Bonomi ha detto un chiaro NO a tutto campo, in primis ad aumenti salariali, nei rinnovi dei CCNL, a partire da quello principale, il contratto metalmeccanico fermo da tempo, ha attaccato di nuovo i sindacati sulla contrattazione e ribadito al governo - da cui i padroni hanno già ottenuto il taglio dell’Irap alle imprese fino a 250 milioni di fatturato, sgravi e cassintegrazione - ciò che deve essere al centro nei tavoli contrattuali: contenimento dei salari contrapposti al welfare, priorità all’«industria» che sarebbe il «locomotore» di una «ripresa».
Ai sindacati confederali ha "tirato le orecchie" chiedendo di rispettare le regole del "patto di fabbrica" e, quindi, non pretendere un salario "variabile indipendente" - cosa che peraltro i sindacati non si sognano di affermare.
A questo pesante attacco Fim, Fiom e Uilm hanno risposto con appena 4 ore di sciopero, più 2 di assemblea, e con tempi non brevi: il 5 novembre, data scelta quasi a "celebrare" l'anniversario di un anno dall’inizio della trattativa per il rinnovo del contratto nazionale. Troppo poco.
La Confindustria sbatte sul tavolo al massimo la miseria offensiva di aumento di 40 euro, e i sindacati confederali contropropongono un aumento di 145 euro. Troppo poco. Non tanto per ottenere un reale aumento del salario, ma quantomeno per compensare la perdita salariale pesantissima avuta dai salari operai, a fronte dell'aumento della produttività e dei profitti padronali prima del lockdown e ripresi nelle grandi aziende anche dopo il lockdown; a fronte della miseria di cassintegrazione covid (che in maniera truffaldina vari padroni hanno chiesto ed ottenuto, anche chi non ha mai chiuso - vedi ArcelorMittal) che ha abbassato di circa il 50% la paga degli operai; per non parlare dei picchi di aumento del costo della vita, bollette, tariffe, ecc.
Ma il problema è che anche i sindacati confederali assumono priorità che sono altre, e di fatto anche in contrasto, da quelle della difesa del salario, delle condizioni di lavoro, dei diritti dei lavoratori, della difesa del lavoro.
Spiega la Re David della Fiom: «L’adeguamento del salario per i lavoratori serve anche per la ripresa del paese... i metalmeccanici hanno scioperato per mettere in sicurezza il paese e le aziende».
Dichiara Palombella della Uilm: «Siamo convinti che la linea di Confindustria sia una linea suicida che sta già mettendo in discussione la stessa tenuta di Confindustria».
Infine, il più esplicito Roberto Benaglia della Fim dice: «Guai a pensare che c’è un sindacato che viaggia nei suoi riti. Siamo perfettamente consapevoli di cosa significhi fare impresa nell’incertezza».
Quindi, non per gli operai, ma per il "paese", per le "imprese", per salvare la "confindustria".
Gli operai devono rendersi conto che la linea dei padroni oggi espressa con la voce del loro attuale presidente è un salto di qualità, approfittando di crisi e pandemia. per un attacco ai sindacati e frontale e definitivo ai lavoratori, .
La risposta "debole e insufficiente" (per usare un eufemismo) dei sindacati confederali, è interna al “Patto di fabbrica” siglato nel gennaio 2019, che è la forma rinnovata della collaborazione delle OO.SS. al salto di qualità del piano dei padroni.
Riportiamo di seguito l'articolo uscito sull'ultimo numero del giornale 'proletari comunisti'.
Noi invitiamo gli operai più coscienti, attraverso la conoscenza, ad organizzare la ‘guerra di classe’ e la ricostruzione del sindacato di classe come unica e necessaria via per la lotta degli operai e di tutti i lavoratori.
Il problema ora è salvare il capitale da una crisi - post pandemia - che aggrava quella già in atto e che vari economisti assimilano alle crisi storiche (1929 - post II guerra mondiale). Le ricette sono quelle ispirate alla linea dura: "facendo scelte anche dolorose" - di cui Bonomi attuale presidente della Confindustria è punta di lancia. Questo vuol dire, qui ed ora, dare un nuovo strategico colpo al diritto di sciopero e al superamento dei contratti collettivi nazionali di lavoro per far passare quello che sta accadendo nelle fabbriche e in tanti posti di lavoro: licenziamenti, intensificazione dello sfruttamento, con aumento dei ritmi di lavoro, tagli al salario con la miseria della cassa integrazione, polizia/carabinieri/esercito sui posti di lavoro per impedire scioperi, assemblee, normale lavoro sindacale.
La Confindustria di Bonomi è fascismo padronale e neocorporativismo militarizzato (“li vogliamo lavoratori-soldati”), anti sciopero e contratti
Bonomi intende rilanciare la Confindustria come il vero “partito politico” dei capitalisti italiani e ha ritirato la delega ai partiti esistenti, ammalati, a suo dire, specie quelli al governo, di “un forte pregiudizio anti-imprese”.
Il programma bonomiano può essere riassunto così: tutto alle imprese, tutto per le imprese, tutto attraverso le imprese. Tutto alle imprese, perché Bonomi ha respinto l’idea di prorogare il pagamento delle tasse a favore del loro azzeramento e per un fisco “che sia leva di crescita”, ossia sempre più leggero sulle imprese. Soldi a fondo perduto, detassazione del capitale, grandi investimenti di Stato a favore del sistema imprenditoriale, con priorità a Industria 4.0 e Fintech 4.0. Tutto per le imprese nel senso che lo Stato deve intervenire attivamente come soggetto di spesa (e di indebitamento), ma non deve “tornare ad essere gestore dell’economia” – questo compito va lasciato in esclusiva ai capitalisti.
Bonomi dice che i 209 miliardi che dovrebbero arrivare per lui vanno bene a condizione che il governo scriva un piano nazionale di riforme. E quando parla di queste riforme, prima si parla di fisco, che per i padroni significa meno tasse per loro, si parla di burocrazia, e qui i padroni intendono via libera e mano libera nella gestione dei propri investimenti all’interno dei posti di lavoro.
Così come non va bene per Bonomi che ci sia la cassintegrazione per tutti, dividendo fabbriche in crisi reversibile – ma anche qui i lavoratori in cig devono essere pronti ad accettare qualsiasi lavoro – e crisi strutturali irreversibili dove non ci sono ammortizzatori che tengano, i lavoratori devono essere buttati fuori. Così anche per i fondi verso i disoccupati, i padroni affermano che vogliono lavoratori da formare ma a condizione che siano già selezionati per lavorare in un’azienda votata al profitto.
Sul sindacato, Bonomi usa il massimo di ipocrisia. Parla di “trattativa, confronto” ma ciò che vuole è un sindacato del Sì che li sostenga nei loro piani; vuole la fine del blocco dei licenziamenti e sicuramente non è molto interessato alla decontribuzione, perché i padroni non vogliono assumere solo perché c’è una decontribuzione ma assumere chi vogliono loro, quando e quanti vogliono loro.
Bonomi respinge di fatto il rinnovo dei contratti. Anzi sostiene che se si agganciassero le retribuzione all’inflazione – che attualmente è bassa – dovrebbero essere in alcuni casi i lavoratori a restituire parte degli aumenti, e che l’unico rinnovo dei contratti che gli interessa è quello che introduca parametri adeguati al contesto, la produttività in primis.
In ogni caso non è sul contratto nazionale che vogliono mettere soldi, ma caso mai nella contrattazione a livello aziendale.
In una lettera di 8 pagine alle associazioni confindustriali, il presidente scrive:
“la Confindustria i contratti li vuole sottoscrivere e rinnovare. Solo che li vogliamo ‘rivoluzionari’ rispetto al vecchio scambio di inizio Novecento tra salari e orari. Non perché siamo rivoluzionari noi, aggettivo che proprio non ci si addice, ma perché nel frattempo è il lavoro e sono le tecnologie, i mercati e i prodotti, le modalità per produrli e distribuirli, ad essersi rivoluzionati infinite volte rispetto a decenni fa”.
In concreto questa "rivoluzione" non è che la riproposizione della sempre vecchia linea dei capitalisti: Primo: No agli aumenti in busta paga – "poiché non c’è inflazione". Neppure - scrive un giornale - per quelle categorie come dipendenti della sanità privata o dell’industria alimentare che hanno continuato a recarsi al lavoro durante tutta la pandemia. Al massimo qualche concessione in termini di welfare aziendale.
Secondo: libertà di licenziare. “Più si protrae nel tempo il binomio ‘cig per tutti-no licenziamenti’ più gli effetti di questo congelamento del lavoro potrebbero essere pesanti in termini sociali e per le imprese”.
I soldi, gli aiuti devono andare solo alle imprese. Basta - dice Bonomi - con i “sussidi a pioggia”, “I numerosi interventi specifici, i bonus frammentati e i nuovi fondi accesi presso ogni ministero, non sono stati certo la risposta articolata ed efficace che ci aspettavamo”; e attacca "una cultura ormai prevalente dell’emergenza fondata su bonus e sussidi".
Vale a dire neanche i pochi spiccioli di sussidi, aiuti date alle famiglie più povere. La Confindustria, facendo dello "spirito ad un funerale", vista la discesa nella miseria di ampi settori di lavoratori, lavoratrici, famiglie, per cui i sussidi, i bonus, il reddito di cittadinanza sono state più una vessazione indegna e offensiva; cancellando con una penna che gran parte di questi lavoratori impoveriti sono quelli che sono stati buttati fuori dalle fabbriche, dai posti di lavoro dei suoi associati, o che non hanno più trovato neanche il loro straccio di lavoro precario dopo il lockdown, chiede al governo che al massimo si accolli lui i costi dell'assistenza dei "miserabili", separandoli dai fondi per i padroni che "producono e mantengono in piedi il sistema".
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COSA E' IL PATTO DI FABBRICA?
Il "patto di fabbrica", siglato nel gennaio 2019 tra l'allora presidente della Confindustria Boccia e i segretari di Cgil, Cisl, Uil, codifica il pesante attacco al salario della stragrande maggioranza dei lavoratori (oggi ancora più reclamato dai padroni con la giustificazione della crisi pandemica). Il salario deve essere ridotto per tutti a "salario minimo" (ma oggi Bonomi chiede che sia meno del salario minimo), ad esso si potranno eventualmente aggiungere forme di welfare, che di fatto sono soldi sottratti al salario dei lavoratori;
Questo Patto opera una divisione tra lavoratori che neanche ai tempi delle "gabbie sala
riali" era così rilevante, dato che non solo ogni territorio avrà il suo salario rapportato allo stato economico delle aziende, ma ogni azienda darà un salario diverso - fino, con la questione della produttività anche individuale, a dare a stessi lavoratori che lavorano in una stessa fabbrica o posto di lavoro un salario differente. Ciò che c'è di certo, e questo sì unificante, è l'aumento dello sfruttamento (nascosto dietro l’"incremento della produttività").
E' chiaro che perchè tutto questo passi senza ostacoli, il "patto" doveva mettere e mette il "catenaccio" alle rappresentanze sindacali, leggi sindacati di base, di classe (in particolare a quelli che non hanno accettato il TU sulla rappresentanza già firmato il 10 gennaio 2014). I mass media fanno passare questo punto dell'accordo soprattutto come "certificazione della rappresentanza datoriale"; ma in realtà mentre questa certificazione è solo fumo, rinviata sine die, ciò che è certo e agisce da subito è il nuovo pensante attacco al sindacalismo di classe, ai diritti sindacali dei lavoratori. Sulla pelle dei lavoratori, delle lavoratrici, azienda e OO.SS. faranno "sperimentazioni", con un sindacato che parteciperà in prima persona agli "indirizzi strategici dell'impresa". Questo si chiama "CORPORATIVISMO", che non solo subordina ancora più strettamente le condizioni dei lavoratori agli interessi del profitto padronale, ma chiama una parte di essi a farsi agenti, pratici, politici, ideologici, tra la massa dei lavoratori di tali interessi.
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