se gli agenzie di investigazioni hanno individuato e quindi utilizzato delle fragilità del nostro sistema di banche dati. Dal gossip si passerebbe alla sicurezza nazionale».
Il rischio è che questa nostra fragilità sia utilizzata da forze esterne al nostro paese?
«Questo rischio c'è. Possedere una quantità incredibile di informazioni riservate può essere utilizzato per colpire il nostro paese. Colpire l'economia, la produttività, ma anche il ruolo dell'Italia nel mondo».
Ci sono forze interessate a questo?
«Sì. Noi viviamo in un mondo senza punti di riferimento che potremmo chiamare Caos-landia. In questo quadro l'idea di potere condizionare su tutti i piani un paese importante come l'Italia fa gola a molti».
Quindi lo spionaggio non è solo per fare gossip?
«C'è un confine labilissimo tra un gossip all'ennesima potenza e un complotto internazionale».
Che fare?
«Primo problema: gli infedeli. Non basta cercarli per punirli dopo che il reato si è consumato. Si tratta di persone che stanno nel cuore dello Stato. Si muovono con agilità. Non hanno paura. E conoscono dettagliatamente virtù e vizi dello Stato. Devi avere una attività preventiva.
Come?
«Tre parole: selezione; controllo; rotazione. La selezione del personale deve essere attentissima. E si deve puntare soprattutto sui giovanissimi. Perché è dimostrato che le capacità di comprensione nel campo Cyber è inversamente proporzionale all'età. Il controllo deve essere continuo e a più livelli. Non può essere affidato solo alla magistratura. Se un funzionario fa tremila accessi devo saperlo subito, non fra dieci anni. E la rotazione deve essere rapida, perché limita il potere del singolo».
La magistratura che fa?
«La magistratura stavolta ha funzionato. Ha scoperto, è intervenuta, sta indagando».
Le nuove tecnologie?
«Le tecnologie sono un alleato dell'uomo. Ma sono solo un alleato. È l'uomo che comanda. Il fattore umano prevale sempre sulla macchina».
Cosa deve fare la politica?
«Si è discusso sulla possibilità di istituire una commissione parlamentare di inchiesta. Io credo che il Parlamento deve capire cosa è successo, perché solo se lo capisce può costruire le condizioni perché non succeda più. Dunque una approfondita indagine parlamentare è necessaria però».
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