Una «grande alleanza per il merito» che coinvolga famiglie, ragazzi, insegnanti, imprese e sindacati, abbassando la conflittualità tra le parti sociali e prevedendo un forte investimento sugli istituti tecnici, anche a fronte di una domanda di competenze che, dai dati citati dal ministro, peserebbe per 1,2 milioni di posti di lavoro non coperti per mancanza di adeguate qualifiche".
«Voglio mandare una lettera a tutte le famiglie con dati concreti sulle possibilità occupazionali e retributive sul territorio rispetto alla scelta educativa. E l'insegnante deve essere il consigliere della famiglia».
Parole del ministro dell'istruzione Valditara durante la presentazione dei dati forniti dalla Fondazione Rocca, che in collaborazione con l’Associazione TreELLLe ha redatto il rapporto “Scuola, i numeri da cambiare” presentato ieri, 17 novembre, a Roma, alla presenza, tra gli altri, del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, del presidente di Confindustria Carlo Bonomi, del direttore della Fondazione Agnelli
Sono i padroni che dettano le linee della riforma reazionaria e neocorporativa della scuola e della società necessaria per avere la nuova forza lavoro giovane, ricattata e da sfruttare meglio nelle fabbriche e per un lavoro da moderni schiavi "considerando che l’età media nel nostro Paese cresce: nel 2021 era di poco inferiore ai 46 anni, due in più rispetto a un decennio fa. E più una società invecchia, più diviene fondamentale la sua capacità di investire nel capitale umano dei propri giovani."
«L’ascensore sociale è fermo, ora riformare la scuola», in un libro i nodi
Si lamentano che " l’Italia è tra i Paesi europei quello con il maggior numero di giovani Neet («not in education, employment, or training»), quasi un quarto del totale nella fascia 18-24" e che nella scuola "soprattutto alle medie, che come ci dicono i numeri, sono l’anello debole della catena in un momento in cui il cervello dei ragazzi si sviluppa maggiormente — serve un ripensamento completo del suo funzionamento"
Quindi la strada è quella della differenziazione, della concezione borghese per una scuola di classe:
"Le scuole operano in situazioni sociali, economiche, geografiche molto diverse: dunque avrebbero bisogno di autonomia per poter riorganizzare il tempo, lo spazio educativo, i programmi in maniera «sartoriale», ovvero ritagliata sulle esigenze specifiche dei propri studenti."
Ossia fondata sulle esigenze dei padroni e dello sfruttamento del lavoro salariato e non sui bisogni degli studenti e sullo sviluppo di una capacità critica.
E in questo quadro che si preparano ad usare i fondi del PNRR che: " contiene elementi potenzialmente dirompenti. Pensiamo ad esempio al concorso di idee per la progettazione di edifici scolastici innovativi: può consentire di rinnovare il patrimonio scolastico, ma solo se le soluzioni architettoniche saranno ancorate a una nuova organizzazione delle attività didattiche."
Quindi una parte la scuola di serie a per chi dovrà essere istruito alla catena di comando e dall’altra le masse, i proletari istruiti e firmati con l'alternanza scuola lavoro e altro pronte a essere i nuovi schiavi salariati.
«Chi ha la fortuna di nascere nella regione giusta o in una famiglia colta e benestante - afferma infatti il rapporto - può ottenere molto dalla scuola e farsi strada. Gli altri rischiano di finire ai margini di una società che dipende sempre più dalla conoscenza».
Come conferma Giovanni Biondi, curatore del libro “Scuola, i numeri da cambiare”.
Seguono articoli stampa:
Perché è necessaria una nuova scuola
di Gianfelice Rocca
Il problema non sono i soldi, ma piuttosto il modo in cui li spendiamo. In altre parole, è l’organizzazione
In un momento di acceso dibattito sul merito dei nostri giovani, i dati raccolti da Fondazione Rocca sulla scuola
mostrano un immobilismo di 20 anni che non può che accendere i riflettori sul ruolo fondamentale di questa istituzione. La scuola dovrebbe essere la prima preoccupazione di tutti, a partire dalle classi dirigenti, soprattutto considerando che l’età media nel nostro Paese cresce: nel 2021 era di poco inferiore ai 46 anni, due in più rispetto a un decennio fa. E più una società invecchia, più diviene fondamentale la sua capacità di investire nel capitale umano dei propri giovani.
La comparazione internazionale evidenza una scuola primaria italiana competitiva. Ma quando parliamo di scuola secondaria, i risultati peggiorano inesorabilmente. I dati evidenziano che le scuole medie, in particolare, sono il nostro grande vulnus: l’impostazione di questi tre anni, non fornendo spesso stimoli adeguati, non crea nei ragazzi curiosità né favorisce lo sviluppo di competenze. Un vulnus che — ci raccontano i numeri — si trascina poi fino al termine delle superiori: quando arrivano alla maturità, sebbene praticamente tutti conseguano il diploma, circa la metà dei nostri studenti non solo non ha competenze adeguate né in italiano né in matematica, ma non ha neppure quelle necessarie a proseguire gli studi o a trovare un’occupazione (la cosiddetta «dispersione implicita»). Infatti, l’Italia è tra i Paesi europei quello con il maggior numero di giovani Neet («not in education, employment, or training»), quasi un quarto del totale nella fascia 18-24 anni. Un problema, come in generale la performance scolastica, particolarmente grave al Sud dove la dispersione implicita è 8-10 volte maggiore che al Nord.
Da cosa dipende questo dramma educativo? Dalle risorse che non bastano? Se così fosse, basterebbe allocare più fondi. Ma, purtroppo, non è così. La spesa per studente (circa 10.500 euro all’anno nella scuola secondaria superiore) è in linea con la media europea e superiore a Paesi come Francia e Spagna. Non solo: molte scuole, specie nel Mezzogiorno, integrano i finanziamenti ordinari con i fondi Pon, arrivando a raccogliere ogni anno fondi aggiuntivi per 9-10 progetti per scuola. Sebbene l’obiettivo di questi progetti sia spesso legato al contrasto alla dispersione, gli effetti sono miseri anche per effetto della distribuzione a pioggia dei finanziamenti per i quali si richiede unicamente una rendicontazione finanziaria.
Il problema, dunque, non sono i soldi, ma piuttosto il modo in cui li spendiamo. In altre parole, è l’organizzazione. Alla scuola — e soprattutto alle medie, che come ci dicono i numeri, sono l’anello debole della catena in un momento in cui il cervello dei ragazzi si sviluppa maggiormente — serve un ripensamento completo del suo funzionamento. Oggi, i ragazzi che si laureano e trovano un lavoro lo fanno grazie alla propria volontà, magari alla famiglia che li sostiene, e alla capacità di sopravvivere a una scuola che giudica ma non allena i talenti e neppure ne sviluppa di nuovi. In altre parole, grazie a meriti individuali, non della scuola.
Se pensiamo a questa istituzione come a un grande transatlantico, che trasporta un equipaggio di oltre un milione di membri (di cui circa 800mila insegnanti, fra i quali oltre 200mila solo alle medie) e otto milioni di passeggeri, non possiamo non capire che qualunque manovra è soggetta a un’inerzia enorme. Come quindi invertire la rotta, a partire dalle medie? È necessario aprire un dibattito alla ricerca delle migliori soluzioni, anche alla luce di quanto si discute a livello internazionale per la fascia 11-13 anni. Servono obiettivi chiari e manovratori esperti, forse anche una gerarchia meglio strutturata (tra dirigente e docente non esiste alcun quadro intermedio), con maggiori prospettive di gratificazioni e carriera. Le scuole operano in situazioni sociali, economiche, geografiche molto diverse: dunque avrebbero bisogno di autonomia per poter riorganizzare il tempo, lo spazio educativo, i programmi in maniera «sartoriale», ovvero ritagliata sulle esigenze specifiche dei propri studenti. Da questo punto di vista, il Pnrr contiene elementi potenzialmente dirompenti. Pensiamo ad esempio al concorso di idee per la progettazione di edifici scolastici innovativi: può consentire di rinnovare il patrimonio scolastico, ma solo se le soluzioni architettoniche saranno ancorate a una nuova organizzazione delle attività didattiche.
In questi ultimi 20 anni si sono avvicendati 12 ministri dell’Istruzione, ma l’autonomia è rimasta al palo. Oggi non possiamo più permetterci il lusso di lasciar correre. Mettere mano alla scuola dovrebbe essere la prima priorità e il primo pensiero non solo del ministro Giuseppe Valditara, ma di tutti noi.
«L’ascensore sociale è fermo, ora riformare la scuola», in un libro i nodi da sciogliere
La fotografia dell’istruzione italiana nel volume «Scuola, i numeri da cambiare». Alla presentazione anche il ministro Valditara e Bonomi, leader di Confindustria
Andrea Gavosto, Fondazione Agnelli, Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, Francesco Profumo, presidente Fondazione Compagnia di San Paolo, Giuseppe Valditara, Ministro dell’Istruzione, Gianfelice Rocca, presidente Fondazione Rocca, Brunello Cucinelli stilista, Luca Cordero di Montezemolo
Andrea Gavosto, Fondazione Agnelli, Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, Francesco Profumo, presidente Fondazione Compagnia di San Paolo, Giuseppe Valditara, Ministro dell’Istruzione, Gianfelice Rocca, presidente Fondazione Rocca, Brunello Cucinelli stilista, Luca Cordero di Montezemolo
Un sistema educativo gravato da debolezze che finiscono con l'amplificare le diseguaglianze, un ascensore sociale bloccato da oltre vent'anni: uno stallo da superare grazie a una riorganizzazione basata sull'autonomia scolastica e l'incentivazione dei docenti. È la fotografia della scuola italiana scattata dalla Fondazione Rocca nel libro “Scuola, i numeri da cambiare” realizzato in collaborazione con l'associazione TreEllle e presentato il 17 novembre a Roma alla presenza del ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara e del leader di Confindustria Carlo Bonomi dal presidente della Fondazione, Gianfelice Rocca. Con loro il curatore del volume Giovanni Biondi, il direttore della Fondazione Agnelli Andrea Gavosto, il presidente della TreEllle Attilio Oliva e il presidente della Fondazione Compagnia di San Paolo, l'ex ministro Francesco Profumo.
Grande alleanza
Un'occasione, per Valditara, per proporre una «grande alleanza per il merito» che coinvolga famiglie, ragazzi, insegnanti, imprese e sindacati, abbassando la conflittualità tra le parti sociali e prevedendo un forte investimento sugli istituti tecnici, anche a fronte di una domanda di competenze che, dai dati citati dal ministro, peserebbe per 1,2 milioni di posti di lavoro non coperti per mancanza di adeguate qualifiche. E una “grande alleanza” tra pubblico e privato è anche ciò che ha auspicato Bonomi. Il quadro che emerge dal rapporto sul «transatlantico scuola - lo definisce Rocca - con 800mila insegnanti e 8 milioni di studenti» è quello di una «emergenza nazionale». «Chi ha la fortuna di nascere nella regione giusta o in una famiglia colta e benestante - afferma infatti il rapporto - può ottenere molto dalla scuola e farsi strada. Gli altri rischiano di finire ai margini di una società che dipende sempre più dalla conoscenza». C'è una «forbice netta» ha spiegato Biondi «tra le regioni del Sud e del Nord» in particolare per quanto riguarda le competenze in matematica al momento del diploma, che invece fino alla scuola primaria appaiono in linea con la media Ue e omogenee sul territorio. E' alle medie però che si aprirebbe la crepa nella curva delle competenze, e in un momento perlopiù «cruciale», secondo Gavosto, cioè quando i ragazzi devono scegliere l'indirizzo superiore. «Voglio mandare - ha affermato Valditara - una lettera a tutte le famiglie con dati concreti sulle possibilità occupazionali e retributive sul territorio rispetto alla scelta educativa. E l'insegnante deve essere il consigliere della famiglia». Docenti che anche secondo lo studio della Fondazione Rocca devono essere maggiormente incentivati con «una carriera meglio strutturata».
Le risorse
Il problema del sistema italiano infatti non sarebbero le risorse: se la spesa per la scuola in relazione al Pil è del 4%, un punto sotto la media Ue, la spesa per studente è in linea con gli altri paesi e persino superiore a Francia e Spagna. L'Italia ha il numero di studenti per docente più basso dei Paesi Ue, ma se il 98% degli insegnanti è felice del suo lavoro, solo il 21% trova lo stipendio soddisfacente. Risultato: il mestiere di docente non è considerato appetibile.
Edilizia scolastica
E infine l'edilizia scolastica, con aule e corridoi che rispecchiano la centralità della “lezione frontale”, necessaria in una società allora da alfabetizzare. «Ma oggi - ha detto ancora il curatore del volume - c'è un mondo diverso, e serve un modello diverso». “Isola virtuosa” in questo senso sono gli Its, dove «si evidenziano modelli di eccellenza, didattiche innovative, una forte impronta laboratoriale. La quota di studenti che trova un'occupazione entro un anno dal diploma è superiore all'80-90%». Più in generale, comunque, secondo Oliva (TreEllle) sarebbe urgente «potenziare un “Servizio nazionale di valutazione”» per scuole e operatori. Infine, ha ricordato Profumo, «in Italia in 20 anni si sono succeduti 12 ministri: ma bisogna pensare lungo» e avere la forza, come fece la Finlandia, di progettare un piano di riforma ventennale.
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