pc 16 febbraio - 2 - Con la lotta dei pastori - analisi di classe e dibattito - intervento da Operaicontro
LA RIVOLTA DEI PASTORI IN SARDEGNA
I
grandi capitalisti non si fanno scrupoli, con i prezzi sono capaci di
strangolare i piccoli produttori, ma hanno trovato degli ossi duri da
spolpare.
Caro
Operai Contro, la rivolta dei produttori di latte di pecora sarda, è
scoppiata su una sovrapproduzione invenduta non inferiore a 61 mila
quintali di pecorino romano a Denominazione origine protetta, (nel testo
solo “pecorino”), il formaggio sardo la cui produzione assorbe il 62%
del latte di pecora autoctona (340 mila quintali di latte su 550 mila).
A
farne le spese della sovrapproduzione sono, insieme agli operai della
filiera della distribuzione, gli operai dei caseifici che dopo aver
lavorato per un salario miserabile, sono ora a rischio licenziamento
perché producono troppo rispetto le nuove condizioni di mercato a certi
saggi di profitto.
Per
lo stesso motivo a rischio licenziamento anche i pastori salariati,
alle dipendenze dei padroni-pastori, piccoli medi e grandi, a secondo
del numero delle loro greggi. Anche i padroncini con poche pecore e
senza pastori salariati, lungi dall’arricchirsi rischiano di non poter
più campare come pastori autonomi.
Dietro
la definizione di “pastori”, ci sono quindi differenti interessi e
condizioni sociali, corrispondenti a diversi strati sociali nel settore
della pastorizia.
La prima
causa del manifestarsi della sovrapproduzione, è dovuta al crollo
dell’esportazione che assorbiva il 61% della produzione di pecorino.
L’Italia nei primi 10 mesi 2018, secondo i dati Istat, ha esportato il
46% in meno di pecorino rispetto al 2017. Mentre hanno aumentato le
esportazioni di pecorino la Bulgaria (+36,4%), la Romania (+7%), Francia
(+45%) e Spagna (+12%). Paesi dove vengono prodotti formaggi dai nomi
italianissimi, ma senza latte sardo.
La seconda
causa della sovrapproduzione, è stato lo splafonamento attuato dagli
industriali di 15 aziende, (tra private e cooperative) della
trasformazione, che hanno prodotto più pecorino della quota assegnata
loro dal Consorzio di Tutela del Pecorino. In tal modo i 280 mila
quintali di pecorino che doveva produrre il Consorzio, sono risultati
341 mila quintali, che da soli costituiscono una sovrapproduzione di 61
mila quintali di pecorino invenduto. (341 meno 280).
In
un anno con l’aumentare dei quintali di pecorino invenduto, gli
industriali dei caseifici di trasformazione del latte in formaggio
pecorino, hanno fatto “cartello”, abbassato del 32% il prezzo della
vendita del pecorino alla distribuzione, e per contrastare il mancato
margine di profitto, hanno imposto un taglio del 40% del prezzo del
latte che comprano dalle18 mila aziende produttrici, che pascolano e
mungono 2,6 milioni di pecore, occupando tra diretti e indiretti, 100
mila addetti.
Un
litro di latte di ovino sardo, un anno fa, veniva pagato dagli
industriali dei caseifici ai produttori 85 centesimi, a gennaio 2019 56
centesimi, meno di un litro d’acqua. Con i costi di produzione, denuncia
il Movimento dei Pastori Sardi, che sono a 75 centesimi, una perdita
secca per i produttori di 19 centesimi per ogni litro di latte.
Il
prezzo di un kg di pecorino prodotto con questo latte, tra il 2017 e il
2018 è sceso da 7,7 euro al kg, a 5,2 euro al kg, (prezzo dal
caseificio alla distribuzione).
Per
gli industriali dei caseifici son sempre affari d’oro, visto il grande
margine che hanno tra i 56 centesimi che pagano il latte, e i 5,2 euro
al kg (al lordo della lavorazione), che vendono il pecorino alla
distribuzione.
Per
i produttori di latte la perdita secca di 19 centesimi per litro, non
può che radicalizzare ancora di più la rivolta. Considerando che al
dettaglio il pecorino viene venduto dai 12 euro ai 20 euro al Kg, salta
agli occhi la grande mangiatoia dei padroni della filiera del settore, o
si potrebbe dire: la distribuzione sociale del plusvalore.
Pagati
con 56 centesimi per litro di latte, i produttori lo buttano per
protesta sulle strade. Quelli fra loro che non si sono mai arricchiti e
non possono più fare affidamento sulla pastorizia per campare, insieme
ai pastori salariati a rischio licenziamento, sono in prima fila nei
blocchi stradali a urlare contro gli industriali e il loro governo: “ci
avete ridotti a vivere come i terremotati”. I produttori rivendicano
almeno 1 euro per litro di latte più Iva, decisi ad andare fino in fondo
con la clamorosa lotta intrapresa, dal nord al sud in tutta la
Sardegna. Hanno annunciato il sabotaggio delle elezioni regionali
dell’imminente 24 febbraio, se il governo non interverrà a risolvere il
loro problema.
SALVINI STAI ATTENTO CON I PASTORI NON SI SCHERZA
Le promesse e gli impegni del vicepremier: “entro 48 ore – ha dichiarato – risolverò il problema”
Il
12 febbraio nell’incontro con una delegazione di produttori di latte
sardi, Salvini aveva ufficialmente dichiarato: “lavoro per una soluzione
entro 48 ore per restituire dignità e lavoro ai sardi”. Un altro
incontro durato 5 ore c’è stato il 14 febbraio. Salvini, dopo aver fatto
la quotidiana sparata demagogo-propagandistica: “oggi sarò al ministero
a oltranza, fino a che non si trova una soluzione con tutte le parti
interessate”, ha finito con un nuovo rinvio al 16 febbraio.
L’offerta
degli industriali dei caseifici ai produttori si è fermata a 65 euro al
litro, a fronte di 1 euro più iva rivendicati.
Le
48 ore, entro le quali doveva trovare la “soluzione”, saranno già
passate 2 volte quando sabato pomeriggio ci sarà un altro incontro fra
le parti.
A margine dell’ultimo incontro, Salvini ha dichiarato di non tollerare più che i produttori versino latte e occupino le strade.
Salvini attento a non scivolare sul latte della rivolta.
Saluti Oxervator
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