Dal punto di vista proletario, rivoluzionario, antimperialista la questione ha i suoi lati positivi perché spinge tutte le forze in movimento negli Usa, da Minneapolis in poi, a comprendere che non si tratta di fermare Trump limitandosi alla contesa elettorale e al voto a Biden, ma bisognerà combattere per le strade, prima, durante e dopo, la massima resistenza che Trump opporrà alla sua cacciata.
Trump da mesi lancia allarmi per il voto postale che nell’anno del coronavirus interesserà oltre 100 milioni di americani. Qui fino al 3 novembre il voto postale sarà possibile ed è del tutto evidente, anche con la nomina della Barrett alla Corte costituzionale, che Trump scatenerà l’inferno, non riconoscerà e impugnerà il voto.
Questa situazione sta chiamando il Pentagono e le gerarchie militari ad un ruolo in questa contesa che normalmente non hanno avuto nelle precedenti vicende presidenziali. Il Pentagono non è al servizio di
un presidente, anche se il ruolo del presidente come comandante in capo ha sempre avuto un peso determinante per l’azione del Pentagono; ma il Pentagono è al servizio degli interessi generali dell’imperialismo Usa e specificatamente al servizio del complesso militare-industriale-finanziario che ne costituisce il centro determinante. Quindi in questo caso non si può pensare che il Pentagono sarà al servizio di Trump, e che, quindi, farà valere il suo peso prima, durante e dopo le elezioni.Un segnale in questo senso sono gli arresti degli estremisti suprematisti bianchi che avevano nei loro piani un colpo di Stato, e questo è ridicolo, sostenuto da azioni effettivamente molto gravi anche nello steso panorama Usa: il sequestro di una governatrice democratica e l’occupazione del Palazzo del governo dello Stato del Michigan.
Questa situazione, però, chiaramente non evita che si siano delle divisione che toccano i bracci militari dell’imperialismo Usa. Qui abbiamo avuto da un lato il Ministro dell’Esercito, repubblicano, e quindi immaginiamo forte sostenitore di Trump, che ha avocato l’intervento della Guardia nazionale, e il diverso tono della dichiarazione del n. 1 del Pentagono, il Gen. Milley, che ha scritto nero su bianco che non ci potrà essere nessun ruolo dei militari nella contesa elettorale; che è come dire che non ci sarà nessun allineamento alle pretese di Trump.
Dio fronte all’assalto di Trump al risultato elettorale, vuol dire che il Pentagono risponderà “picchè” e si porrà a ‘nume tutelare’ del risultato del voto, e quindi di un Biden vincente.
E’ evidente, però, che questo non è un processo pacifico ed ha serie conseguenze, perché tutti prevedono che la prima mossa di Trump, dopo un risultato a lui sfavorevole, sarà oltre che l’impugnazione del voto, quello di far ricorso all’”insurrection Act”, prendendo a pretesto disordini e contestazioni, peraltro in parte da lui stesso provocati.
E questo anche dopo il risultato sfavorevole alle elezioni? Sicuramente, perchè gli viene in aiuto la legge degli Usa che non prevede un immediato passaggio di potere e non congela i poteri presidenziali fino all’effettiva entrata in carica del nuovo presidente che normalmente avviene a gennaio. Qui, evidentemente, secondo quanto dicono alcuni commentatori, il Pentagono reagirà con una ferma opposizione all’eventuale introduzione dell’”insurrection Act”.
Tutto questo, comunque, lascerà una traccia indelebile nel sistema americano. La crescita esplicita del ruolo dei militari nella gestione anche politico-istituzionale del paese, e questo fatto gli viene offerto sul un piatto d’argento proprio da Biden che, sempre secondo la stampa americana, ha diffuso l’idea che “i leader militari possano aver un ruolo nella espulsione di Trump dalla Casa bianca. E qui casca l’asino: militari chiamati ad avere un ruolo non torneranno a casa, dentro un prevedibile clima di guerra civile non dichiarata ma piena di centinaia di focolai di questo genere. Ed è inevitabile che il nuovo asse Biden-Pentagono sarà il vero gestore di una nuova campagna ‘Legge e Ordine’ che colpirà le forze del movimento popolare, usando ancora una volta il pretesto degli “opposti estremismi”.
Per questo, come sostiene il giornale proletari comunisti nell’ultimo numero, in cui dedica due ampie pagine e tre articoli provenienti dai compagni americani, è un errore, e un illusione controproducente ogni indicazione del voto a Biden, sia pure in un quadro che è evidente il pericolo e la necessità di fermare la marcia fascio-imperialista di Trump.
Tutti coloro che hanno una visione internazionale e internazionalista della situazione non possono, quindi, non cogliere l’importanza della partita che si gioca negli Usa e che in nessuna maniera si può ridurre, come alcuni compagni fanno, ad esaltare i conflitti sindacali che negli Usa ci sono in questa fase, né tantomeno all’accodamento apologetico al movimento Black lives matter.
La linea dei comunisti, dei proletari avanzati è e deve essere un’altra. Combattere nelle piazze e nelle strade il fascio-imperialismo di Trump, le sue truppe di complemento naziste, suprematiste e la sua ma principale, la polizia, questa sì costruita all’insegna di ‘Legge e Ordine’ di stampo trumpista.
Prepararsi a spingere in avanti il movimento e non a fermarlo a fronte della vittoria di Biden, per mettere in luce le sue inevitabili promesse mancate e il suo interpretare in forme differenti, ma dentro la stessa logica del primato degli interessi dell’imperialismo americano nel mondo, che ne fa come sempre il nemico principale - che è altra cosa che il nemico unico in un sistema imperialista in frantumi e gravido di una guerra di ripartizione, annunciata dalla contesa commerciale mondiale, dentro l’assetto multilaterale del sistema imperialista, attraversato da crisi e pandemia – dei proletari e dei popoli oppressi e della loro lotta di liberazione nazionale e sociale in Asia, Africa e America Latina.
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