Questo accordo dovrebbe arrivare a conclusione entro tre
mesi, il tempo necessario a verificare le cosiddette “condizioni sospensive” e
cioè quelle relative alle autorizzazioni necessarie da parte delle autorità
competenti, compreso quelle del governo Meloni, che ha parlato anche di
garanzie: rispetto di tutte le normative antitrust, garanzia dei posti di lavoro
e salute e sicurezza, riconversione green, rilancio industriale, risanamento
del depuratore Ias attualmente sequestrato dalla magistratura per inquinamento
e del quale i nuovi padroni si accollerebbero tutte le spese!
È chiaro che tutte queste rassicurazioni, tutti questi
bei propositi, che somigliano a quelli di tante altre trattative (vedi ex Ilva
ora Acciaierie d’Italia) non possono per niente tranquillizzare i circa 10.000 lavoratori
coinvolti sempre a rischio cassa integrazione e poi licenziamento.
La pesante entrata in campo del governo che minaccia l’uso
del “golden power” dice appunto che le cose possano non andare lisce, come
invece fanno pensare i titoli dei giornali e gli annunci di tanti politici
nazionali e locali.
Questa posizione è dettata anche dal giro di fondi
speculativi, multinazionali, intermediari finanziari e politici (Svizzera, Cipro,
Israele) coinvolti nell’affare (e che avrebbero battuto l’offerta del fondo speculativo
americano Crossbridge). Attratti giustamente da uno dei più grandi siti
industriali d’Europa sul fronte della raffinazione di prodotti petroliferi, un
complesso petrolchimico che combina impianti di raffinazione, gassificazione e
cogenerazione di energia elettrica ed è costituito da tre siti produttivi
interconnessi.
La “trattativa” per l’acquisto, infatti, l’ha portata avanti,
Michael Bobrov che è l’amministratore delegato di G.o.i. Energy, che è
anche amministratore delegato e azionista di maggioranza di Green oil energy,
che a sua volta è l’azionista di maggioranza di Bazan Group, uno dei più
grandi e complessi gruppi energetici in Israele, che gestisce il più
grande impianto integrato di raffinazione e petrolchimico del Paese.
G.o.i. Energy, a sua volta, è il ramo del settore energetico di Argus, un fondo di private equity e asset management leader (fondo di investimenti finanziari alla ricerca di grandi profitti e che possiede i soldi in contanti per l’acquisto) a Cipro, ma a trazione israeliana.
Per la fornitura del petrolio e delle materie prime entra in
campo, a sua volta, Trafigura, il secondo commerciante più grande al
mondo di petrolio, che permetterà di garantire la continuità produttiva
dell’impianto con flussi di petrolio ininterrotti.
Il giro d’affari è enorme: l’Isab sviluppa attività per
miliardi di euro all’anno, ma la Lukoil ha dovuto accontentarsi, a causa delle
sanzioni, di 1 miliardo e mezzo di euro. In questa guerra per i profitti tra le
multinazionali c’è chi vince e c’è chi perde.
Per il governo moderno fascista Meloni questo passaggio di
proprietà di un sito produttivo ritenuto di rilevanza strategica per
il Paese, nelle mani di multinazionali estere, è una vittoria! Proprio il
contrario delle tante chiacchiere che la stessa Meloni ha speso durante la
conferenza di fine anno, dicendo, a proposito di energia, che non si può passare
“dalla dipendenza della Russia alla dipendenza verso la Cina”, mentre qui si passa
bellamente dalla dipendenza della Russia a quella di Israele, Cipro, Svizzera…
ma d’altronde questa è proprio quella “globalizzazione senza regole”, quel “commercio
senza regole”, della quale la Meloni (alla quale piacerebbe tanto poter portare
avanti la politica fascista dell’autarchia) si lamenta e dalla quale voleva
salvarsi.
Mentre i politici e i sindacalisti regionali rassicurano che
per quanto riguarda il depuratore a breve sarà pronto un decreto legge: “denominato
Lukoil sui settori produttivi strategici” e che “sarà in Aula la prossima
settimana”, come dice il senatore di Fratelli d’Italia, Salvo Pogliese, ex
sindaco di Catania, che ha presentato in commissione Senato un emendamento che
mira proprio alla continuazione della raffinazione del greggio del sito
siciliano, con la concessione ai colossi industriali di continuare ad
utilizzare il depuratore per i prossimi 36 mesi, limite ultimo per
mettersi in regola con la depurazione delle scorie; mentre Schifani e i suoi
assessori dicono di aver “lavorato per cercare di creare condizioni di
stabilità ad un asset strategico come il petrolchimico che è un sito di
rilevanza strategica per il Paese” e di aver dato già un sostegno
finanziario per eliminare lo stato di crisi; mentre per i sindacalisti si
tratta di “una svolta per l’impianto e il territorio ... Il governo regionale deve
ora attivarsi per avere garanzie sulla consistenza degli investimenti previsti
e sulle ricadute occupazionali”. (Proprio come erano garanzie quelle per
la ex Fiat di Termini Imerese!) e assicurano che vigileranno “sul pieno
mantenimento dei livelli occupazioni e sulle garanzie in materia di salute e
sicurezza”. (Come no! Tra una cassa integrazione a vita e un morto e l’altro
sul lavoro!)… al contrario di tutte queste “rassicurazioni”, gli operai e tutti
i lavoratori coinvolti possono e devono far tesoro delle esperienze di tante
altre vertenze, a cominciare da quella importantissima, e ancora non risolta,
dell’ex Ilva di Taranto… far tesoro degli inganni e degli imbrogli, delle
promesse impossibili da mantenere e soprattutto della necessità della
mobilitazione diretta degli operai per rispondere in maniera forte e organizzata
alle manovre dei padroni e dei loro governi.
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