Inchiesta sul Morandi: «Sabbia e iuta nelle macerie». Nuova lista di indagati
Genova - L’introduzione al paragrafo, pur
trattandosi nel resto delle pagine d’un documento parecchio tecnicistico, è
tanto chiara quanto inquietante: «Corpo estraneo». E la
descrizione di quel che significa è parimenti chiara: «Nell’area dei trefoli
rotti sono stati rinvenuti corpi estranei come materiale di iuta concrezionato,
residui di grasso su parti in acciaio e frammenti di asfalto libero». Il
problema è che tutto questo, lì, non ci doveva stare. Perché i «trefoli»
in questione sono le fibre dei cavi in acciaio contenuti dentro i tiranti del
Ponte Morandi crollato il 14 agosto scorso, quando
sull’A10 Genova-Savona sono morte 43 persone.
sull’A10 Genova-Savona sono morte 43 persone.
Ancora più specificamente: l’esame
riguardava i tiranti del pilone 9, ovvero quello collassato insieme a oltre 200
metri di strada, e il responso sui «corpi estranei» è uno dei passaggi
più importanti della relazione completata nelle scorse settimane dai laboratori
svizzeri dell’Empa, dove sono stati individuati 16 reperti selezionati fra le
macerie affinché fosse verificato il livello di corrosione.
La consegna del
dossier svizzero, la cui traduzione dovrà peraltro essere rifatta dopo le
contestazioni di Autostrade, contiene pure passaggi nei quali si ribadisce che i
tiranti erano «degradati da tempo». E però il contenuto di altre parti,
di nuovo nell’opinione dell’azienda, rappresenta la dimostrazione che non sono
stati gli stralli a cedere per primi. «Le rotture dei fili e dei trefoli -
rimarcano quindi i tecnici di Aspi - mostrano che il collasso non è avvenuto per
semplice trazione, alla quale sarebbe dovuta corrispondere un allungamento
anomalo premonitore a occhio umano del disastro, ma sono invece intervenuti
altri meccanismi che hanno condizionato la perdita di resistenza».
Non saranno i tribunali a sanare le ingiustizie...
Proprietari non residenti, scatta il ricorso al Tar per gli indennizzi ridotti
Genova - Il ricorso è stato presentato
al Tar in silenzio, senza fare troppo rumore intorno alla questione ancora
aperta dei mancati indennizzi ai proprietari non residenti delle case
sgomberate dopo la tragedia del Morandi. In tutto si tratta di
un’ottantina di famiglie ma sono 30 quelle che, nei giorni scorsi, hanno
depositato al Tribunale amministrativo regionale, tramite l’avvocato Carlo
Bilanci, un ricorso contro il decreto con cui commissario Marco Bucci
ha stabilito le modalità di applicazione del decreto Genova.
La sostanza è semplice: agli sfollati
di via Porro, proprietari e residenti nelle abitazioni lasciate il 14 agosto,
dopo il tragico collasso del viadotto, sono state corrisposte (o lo saranno nei
prossimi giorni) diverse voci di indennizzi: una voce per il
valore delle abitazioni, e poi altri due capitoli di rimborsi corrispondenti
all’accelerato sgombero degli immobili e il cosiddetto Pris,
una cifra che dovrebbe coprire quello che si è perso con la cessione di un
immobile che invece avrebbe potuto costituire fonte di reddito se rimesso sul
mercato.
Una partita da 80mila
euro da cui, secondo il ricorso, sarebbero ingiustamente esclusi i
proprietari non residenti. I quali, negli atti di cessione delle case alla
struttura commissariale hanno dovuto indicare le generalità dei loro inquilini a
cui, invece, secondo le indicazioni del Commissario, vanno versati gli
indennizzi Pris e quelli per l’accelerato sgombero delle case.
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