I grandi capitalisti non si fanno scrupoli, con i prezzi sono capaci di strangolare i piccoli produttori, ma hanno trovato degli ossi duri da spolpare. Caro Operai Contro, la rivolta […]

I grandi capitalisti non si fanno scrupoli, con i prezzi sono capaci di strangolare i piccoli produttori, ma hanno trovato degli ossi duri da spolpare.

Caro Operai Contro, la rivolta dei produttori di latte di pecora sarda, è scoppiata su una sovrapproduzione invenduta non inferiore a 61 mila quintali di pecorino romano a Denominazione origine protetta, (nel testo solo “pecorino”), il formaggio sardo la cui produzione assorbe il 62% del latte di pecora autoctona (340 mila quintali di latte su 550 mila).

A farne le spese della sovrapproduzione sono, insieme agli operai della filiera della distribuzione, gli operai dei caseifici che dopo aver lavorato per un salario miserabile, sono ora a rischio licenziamento perché producono troppo rispetto le nuove condizioni di mercato a certi saggi di profitto.

Per lo stesso motivo a rischio licenziamento anche i pastori salariati, alle dipendenze dei padroni-pastori, piccoli medi e grandi, a secondo del numero delle loro greggi. Anche i padroncini con poche pecore e senza pastori salariati, lungi dall’arricchirsi rischiano di non poter più campare come pastori autonomi.

Dietro la definizione di “pastori”, ci sono quindi differenti interessi e condizioni sociali, corrispondenti a diversi strati sociali nel settore della pastorizia.

La prima causa del manifestarsi della sovrapproduzione, è dovuta al crollo dell’esportazione che assorbiva il 61% della produzione di pecorino. L’Italia nei primi 10 mesi 2018, secondo i dati Istat, ha esportato il 46% in meno di pecorino rispetto al 2017. Mentre hanno aumentato le esportazioni di pecorino la Bulgaria (+36,4%), la Romania (+7%), Francia (+45%) e Spagna (+12%). Paesi dove vengono prodotti formaggi dai nomi italianissimi, ma senza latte sardo.

La seconda causa della sovrapproduzione, è stato lo splafonamento attuato dagli industriali di 15 aziende, (tra private e cooperative) della trasformazione, che hanno prodotto più pecorino della quota assegnata loro dal Consorzio di Tutela del Pecorino. In tal modo i 280 mila quintali di pecorino che doveva produrre il Consorzio, sono risultati 341 mila quintali, che da soli costituiscono una sovrapproduzione di 61 mila quintali di pecorino invenduto. (341 meno 280).

In un anno con l’aumentare dei quintali di pecorino invenduto, gli industriali dei caseifici di trasformazione del latte in formaggio pecorino, hanno fatto “cartello”, abbassato del 32% il prezzo della vendita del pecorino alla distribuzione, e per contrastare il mancato margine di profitto, hanno imposto un taglio del 40% del prezzo del latte che comprano dalle18 mila aziende produttrici, che pascolano e mungono 2,6 milioni di pecore, occupando tra diretti e indiretti, 100 mila addetti.

Un litro di latte di ovino sardo, un anno fa, veniva pagato dagli industriali dei caseifici ai produttori 85 centesimi, a gennaio 2019 56 centesimi, meno di un litro d’acqua. Con i costi di produzione, denuncia il Movimento dei Pastori Sardi, che sono a 75 centesimi, una perdita secca per i produttori di 19 centesimi per ogni litro di latte.

Il prezzo di un kg di pecorino prodotto con questo latte, tra il 2017 e il 2018 è sceso da 7,7 euro al kg, a 5,2 euro al kg, (prezzo dal caseificio alla distribuzione).

Per gli industriali dei caseifici son sempre affari d’oro, visto il grande margine che hanno tra i 56 centesimi che pagano il latte, e i 5,2 euro al kg (al lordo della lavorazione), che vendono il pecorino alla distribuzione.

Per i produttori di latte la perdita secca di 19 centesimi per litro, non può che radicalizzare ancora di più la rivolta. Considerando che al dettaglio il pecorino viene venduto dai 12 euro ai 20 euro al Kg, salta agli occhi la grande mangiatoia dei padroni della filiera del settore, o si potrebbe dire: la distribuzione sociale del plusvalore.

Pagati con 56 centesimi per litro di latte, i produttori lo buttano per protesta sulle strade. Quelli fra loro che non si sono mai arricchiti e non possono più fare affidamento sulla pastorizia per campare, insieme ai pastori salariati a rischio licenziamento, sono in prima fila nei blocchi stradali a urlare contro gli industriali e il loro governo: “ci avete ridotti a vivere come i terremotati”. I produttori rivendicano almeno 1 euro per litro di latte più Iva, decisi ad andare fino in fondo con la clamorosa lotta intrapresa, dal nord al sud in tutta la Sardegna. Hanno annunciato il sabotaggio delle elezioni regionali dell’imminente 24 febbraio, se il governo non interverrà a risolvere il loro problema.

SALVINI STAI ATTENTO CON I PASTORI NON SI SCHERZA

Le promesse e gli impegni del vicepremier: “entro 48 ore – ha dichiarato – risolverò il problema”

Il 12 febbraio nell’incontro con una delegazione di produttori di latte sardi, Salvini aveva ufficialmente dichiarato: “lavoro per una soluzione entro 48 ore per restituire dignità e lavoro ai sardi”. Un altro incontro durato 5 ore c’è stato il 14 febbraio. Salvini, dopo aver fatto la quotidiana sparata demagogo-propagandistica: “oggi sarò al ministero a oltranza, fino a che non si trova una soluzione con tutte le parti interessate”, ha finito con un nuovo rinvio al 16 febbraio.

L’offerta degli industriali dei caseifici ai produttori si è fermata a 65 euro al litro, a fronte di 1 euro più iva rivendicati.

Le 48 ore, entro le quali doveva trovare la “soluzione”, saranno già passate 2 volte quando sabato pomeriggio ci sarà un altro incontro fra le parti.

A margine dell’ultimo incontro, Salvini ha dichiarato di non tollerare più che i produttori versino latte e occupino le strade.

Salvini attento a non scivolare sul latte della rivolta.

Saluti Oxervator