“Il
suo vero segreto fu questo; che essa fu essenzialmente un governo della classe
operaia, il prodotto della lotta della classe dei produttori contro la classe
degli appropriatori, la forma politica finalmente scoperta che consentiva di
realizzare l’emancipazione economica del lavoro.”
Così dice Marx nell’Indirizzo del consiglio generale
dell’Associazione Internazionale dei lavoratori di cui riportiamo il 3º e il 4º
capitolo tracciato alla luce dell’esperienza della Comune di Parigi, che segna
una tappa nell’elaborazione del pensiero politico marxista e della concezione
dello stato.
Indirizzo del consiglio
generale dell’Associazione Internazionale dei lavoratori
CAP. III
All’alba del 18 marzo,
Parigi fu svegliata da un fragore di tuono: " Vive le Commune! ". Che
cos’è dunque la Comune, questa sfinge che tormenta così seriamente lo spirito
dei borghesi?
" I proletari di
Parigi - diceva il Comitato centrale nel suo manifesto del 18 marzo - in mezzo
alle disfatte e ai tradimenti delle classi dominanti hanno compreso che è
suonata l’ora per essi di salvare la situazione prendendo nelle loro mani la
direzione degli affari pubblici... Il proletariato... ha capito che era suo
dovere imperioso e suo diritto assoluto prendere nelle sue mani il proprio
destino, e di assicurarsene il trionfo impadronendosi del potere ".
Ma la classe operaia non
può accontentarsi semplicemente di prendere nelle proprie mani la macchina
statale bella e pronta, e di farla funzionare per i propri fini.
Il potere centralizzato
dello Stato, con i suoi organi dappertutto presenti: esercito permanente,
polizia, burocrazia, clero e magistratura - organi prodotti secondo un piano di
divisione sistematica e gerarchica, del lavoro - trae la sua origine dall’epoca
della monarchia assoluta, quando servì alla nascente società borghese come
un’arma formidabile nelle sue lotte contro il feudalismo. Il suo sviluppo fu
però intralciato da ogni sorta di residui medievali: prerogative di nobili e
signori, privilegi locali, monopoli municipali e corporativi, Costituzioni
provinciali. Il gigantesco colpo di scena della Rivoluzione francese del XVIII
secolo spazzò via
tutti questi resti di tempi passati, sbarazzando così in un solo colpo il sostrato sociale degli ultimi ostacoli che si frapponevano alla sovrastruttura dell’edificio dello Stato moderno. Questo fu edificato sotto il primo Impero, il quale a sua volta fu il prodotto delle guerre di coalizione della vecchia Europa semifeudale contro la Francia moderna. Durante i successivi régimes, il governo posto sotto il controllo parlamentare, cioè, sotto il diretto controllo delle classi possidenti, non diventò solamente l’incubatrice di enormi debiti nazionali e di imposte schiaccianti; con le sue irresistibili attrattive di posti, guadagni, protezioni, divenne da una parte il pomo della discordia tra le frazioni rivali e gli avventurieri delle classi dirigenti; dall’altra anche il suo carattere politico cambiò di pari passo con le trasformazioni economiche della società. Via via che il progresso della industria moderna sviluppava, allargava, accentuava, l’antagonismo di classe tra capitale e lavoro, il potere dello Stato assumeva sempre più il carattere di una forza pubblica organizzata ai fini dell’asservimento della classe operaia, di un apparato di dominazione di classe.
tutti questi resti di tempi passati, sbarazzando così in un solo colpo il sostrato sociale degli ultimi ostacoli che si frapponevano alla sovrastruttura dell’edificio dello Stato moderno. Questo fu edificato sotto il primo Impero, il quale a sua volta fu il prodotto delle guerre di coalizione della vecchia Europa semifeudale contro la Francia moderna. Durante i successivi régimes, il governo posto sotto il controllo parlamentare, cioè, sotto il diretto controllo delle classi possidenti, non diventò solamente l’incubatrice di enormi debiti nazionali e di imposte schiaccianti; con le sue irresistibili attrattive di posti, guadagni, protezioni, divenne da una parte il pomo della discordia tra le frazioni rivali e gli avventurieri delle classi dirigenti; dall’altra anche il suo carattere politico cambiò di pari passo con le trasformazioni economiche della società. Via via che il progresso della industria moderna sviluppava, allargava, accentuava, l’antagonismo di classe tra capitale e lavoro, il potere dello Stato assumeva sempre più il carattere di una forza pubblica organizzata ai fini dell’asservimento della classe operaia, di un apparato di dominazione di classe.
Dopo ogni rivoluzione,
che segna un progresso nella lotta di classe, il carattere puramente repressivo
del potere dello Stato risulta in modo sempre più evidente.
La rivoluzione del 1830,
trasferì il potere dai grandi proprietari fondiari ai capitalisti, lo trasferì
dai più lontani antagonisti degli operai ai loro avversari più diretti. I
repubblicani borghesi che, in nome della rivoluzione di Febbraio, si erano
impadroniti del potere statale, se ne servirono per provocare i massacri di
Giugno, allo scopo di convincere la classe operaia che la Repubblica "
sociale " stava a significare la Repubblica che assicurava la loro
soggezione sociale, e per convincere la massa monarchica della classe borghese e
dei grandi proprietari fondiari che poteva tranquillamente lasciare ai borghesi
"repubblicani" le cure e le proficue prerogative finanziarie del
governo. Tuttavia dopo la loro unica impresa eroica di giugno, ai repubblicani
borghesi non rimaneva che retrocedere dalla prima fila alla retroguardia del
" partito dell’ordine " combinazione formata da tutte le frazioni e
fazioni rivali della classe dei profittatori nel loro ormai dichiarato
antagonismo con le classi produttrici. La forma più adeguata del loro governo
di società per azioni fu la " Repubblica parlamentare " con Louis
Bonaparte come presidente. Esso fu un regime di aperto terrorismo di classe e
di deliberata irrisione alla " vile multitude ". Se, come diceva
Thiers, la Repubblica parlamentare era il regime che "meno divideva [le
variopinte frazioni della classe dirigente] ", essa denunciava per contro
un abisso tra questa classe e l’intero corpo della società che era escluso
dalle sue ristrette file. La loro alleanza rimuoveva gli impedimenti che sotto
i precedenti governi erano posti al potere statale dalle divisioni tra le
frazioni della classe dirigente. In presenza della minaccia di sollevazione del
proletariato, la classe dominante riunita utilizzò il potere dello Stato, senza
riguardi e con ostentazione, come pubblico strumento di guerra del Capitale
contro il Lavoro. Nella sua ininterrotta crociata contro le masse dei
produttori, essa fu però costretta non solo ad attribuire all’esecutivo poteri
sempre più vasti, ma in pari tempo a spogliare, l’uno dopo l’altro, la loro
stessa fortezza parlamentare - l’Assemblea nazionale - di tutti i suoi mezzi di
difesa contro l’esecutivo. L’esecutivo, nella persona di Louis Bonaparte, li
mise tutti alla porta. Il frutto naturale della Repubblica del " partito
dell’ordine " fu il secondo Impero.
L’Impero, con il colpo di
Stato come certificato di nascita, il suffragio universale come autenticazione
e la sciabola come scettro, pretendeva di poggiare sui contadini, la grande
massa di produttori che non era impegnata direttamente nella lotta tra Capitale
e lavoro. Pretendeva di salvare la classe operaia mettendo fine al
parlamentarismo, e insieme con questo l’aperta sottomissione del governo alle
classi possidenti. Pretendeva di salvare le classi possidenti mantenendo la loro
supremazia sulla classe operaia. Finalmente pretendeva di realizzare l’unità di
tutte le classi risuscitando per tutte la chimera della gloria nazionale. In
realtà era l’unica forma di governo possibile in un periodo in cui la borghesia
aveva già perduto - e la classe operaia non aveva ancora acquisito - la
capacità di governare la nazione. Esso fu salutato in tutto il mondo come il
salvatore della società. Sotto il suo dominio la società borghese, liberata da
tutte le preoccupazioni politiche, raggiunse uno sviluppo che essa stessa non
aveva mai sperato. La sua industria e il suo commercio raggiunsero proporzioni
colossali; la truffa finanziaria celebrò orge cosmopolite; la miseria delle
masse faceva stridente contrasto con la sfacciata ostentazione di lusso
sfrenato, dissoluto e abietto. Il Potere dello Stato, in apparenza in
tranquillo equilibrio al disopra della società, era però esso stesso lo
scandalo più grande di questa società e in pari tempo il focolaio di tutta la
sua corruzione. La sua decomposizione e la decomposizione della società che
esso aveva salvaguardato vennero messe a nudo dalle baionette della Prussia,
ben disposta a trasferire il centro di gravità di questo regime da Parigi a
Berlino. L’imperialismo è la più prostituita e insieme la più recente forma di
quel potere statale che la nascente società borghese aveva incominciato a
perfezionare come strumento della propria emancipazione dal feudalismo, e che
la società borghese aveva infine pienamente trasformato in strumento per
l'asservimento del lavoro al Capitale.
La Comune fu la diretta
antitesi all’Impero. Il grido di " Republique sociale ", col quale il
proletariato di Parigi aveva iniziato la rivoluzione di Febbraio non esprimeva
che una vaga aspirazione ad una Repubblica che non avrebbe dovuto eliminare
solamente la forma monarchica del dispotismo di classe, ma lo stesso potere di
classe. La Comune fu la forma positiva di questa Repubblica.
Parigi, sede centrale del
vecchio potere governativo, e, nello stesso tempo, fortezza sociale della
classe operaia francese, era balzata in armi contro il tentativo di Thiers e
dei suoi rurali di restaurare e perpetuare il vecchio potere governativo
ereditato dall’Impero. Parigi poteva solamente resistere perché, in conseguenza
dell’assedio, si era sbarazzata dell’esercito e lo aveva sostituito con una
guardia nazionale, la cui massa era costituita da operai. È questo stato di
fatto che doveva, ora, essere trasformato in un’istituzione permanente. Il
primo decreto della Comune, quindi, fu la soppressione dell’esercito
permanente, e la sua sostituzione con il popolo in armi.
La Comune fu composta da
consiglieri municipali, eletti a suffragio universale nei diversi circondari di
Parigi. Essi erano responsabili e revocabili in qualunque momento. La maggioranza
dei suoi membri erano naturalmente operai o rappresentanti riconosciuti della
classe operaia. La Comune non doveva essere un organismo parlamentare, ma un
organo di lavoro esecutivo e legislativo nello stesso tempo.
Invece di continuare ad
essere lo strumento del governo centrale, la polizia fu immediatamente
spogliata delle sue attribuzioni politiche e trasformata in strumento della
Comune, responsabile dinanzi ad essa e revocabile in qualunque momento. Lo
stesso venne fatto per i funzionari di tutte le branche della amministrazione.
Dai membri della Comune fino ai gradi subalterni, le pubbliche funzioni
venivano retribuite con salari da operai. I diritti acquisiti e le indennità di
rappresentanza degli alti funzionari dello Stato scomparvero con i funzionari
stessi. Le cariche pubbliche cessarono di essere proprietà private delle
creature del governo centrale. Non solo l’amministrazione municipale, ma tutte
le altre iniziative fino allora esercitate dallo Stato passarono nelle mani
della Comune.
Una volta abolito
l’esercito permanente e la polizia, strumenti di potere del vecchio governo, la
Comune si preoccupò di spezzare la forza di repressione spirituale, il potere
dei preti; decretò la separazione della Chiesa e dello Stato disciogliendo ed
espropriando tutte le chiese in quanto ordini possidenti. I sacerdoti furono
restituiti al tranquillo riposo della vita privata, per vivere delle elemosine
dei fedeli, ad imitazione dei loro predecessori, gli apostoli. La totalità
degli istituti di istruzione furono aperti gratuitamente al popolo e liberati
in pari tempo da ogni ingerenza della Chiesa e dello Stato. Così non solo
l’istruzione fu resa accessibile a tutti, ma la scienza stessa fu liberata
dalle catene che le erano state imposte dai pregiudizi di classe e dal potere
governativo.
I funzionari della
giustizia vennero spogliati di quella finzione di indipendenza che non era
servita ad altro che a mascherare la loro vile sottomissione a tutti i vari
governi che si erano alternati al potere ai quali, di volta in volta, avevano
prestato giuramento di fedeltà per violare in seguito tale giuramento. Come gli
altri funzionari pubblici, i magistrati e i giudici dovevano essere elettivi,
responsabili e revocabili.
La Comune di Parigi
doveva, beninteso, servire di modello a tutti i grandi centri industriali della
Francia. Una volta stabilito a Parigi e nei centri secondari il potere della
Comune, il vecchio governo centralizzato avrebbe dovuto, anche nelle province,
cedere il posto all’autogoverno da parte dei produttori. In un abbozzo sommario
dell’organizzazione nazionale che la Comune non ebbe il tempo di sviluppare, è
detto espressamente che la Comune doveva essere la forma politica anche del più
piccolo villaggio e che nelle regioni rurali l’esercito permanente doveva
essere sostituito da una milizia popolare, con un periodo di servizio
estremamente breve. Le comuni rurali di ogni distretto dovevano amministrare i
loro affari comuni mediante un’assemblea di delegati con sede nel capoluogo, e
queste assemblee distrettuali dovevano a loro volta inviare i propri
rappresentanti alla delegazione nazionale a Parigi; i delegati dovevano essere
revocabili in ogni momento e legati da un mandat imperatif dei propri elettori.
Le funzioni, poco numerose, ma importanti, che ancora rimanevano ad un governo
centrale, non dovevano essere soppresse, come venne detto falsamente in mala
fede, ma dovevano venire assolte da funzionari comunali e quindi strettamente
responsabili. L’unità della nazione non doveva essere spezzata, ma doveva al
contrario essere riorganizzata dalla Costituzione comunale; doveva diventare
una realtà attraverso la distruzione del potere dello Stato che pretendeva
essere l’incarnazione di questa unità, ma voleva essere indipendente dalla
nazione stessa, e persino superiore ad essa, mentre non costituiva che
un’escrescenza parassitaria. Mentre era importante amputare gli organi
puramente repressivi del vecchio potere governativo, le sue funzioni legittime
dovevano essere strappate a una autorità che usurpava una posizione dominante
al di sopra della società stessa, e restituite agli agenti responsabili della
società. Invece di decidere una volta ogni tre o sei anni quale membro della
classe dirigente dovesse " rappresentare " e calpestare il popolo al
Parlamento, il suffragio universale doveva servire al popolo costituito in
Comuni, così come il suffragio individuale serve ad ogni altro imprenditore in
cerca di operai e personale direttivo per i suoi affari. Ed è ben noto che le
società, come i singoli imprenditori, quando si tratta di veri affari, sanno
generalmente mettere a ogni posto l’uomo adatto, o se una volta tanto
commettono un errore, sanno rapidamente come rimediare. D’altra parte nulla
poteva essere più estraneo allo spirito della Comune, che mettere al posto del
suffragio universale una investitura gerarchica.
È in generale destino di
tutte le formazioni storiche interamente nuove di essere prese a torto per
riproduzioni di vecchie e anche defunte forme di vita sociale, con le quali
possono avere una certa rassomiglianza. Così, di questa nuova Comune, che manda
in frantumi il potere dello Stato moderno, si è voluto vedere il richiamo alla
vita dei comuni medievali, che prima precedettero questo potere di Stato e poi
ne divennero il fondamento stesso.
La Costituzione della
Comune è stata presa a torto come un tentativo di spezzare in una federazione
di piccoli Stati, come era stata segnata da Montesquieu e dai suoi girondini,
quella unità delle grandi nazioni, che, se originariamente è stata realizzata con
la violenza, è ora diventata un potente fattore della produzione sociale.
L’antagonismo fra la Comune e il potere dello Stato è stato preso a torto come
una forma esagerata della vecchia lotta contro l’eccesso di centralizzazione.
Particolari circostanze storiche possono avere impedito in altri paesi lo
sviluppo classico della forma borghese di governo che si è avuto in Francia, e
possono avere permesso, come in Inghilterra, di completare i propri organi
centrali dello Stato con corrotte vestries (Assemblee parrocchiali), con
consiglieri comunali affaristi, feroci custodi dell’Ufficio di beneficenza
nelle città, e con magistrati virtualmente ereditari nelle Contee. La
Costituzione della Comune avrebbe restituito al corpo sociale tutte le forze
fino allora assorbite dallo Stato parassita che si nutre a spese della società
e ne paralizza il libero movimento. Con questo solo fatto avrebbe costituito la
base di partenza per la rigenerazione della Francia. La classe media delle
città di provincia vide nella Comune un tentativo di restaurare il controllo
che il suo ceto aveva esercitato sulle campagne al tempo di Louis-Philippe, e
che, sotto Louis-Napoléon, era stato soppiantato dal preteso sopravvento delle
campagne sulle città. In realtà la Costituzione della Comune avrebbe messo i
produttori rurali sotto la direzione intellettuale dei capoluoghi dei
dipartimenti e avrebbe dato a loro la sicurezza di trovare negli operai delle
città i naturali garanti dei loro interessi.
L’esistenza stessa della
Comune implicava, come naturale conseguenza, la libertà municipale locale, ma
non più intesa d’ora in avanti come un ostacolo al potere dello Stato, che era
stato tolto di mezzo. Soltanto nella testa di un Bismarck - il quale quando non
era preso dai suoi intrighi di ferro e di sangue, tornava volentieri al suo
vecchio mestiere, così adatto al suo calibro mentale, di collaboratore del
"Kladderadatsch" - soltanto in una testa siffatta poteva entrare
l’idea di attribuire alla Comune di Parigi l’ispirazione di rifarsi a quella caricatura
della vecchia organizzazione municipale francese del 1791 che è il regime
municipale prussiano, il quale riduce l’amministrazione delle città alla
funzione di semplici rotelle del tutto secondarie della macchina poliziesca
dello Stato prussiano. La Comune fece una realtà di questa parola d’ordine di
tutte le rivoluzioni borghesi, il governo a buon mercato, distruggendo le due
maggiori fonti di spese: l’esercito permanente, la burocrazia e il
funzionarismo. La sua esistenza stessa presupponeva la non esistenza della
monarchia che, perlomeno in Europa, è l’abituale zavorra e la maschera
indispensabile del dominio di classe. Essa forniva alla Repubblica la base per
avere istituzioni democratiche. Ma né il "governo a buon mercato", né
la "vera Repubblica" erano la sua meta finale; essi non facevano che
da suo corollario.
La molteplicità delle
interpretazioni alle quali la Comune è stata sottoposta, e la molteplicità di
interessi che nella Comune hanno trovato la loro espressione, mostrano che essa
costituì una forma politica pienamente preparata ad espandersi, mentre tutte le
precedenti forme di governo non avevano messo l’accento che sulla repressione.
Il suo vero segreto fu questo; che essa fu essenzialmente un governo della
classe operaia, il prodotto della lotta della classe dei produttori contro la
classe degli appropriatori, la forma politica finalmente scoperta che
consentiva di realizzare l’emancipazione economica del lavoro.
Senza quest’ultima
condizione, la Costituzione della Comune sarebbe stata una cosa impossibile e
un inganno. Il dominio politico dei produttori non può coesistere con la
perpetuazione del loro asservimento sociale. La Comune doveva pertanto servire
da leva per estirpare le basi economiche sulle quali si fonda l’esistenza delle
classi, e quindi dell’oppressione di classe. Compiuta l’emancipazione del
lavoro, ogni uomo diviene un lavoratore e il lavoro produttivo cessa di essere
l’attributo di una classe.
Avviene un fatto strano.
Nonostante tutti i discorsi magniloquenti, e l’immensa letteratura degli ultimi
60 anni sulla emancipazione dei lavoratori, non appena gli operai, in qualsiasi
paese, prendono decisamente la cosa nelle loro mani, immediatamente si sente
risuonare tutta la fraseologia apologetica dei reggicoda della società presente
con i suoi due poli, capitale e schiavitù salariata (il proprietario fondiario
non è che il socio passivo del capitalista), come se la società capitalista si
trovasse nel suo stato più puro di verginale innocenza, come se tutte le sue
contraddizioni non fossero ancora sviluppate, le sue menzogne non ancora
smascherate, le sue infami realtà non ancora messe a nudo. La Comune - essi
esclamano - vuole abolire la proprietà, base di ogni civiltà! Sì, o signori, la
Comune voleva abolire quella proprietà di classe che fa del lavoro di molti la
ricchezza di pochi. Essa aveva come scopo l’espropriazione degli espropriatori.
Voleva fare della proprietà privata individuale una realtà, trasformando i
mezzi di produzione, la terra e il capitale, oggi essenzialmente mezzi di
asservimento e di sfruttamento del lavoro, in semplici strumenti di un lavoro
libero e associato. Ma questo è comunismo, è l’"impossibile"
comunismo! Ebbene, quelli tra i membri delle classi dominanti, che sono
abbastanza intelligenti da comprendere l’impossibilità di perpetuare il sistema
presente - e sono molti - sono diventati gli apostoli fastidiosi e rumorosi
della produzione cooperativa. Ma se la produzione cooperativa non deve restare
una finzione e un inganno; se essa deve subentrare al sistema capitalista; se
l’insieme delle cooperative riunite deve regolare la produzione nazionale
secondo un piano comune, prendendola così sotto il loro controllo e ponendo
fine alla costante anarchia e alle periodiche convulsioni che sono la sorte
inevitabile della produzione capitalista - che cosa sarebbe questo, o signori,
se non comunismo, un molto " possibile " comunismo?
La classe operaia non
attendeva miracoli dalla Comune. Essa non ha utopie belle e pronte da
introdurre par décret du peuple. Sa che per realizzare la propria
emancipazione, e con essa quella forma di vita più elevata alla quale tende
irresistibilmente la società odierna per la sua stessa struttura economica, essa
dovrà passare attraverso lunghe lotte, per tutta una serie di processi storici
che trasformeranno completamente le circostanze e gli uomini. La classe operaia
non ha da realizzare ideali, ma soltanto liberare gli elementi della nuova
società dei quali è gravida la vecchia società in via di disfacimento.
Pienamente cosciente della sua missione storica e con l’eroica decisione di
agire in tal senso, la classe operaia può permettersi di sorridere alle
grossolane invettive dei signori della penna e dell’inchiostro, servi senza
aggettivi, e della pedantesca protezione dei dottrinari borghesi di buoni
propositi che diffondono la loro insipida ignoranza e le loro ostinate idee
fisse col tono oracolare dell’infallibilità scientifica.
Quando la Comune di
Parigi prese nelle sue mani la direzione della rivoluzione, quando semplici
operai, per la prima volta, osarono infrangere il privilegio governativo dei
loro "superiori naturali", i possidenti, e in circostanze di estrema
difficoltà, compirono la loro opera umilmente, con coscienza ed efficacia (e la
portarono avanti con salari il più alto dei quali raggiungeva appena il quinto
di ciò che, a voler credere un’alta autorità scientifica di Londra, il
professor Huxley, è il minimo richiesto per un segretario di un certo consiglio
scolastico della sua città), il vecchio mondo si contorse in paurose
convulsioni di rabbia alla vista della bandiera rossa, simbolo della Repubblica
del lavoro, sventolante sull’Hótel de Ville a Parigi.
Eppure, questa fu la
prima rivoluzione nella quale la classe operaia sia stata apertamente
riconosciuta come la sola classe ancora capace di iniziativa sociale, persino
dalla grande maggioranza della classe media parigina - bottegai, commercianti,
artigiani - eccettuati soltanto i ricchi capitalisti. La Comune li aveva
salvati regolando saggiamente il problema che è alla base degli eterni
contrasti all’interno stesso della classe media: la questione dei resoconti di
dare e avere.
Questa stessa parte della
classe media aveva partecipato alla repressione dell’insurrezione operaia del
giugno 1848, ed era stata subito sacrificata ai suoi creditori dell’Assemblea
costituente senza tante cerimonie. Ma questo non era il solo motivo per cui ora
queste classi medie si schieravano attorno alla classe operaia. Esse
avvertivano che vi era una sola alternativa: o la Comune o l’Impero, sotto
qualsiasi nome questo potesse ripresentarsi. L’Impero le aveva rovinate
economicamente con lo sciupio delle finanze pubbliche, con le truffe
finanziarie su larga scala che aveva sempre favorito, con l’impulso dato
all’accelerazione artificiale della concentrazione del capitale, e con la
correlativa espropriazione di una gran parte del loro ceto. Le aveva soppresse
politicamente, le aveva scandalizzate moralmente con le sue orge, aveva deriso
il loro volterrianismo affidando l’educazione dei loro figli ai frères
ignorantins; aveva rivoltato il loro sentimento nazionale di francesi,
precipitandoli a capofitto in una guerra che non lasciava che un solo compenso
per le rovine che aveva lasciato: la scomparsa dell’Impero. Di fatto, dopo
l’esodo da Parigi di tutta l’alta bohème bonapartista e capitalista, il vero
partito dell’ordine della classe media si era presentato sotto le sembianze
dell’Union républicaine, che si schierò sotto le bandiere della Comune e la
difese dalle premeditate falsificazioni di Thiers. Se la riconoscenza di questa
grande massa della classe media resisterà alla dura prova odierna, solo il
tempo lo mostrerà.
La Comune aveva
perfettamente ragione di dire ai contadini: "La nostra vittoria è la
vostra sola speranza!". Di tutte le menzogne escogitate a Versailles e
riprese come un’eco dai gloriosi pennaioli d’Europa a un soldo la riga, una
delle più mostruose fu che i rurali dell’Assemblea nazionale rappresentassero i
contadini francesi. È sufficiente pensare all’amore del contadino francese per
gli uomini a cui, dopo il 1815, aveva dovuto pagare un miliardo di indennità.
Agli occhi del contadino francese, l’esistenza stessa di un grande proprietario
fondiario è di per sé stessa una violazione delle sue conquiste del 1789. I
borghesi, nel 1848, avevano imposto al suo piccolo pezzo di terra la tassa
addizionale di 45 centesimi per franco; ma allora l’avevano fatto in nome della
rivoluzione; mentre ora avevano fomentato una guerra civile contro la
rivoluzione, per far ricadere sulle spalle del contadino il peso maggiore dei 5
miliardi di indennità da pagarsi ai prussiani.
La Comune, d’altra parte,
in uno dei suoi primi proclami dichiarava che le spese della guerra dovevano
essere pagate da quelli che ne erano stati i veri artefici. La Comune avrebbe
liberato il contadino dall’imposta del sangue; gli avrebbe dato un governo a
buon mercato; avrebbe trasformato le sue attuali sanguisughe, il notaio,
l’avvocato, l’usciere e gli altri vampiri giudiziari, in agenti comunali
salariati, da lui eletti e davanti a lui responsabili. Essa lo avrebbe liberato
dalla tirannia della guardia campestre, del gendarme e del prefetto; avrebbe
sostituito l’istruzione del maestro di scuola al posto dell’istupidimento ad
opera dei preti. E il contadino francese è, al di sopra di tutto, uomo di
calcolo. Egli avrebbe trovato assolutamente ragionevole che la retribuzione dei
sacerdoti, invece di essere estorta dagli agenti delle imposte, dipendesse solo
dall’azione spontanea degli istinti religiosi dei parrocchiani. Questi erano i
grandi benefici immediati che il governo della Comune - ed esso soltanto -
offriva in prospettiva ai contadini francesi. È quindi del tutto superfluo
dilungarsi qui sugli altri problemi concreti più complessi, ma di vitale
importanza, che solo la Comune era in grado di risolvere e nello stesso tempo,
era costretta a risolvere in favore del contadino, come per esempio quello del
debito ipotecario, che pesava come un incubo sul suo piccolo appezzamento di
terra; quello del proletariato rurale che cresceva di giorno in giorno per tale
ragione, e della sua espropriazione che avviene ad un ritmo sempre più rapido
in conseguenza dello stesso sviluppo dell’agricoltura moderna e della concorrenza
dell’azienda agricola capitalista.
Il contadino francese
aveva eletto Louis Bonaparte presidente della Repubblica, ma il partito
dell’ordine creò il secondo Impero. Ciò di cui ha bisogno veramente il
contadino francese, incominciò a mostrarlo nel 1849 e nel 1850, contrapponendo
il suo sindaco al prefetto del governo, il suo maestro di scuola al prete del
governo e la propria persona al gendarme del governo. Tutte le leggi fatte dal
partito dell’ordine nel gennaio e nel febbraio 1850 furono misure di
repressione aperta contro i contadini. Il contadino era bonapartista, perché la
grande Rivoluzione, con tutti i benefici che egli ne aveva tratto, si
personificava ai suoi occhi in Napoleone. Questa illusione, che si dissipò
rapidamente sotto il secondo Impero (ed essa era per sua stessa natura ostile
ai "rurali"), questo pregiudizio del passato, come avrebbe potuto
resistere all’appello della Comune agli interessi vitali e ai bisogni urgenti
dei contadini?
I rurali - ed era questa,
di fatto, la loro principale apprensione - sapevano che tre mesi di libera
comunicazione tra la Parigi della Comune e le province avrebbero portato ad una
insurrezione generale dei contadini. Di qui la loro ansiosa preoccupazione di
stabilire attorno a Parigi un cordone poliziesco come se si fosse trattato di
impedire la diffusione della peste bovina.
Se la Comune era dunque
la vera rappresentante di tutti gli elementi sani della società francese, e
quindi il vero governo nazionale, era nello stesso tempo un governo operaio e
sotto questo profilo, nella sua qualità di audace sostenitore
dell’emancipazione del lavoro, un governo internazionale nel pieno senso della
parola. Sotto gli occhi dell’esercito prussiano, che aveva annesso alla
Germania due province francesi, la Comune annesse alla Francia gli operai di
tutto il mondo.
Il secondo Impero era
stato una grande sagra per la furfanteria internazionale, poiché le canaglie di
tutti i paesi erano accorse al suo appello per prendere parte alle sue orge e
al saccheggio sistematico del popolo francese. In questo stesso momento il
braccio destro di Thiers è Ganesco, crapulone valacco; il suo braccio sinistro
è Markovski, spione russo. La Comune ha ammesso tutti gli stranieri a morire
per una causa immortale. Tra la guerra esterna perduta per il suo tradimento, e
la guerra civile provocata dal suo complotto con gli invasori stranieri, la
borghesia aveva trovato il tempo di manifestare il suo patriottismo
organizzando battute di caccia ai tedeschi residenti in Francia: la Comune ha
eletto suo ministro del Lavoro un operaio tedesco. Thiers, la borghesia, il
secondo Impero, avevano continuamente ingannato la Polonia con rumorose
professioni di simpatia, mentre in realtà la tradivano consegnandola alla
Russia, di cui facevano il sordido interesse. La Comune ha fatto l’onore di
mettere gli eroici figli della Polonia a capo dei difensori di Parigi. E per
dare chiaramente risalto alla nuova era della storia che essa era consapevole
di iniziare, la Comune, sotto gli occhi dei prussiani vincitori da una parte, e
dell’esercito di Bonaparte, guidato da generali bonapartisti, dall’altra,
abbatté quel colossale simbolo della gloria militare, la colonna Vendôme.
La grande misura sociale
della Comune fu la sua stessa esistenza operante. Le sue misure particolari da
essa varate potevano soltanto presagire la tendenza su cui si muoveva un
governo del popolo per il popolo. Tali furono l’abolizione del lavoro notturno
degli operai panettieri; la proibizione, pena sanzioni, della pratica degli
imprenditori di ridurre i salari imponendo ai loro operai delle multe sotto i
pretesti più svariati, procedimento nel quale l’imprenditore riunisce nella sua
persona le funzioni di legislatore, giudice ed esecutore, e per di più si
intasca il denaro. Un’altra misura di questo tipo fu la consegna alle
associazioni operaie, sotto riserva d’indennizzo, di tutte le fabbriche e
laboratori che erano stati chiusi; sia che i capitalisti in questione si
fossero nascosti o che avessero preferito sospendere il lavoro.
Le misure finanziarie
della Comune, notevoli per la loro sagacia e moderazione, non potevano andare
al di là di quanto fosse compatibile con la situazione di una città assediata.
Considerando le ruberie colossali commesse ai danni della città di Parigi dalle
grosse compagnie finanziarie e dagli imprenditori di lavori pubblici sotto la
protezione di Haussmann, la Comune avrebbe avuto diritti per confiscare le loro
proprietà, ben più validi di quelli che aveva Louis-Napoléon per confiscare
quelle della famiglia d’Orleans. Gli Hohenzollern e gli oligarchi inglesi che
hanno tratto, sia gli uni che gli altri, una buona parte dei loro beni dal
saccheggio delle chiese, furono, naturalmente, enormemente scandalizzati dal
fatto che la Comune non ricavasse più di 8.000 franchi dalla secolarizzazione
dei beni ecclesiastici.
Mentre il governo di
Versailles, appena ebbe ripreso un po’ di coraggio e di forza, ricorreva
all’impiego dei mezzi più violenti contro la Comune; mentre sopprimeva la
libera espressione d’opinione in tutta la Francia, giungendo fino a proibire le
riunioni di delegati delle grandi città; mentre tale governo assoggettava
Versailles e il resto della Francia ad uno spionaggio che superava di gran
lunga quello del secondo Impero; mentre faceva bruciare dai suoi sbirri,
trasformati in inquisitori, tutti i giornali stampati a Parigi e censurava
tutte le lettere da e per Parigi; mentre all’Assemblea nazionale i più timidi
tentativi di dire una parola in favore di Parigi erano sommersi da urla
sconosciute persino alla Chambre introuvable del 1816; data la nefanda condotta
della guerra che i Versagliesi portavano avanti fuori delle mura di Parigi e i
loro tentativi di corruzione e di cospirazione all’interno della città, non
avrebbe la Comune tradito vergognosamente la fiducia in essa riposta affettando
di osservare tutte le convenzioni e le apparenze del liberalismo, come in tempi
di perfetta pace? Se il governo della Comune fosse stato dello stesso stampo di
quello di Thiers, non vi sarebbero stati meno pretesti di sopprimere i giornali
del partito dell’ordine a Parigi, che di sopprimere quelli della Comune a
Versailles.
Certo però era irritante,
per i rurali, che nel momento stesso in cui essi dichiaravano il ritorno alla
Chiesa come solo mezzo di salvezza per la Francia, la miscredente Comune
dissotterrasse i singolari misteri del convento di Piepus e quelli della chiesa
di Saint-Laurent. Ed era una bella presa in giro che mentre Thiers copriva di
gran croci al merito i generali bonapartisti, come riconoscimento della loro maestria
nel perdere battaglie, a firmare capitolazioni e a fumare delle sigarette a
Wilhelmshöhe, la Comune destituisse e arrestasse i suoi generali, al minimo
sospetto di negligenza nell’adempimento dei loro doveri. L’espulsione dalla
Comune e l’arresto dietro suo ordine di uno dei suoi membri che si era
intrufolato sotto falso nome e che aveva scontato a Lyon sei giorni di carcere
per bancarotta semplice, non costituiva forse un insulto deliberato scagliato
contro il falsario Jules Favre, che continuava ad essere ministro degli Esteri
della Francia, sempre disposto a vendere la Francia a Bismarck e a dettare
ordini all’incomparabile governo belga? Ciononostante la Comune non pretendeva
all’infallibilità, cosa che si attribuiscono senza eccezioni tutti i governi
del vecchio stampo. Essa rendeva pubblici tutti i suoi atti, le sue parole,
metteva il pubblico al corrente di tutte le sue operazioni.
In ogni rivoluzione, si
insinuano, accanto ai suoi rappresentanti autentici, individui di tutt’altro
conio; alcuni sono superstiti di passate rivoluzioni e ne conservano il culto;
non comprendono il movimento presente ma conservano ancora una grande influenza
sul popolo, per la loro onestà e il loro riconosciuto coraggio, o per la
semplice forza della tradizione. Altri non sono che semplici schiamazzatori, i
quali, a forza di ripetere per anni la stessa serie di stereotipe declamazioni
contro il governo del giorno, si sono fatti passare per rivoluzionari della più
bell’acqua. Anche dopo il 18 marzo, si videro riemergere alcuni tipi di questo
genere, e in qualche caso riuscirono a rappresentare parti di primo piano.
Nella misura del loro potere, essi furono d’ostacolo all’azione della classe
operaia, esattamente come uomini di tale stampo avevano frenato il libero sviluppo
di ogni precedente rivoluzione. Questi elementi sono un male inevitabile; col
tempo ci si sbarazza di loro, ma alla Comune non ne venne lasciato il tempo.
Meravigliosa, in verità
fu la trasformazione operata dalla Comune di Parigi! Sparita ogni traccia della
depravata Parigi del secondo Impero. Parigi non fu più il ritrovo dei grandi
proprietari fondiari inglesi, dei latifondisti assenteisti irlandesi, degli
ex-negrieri e affaristi americani, degli ex-proprietari di servi russi e
boiardi valacchi. Non più cadaveri alla "morgue", non più rapine e
scassi notturni, quasi spariti i furti. Invero per la prima volta dopo le
giornate del febbraio 1848, le vie di Parigi furono sicure, e questo senza
nessuna vigilanza di polizia.
"Non sentiamo più
parlare - diceva un membro della Comune - di assassinii, furti, aggressioni. Si
direbbe veramente che la polizia ha trascinato con sé a Versailles tutta la sua
clientela conservatrice".
Le cocottes avevano
seguito le orme dei loro protettori - gli scomparsi campioni della famiglia,
della religione e, al di sopra di tutto, della proprietà. Al loro posto
ricomparvero le vere donne di Parigi, eroiche, nobili e risolute come le donne
dell’antichità. Una Parigi che lavorava, pensava, combatteva, dava il proprio
sangue, quasi dimentica, nella gestazione di una società nuova, raggiante
nell’entusiasmo della sua iniziativa storica, che i cannibali era alle sue
porte!
Di fronte a questo nuovo
mondo di Parigi, il vecchio mondo di Versailles - questa Assemblea di vampiri
di tutti i defunti regimi, legittimisti e orleanisti, avidi di nutrirsi del
cadavere della nazione - con un codazzo di repubblicani antidiluviani, che
sanzionavano con la loro presenza nell’Assemblea la rivolta di questi negrieri,
si affidavano per il mantenimento della loro Repubblica parlamentare alla
vanità del senile ciarlatano messo alla testa del governo, e facevano la
caricatura del 1789 tenendo le loro riunioni, come fantasmi del passato, nella
sala del Jeu de Paume. Eccola, questa Assemblea, la rappresentante di tutto ciò
che in Francia era morto, che solo il puntello delle spade di Louis Bonaparte
poteva ancora infonderle una sembianza di vita! Parigi tutta verità, Versailles
tutta menzogna; e questa menzogna esala dalla bocca di Thiers!
Thiers dice ad una delegazione
di sindaci dei dipartimenti della Seine-et-Oise: "Potete contare sulla mia
parola, alla quale non ho mai mancato".
Dice all’Assemblea stessa
che "è l’Assemblea più liberamente eletta e più liberale che sia mai
esistita"; dice alla sua variopinta soldatesca che è "l’ammirazione
del mondo e il più bell’esercito che mai avesse avuto la Francia"; dice
alle province che il bombardamento di Parigi da lui ordinato non è che una
invenzione:
"Se sono stati
tirati alcuni colpi di cannone, ciò non è avvenuto ad opera dell’esercito di
Versailles, ma di alcuni insorti, i quali volevano far credere che
combattevano, mentre non osano neanche farsi vedere". E dice ancora alle
province che: "L’artiglieria di Versailles non bombarda Parigi, la sta
soltanto cannoneggiando".
Dice all’arcivescovo di
Parigi che pretese esecuzioni e rappresaglie (!) attribuite alle truppe di
Versailles non sono che fantasie. Dice a Parigi che egli è soltanto ansioso
"di liberarla dai ripugnanti despoti che la opprimono" e che di fatto
la Parigi della Comune non è costituita che "da un pugno di
criminali".
La Parigi del signor
Thiers non era la Parigi reale della "vile multitude", ma una Parigi
immaginaria, la Parigi dei francs-fileurs, la Parigi dei boulevardiers e delle
boulevardières, la Parigi ricca, capitalista, coperta di soldi, infingarda, che
ora ingombrava, con i suoi lacchè, i suoi ladri in guanti gialli, con la sua
bohème di letterati e con le sue cocottes, Versailles, Saint-Denis, Rueil e
Saint-Germain; che considerava la guerra civile come una gradevole diversione,
seguendo la battaglia in corso attraverso i binocoli, contando i colpi di
cannone e giurando sul proprio onore e su quello delle prostitute colle quali
si accompagnava che lo spettacolo era allestito assai meglio di quanto si
usasse in genere al teatro della Porta di Saint-Martin. Gli uomini che cadevano
erano veramente morti; le grida dei feriti erano grida sul serio; e tutto
l’insieme - guardate - era così intensamente storico!
Questa è la Parigi del
signor Thiers; come la emigrazione di Koblenz era la Francia del signor De
Colonne.
CAP. IV
Il primo atto del
complotto dei negrieri per abbattere Parigi fu di farla occupare dai prussiani;
ma esso fallì per il rifiuto di Bismarck. Il secondo tentativo, quello del 18
marzo, si concluse con la sconfitta dell’esercito e la fuga a Versailles del governo,
il quale obbligò tutto l’apparato amministrativo a seguirlo. Simulando poi di
intavolare trattative con Parigi, Thiers trovò il tempo di prepararsi alla
guerra contro di essa. Ma dove trovare un esercito? I resti dei reggimenti di
fanteria erano scarsi quanto ad effettivi e poco sicuri. I suoi pressanti
appelli alla provincia invitandola a soccorrere Versailles con le loro guardie
nazionali e i loro volontari furono accolti da un rifiuto puro e semplice. Solo
la Bretagna mandò un pugno di Chouans, che combattevano con una bandiera
bianca, ognuno con un cuore di Gesù di stoffa bianca sul petto, e il cui grido
di guerra era: "Vive le roi!". Thiers fu pertanto costretto a mettere
assieme, in gran fretta, un’accozzaglia variopinta, formata di marinai, fucilieri
di marina, zuavi pontifici, gendarmi di Valentin, guardie di città e spioni di
Piétri. Questo esercito, tuttavia, sarebbe rimasto impotente fino al ridicolo
senza l’aggiunta dei prigionieri di guerra dell’esercito dell’impero che
Bismarck lasciava liberi via via, giusto in numero sufficiente per alimentare
la guerra civile e tenere in piedi il governo di Versailles servilmente
prostituitosi ai prussiani.
Durante la guerra stessa,
la polizia di Valentin fu costretta a sorvegliare l’esercito di Versailles,
mentre i gendarmi avevano il compito di trascinarlo al combattimento, mettendo
a repentaglio la loro vita, in tutti i punti più pericolosi. I forti che
caddero non vennero conquistati, ma comprati. L’eroismo dei federati convinse
Thiers che la resistenza di Parigi non poteva essere spezzata dal suo genio
strategico e dalle baionette di cui disponeva.
Frattanto, le sue
relazioni con le province diventavano sempre più difficili. Non un solo
indirizzo di approvazione venne a rallegrare Thiers e i suoi rurali. Al
contrario! Arrivarono da ogni parte deputazioni e indirizzi in cui si chiedeva,
in tono tutt’altro che rispettoso, la riconciliazione con Parigi sulla base del
riconoscimento esplicito della Repubblica, la conferma delle libertà comunali e
lo scioglimento dell’Assemblea nazionale, il cui mandato era scaduto.
Arrivarono in tale quantità che Dufaure, ministro della Giustizia di Thiers,
nella sua circolare del 23 aprile ordinava ai procuratori dello Stato di
considerare delitto "la parola d’ordine della riconciliazione"!
Tuttavia, cominciando a disperare del successo di questa sua campagna, Thiers
decise di cambiare tattica; ordinò che le elezioni comunali avessero luogo in
tutto il paese, il 30 aprile, sulla base della nuova legge municipale che lui
stesso aveva dettata all’Assemblea nazionale. Sia con gli intrighi dei suoi
prefetti che attraverso le intimidazioni poliziesche, Thiers si sentiva sicuro
che il verdetto delle province avrebbe dato alla Assemblea nazionale quel
potere morale che essa non aveva mai avuto e di ottenere infine da essa la
forza materiale necessaria per la conquista di Parigi.
La sua guerra di
brigantaggio contro Parigi, che egli esaltava nel suoi bollettini, e i
tentativi dei suoi ministri di instaurare in tutta la Francia un clima di
terrore, Thiers, fin dall’inizio, si era preoccupato di farla seguire da una
meschina commedia di riconciliazione che doveva servire a più di uno scopo.
Doveva trarre in inganno le province, attirare gli elementi delle classi medie
di Parigi, e, soprattutto, procurare ai sedicenti repubblicani dichiaratisi per
l’Assemblea nazionale, la occasione di mascherare il loro tradimento verso
Parigi dietro la loro fiducia in Thiers. Il 21 marzo, quando non aveva ancora
nessun esercito, egli aveva dichiarato all’Assemblea nazionale: "Qualunque
cosa avvenga, non vogliamo attaccare Parigi". Il 27 marzo, salì nuovamente
alla tribuna: "Ho trovato la Repubblica come fatto compiuto, e sono
fermamente risoluto a mantenerla".
In realtà egli schiacciò
la rivoluzione a Lyon e Marseille in nome della Repubblica mentre i muggiti
spaventevoli dei suoi rurali coprivano a Versailles anche ogni semplice
menzione di essa. Dopo questa impresa egli attenuò il "fatto
compiuto" riducendolo ad un puro "fatto ipotetico". I principi
d’Orleans, che egli prudentemente aveva avvisati di lasciare la città di
Bordeaux, avevano ora, in flagrante violazione della legge, ogni possibilità di
imbastire i loro intrighi a Dreux. Le concessioni offerte da Thiers nelle sue
interminabili conferenze coi delegati di Parigi e delle province, benché
continuamente variate di tono e di colore a seconda del tempo e delle
circostanze, si riducevano sempre, in fin dei conti, a questo: la sua vendetta
sarebbe stata limitata probabilmente a quel "pugno di criminali implicati
nell’assassinio di Lecomte e Clément Thomas", a condizione, ben inteso,
che Parigi e la Francia riconoscessero senza riserve nella persona del signor
Thiers la migliore delle Repubbliche possibili; esattamente come aveva fatto
nel 1830 con Louis-Philippe.
Inoltre non si faceva
scrupolo di rendere dubbie queste stesse concessioni, mediante i commenti
ufficiali fatti al loro riguardo all’Assemblea nazionale dai suoi stessi
ministri. Per agire egli aveva il suo Dufaure. Dufaure, questo vecchio avvocato
orleanista, è sempre stato il giudice supremo dello stato d’assedio, così ora
nel 1871, sotto Thiers, come nel 1839 sotto Louis-Philippe, e nel 1849 sotto la
presidenza di Louis Bonaparte. Quando non aveva incarichi, si era arricchito
come avvocato dei capitalisti di Parigi e si era costruito un capitale politico
intervenendo nelle aule giudiziarie contro le leggi che egli stesso aveva
varato. Al presente, costui non contento di far votare in tutta fretta
dall’Assemblea nazionale una serie di leggi repressive che avrebbero dovuto,
dopo la caduta di Parigi, estirpare gli ultimi residui di libertà repubblicana
in Francia, lasciò intravvedere quella che sarebbe stata la sorte di Parigi,
facendo abbreviare la procedura delle corti marziali, a suo dire troppo lenta,
e introducendo una nuova draconiana legge per le deportazioni. La rivoluzione
del 1848, abolendo la pena di morte per i delitti politici, l’aveva sostituita
con la deportazione. Louis Bonaparte non aveva osato, per lo meno in teoria,
restaurare il regime della ghigliottina. L’Assemblea dei rurali, che non aveva
ancora l’ardire di insinuare che i parigini non fossero dei ribelli ma degli
assassini, dovette per ora limitare le sue prospettive di vendetta alla legge
di deportazione di Dufaure. In tutte queste circostanze, Thiers stesso non
avrebbe potuto continuare la sua commedia di riconciliazione, se questa
commedia - come del resto voleva - non avesse provocato ululati di rabbia dei
rurali, i cui cervelli di ruminanti non afferravano né il suo gioco, né la
necessità dell’ipocrisia, delle tergiversazioni e dilazioni.
In vista delle imminenti
elezioni municipali del 30 aprile, Thiers interpretò il 27 aprile una delle sue
grandi scene di riconciliazione. In mezzo ad un diluvio di retorica
sentimentale egli esclamò dalla tribuna dell’Assemblea:
"Contro la
Repubblica c’è una sola cospirazione ed è quella di Parigi, che ci costringe a
versare sangue francese. L’ho detto ormai a sazietà: che le empie armi cadano
dalle mani che le impugnano, e il castigo verrà immediatamente sospeso; noi
saremo clementi, eccetto che nei riguardi dei criminali che, fortunatamente,
sono solo un piccolo numero".
Di fronte alle violente
interruzioni dei rurali:
"Signori, ditemelo,
ve ne supplico, ho torto? Vi addolora veramente il fatto che io abbia detto che
i criminali non sono che un piccolo numero? Non è una fortuna, in mezzo alle
nostre disgrazie, che coloro che sono stati capaci di versare il sangue di
Clément Thomas e del generale Lecomte non siano che rare eccezioni?".
La Francia però fece
orecchie da mercante a quello che Thiers si immaginava fosse il canto di una
sirena parlamentare. Su 700.000 consiglieri comunali eletti in 35.000 comuni
che ancora rimanevano alla Francia, i legittimisti, orleanisti, bonapartisti
riuniti non ne contavano che 8.000. Le elezioni supplementari che seguirono
furono ancora più decisamente ostili. Così, invece di ottenere dalle province
la forza materiale di cui aveva assoluto bisogno l’Assemblea nazionale perdette
anche l’ultima pretesa alla forza morale, quella di essere l’espressione del
suffragio universale del paese. Per completare la sconfitta, i consigli
municipali appena eletti in tutte le città della Francia minacciarono
apertamente l’Assemblea usurpatrice di Versailles di convocare una
contro-assemblea a Bordeaux.
Il momento lungamente
atteso da Bismarck per l’azione decisiva era infine arrivato. Ingiunse a Thiers
di mandare plenipotenziari a Frankfurt per la definitiva conclusione della
pace. Con umile obbedienza al richiamo del suo padrone, Thiers si affrettò a
mandare il suo fedele Jules Favre, accompagnato da Pouyer-Quertier.
Pouyer-Quertier, "eminente" cotoniere di Rouen, fervente e persino
servile partigiano del secondo Impero, in cui non aveva mai trovato altro
difetto che il trattato commerciale con l’Inghilterra, in quanto recava
pregiudizio ai propri interessi di bottega. Non appena installato a Bordeaux
come ministro delle Finanze di Thiers, aveva denunciato questo
"malaugurato" trattato, lasciando intendere che sarebbe stato di lì a
poco abrogato, e aveva avuto persino la sfrontatezza di tentare, anche se
inutilmente (aveva fatto i conti senza Bismarck), l’immediata messa in vigore
dei vecchi dazi protettivi contro l’Alsazia, alla qual cosa, sosteneva, non si
opponeva nessun precedente trattato internazionale. Quest’uomo, che considerava
la controrivoluzione come un mezzo per ridurre i salari a Rouen, e la cessione
delle province francesi come un mezzo per fare salire i prezzi delle sue merci
in Francia, non era forse predestinato ad essere designato a figurare come il
degno compare di Jules Favre nella sua ultima impresa di tradimento,
coronamento di tutta la sua carriera?
All’arrivo a Frankfurt di
questa squisita coppia di plenipotenziari, il brutale Bismarck li accolse lì
per lì con questa impressionante alternativa: "O la restaurazione
dell’Impero, o l’accettazione incondizionata delle mie precise condizioni di
pace!". Queste condizioni comportavano una riduzione dei termini di
pagamento dell’indennità di guerra, e l’occupazione permanente dei forti di
Parigi da parte delle truppe prussiane fino a che Bismarck non si fosse
ritenuto soddisfatto dello stato di cose in Francia; la Prussia veniva in tal
modo riconosciuta l’arbitro supremo degli effettivi interessi della Francia! In
contropartita egli si offriva di liberare, per consentire lo sterminio di
Parigi, l’esercito bonapartista prigioniero e di garantirgli l’aiuto diretto
delle truppe dell’imperatore Guglielmo. Dava garanzia della sua buona fede
facendo dipendere il pagamento della prima rata dell’indennità dalla
"pacificazione" di Parigi. Una simile esca fu naturalmente subito
ingoiata con avidità da Thiers e dai suoi plenipotenziari. Essi firmarono il
trattato di pace il 10 maggio, e lo fecero ratificare dall’Assemblea di Versailles
il 18.
Nell’intervallo che
separa la conclusione del trattato di pace e l’arrivo dei prigionieri
bonapartisti, Thiers si sentì tanto più obbligato a riprendere la sua commedia
di conciliazione, in quanto i suoi manovali repubblicani avevano un bisogno
dannato di trovare un pretesto per chiudere l’occhio sui preparativi del
massacro di Parigi. Ancora l’8 maggio, egli rispondeva ad una deputazione di
conciliatori della classe media:
"Quando gli insorti
si saranno decisi a capitolare, le porte di Parigi saranno aperte per tutti,
per una settimana, eccetto che per gli assassini di Clément Thomas e
Lecomte".
Alcuni giorni dopo,
interpellato violentemente dai rurali a proposito di queste promesse, rifiutò
di dare qualsiasi spiegazione; non però senza aver fatto loro questo
significativo cenno:
"Vi dico che vi sono
tra di voi degli impazienti, della gente che ha troppa fretta. Bisogna che
attendano ancora otto giorni; alla fine di questi otto giorni, non vi sarà più
nessun pericolo, e allora il compito sarà all’altezza del loro coraggio e delle
loro capacità".
Non appena Mac-Mahon fu
in grado di assicurargli che di lì a poco sarebbe potuto entrare in Parigi,
Thiers dichiarò all’Assemblea che:
"sarebbe entrato a
Parigi brandendo la legge, e avrebbe preteso una completa espiazione per gli
scellerati che avevano sacrificato la vita dei nostri soldati e abbattuto
pubblici monumenti".
Quando il momento
decisivo ormai fu vicino, disse alla Assemblea: "Sarò spietato";
disse che Parigi era condannata; e disse ai suoi sgherri bonapartisti che essi
avevano carta bianca per vendicarsi di Parigi a loro piacimento. Infine, quando
il tradimento, il 21 maggio, ebbe aperto le porte di Parigi al generale Douay,
Thiers, il 22 maggio, rivelò ai rurali lo "scopo" della sua commedia
della conciliazione, che essi così ostinatamente avevano continuato a non
capire.
" Finora tutte le
volte che io comunicavo delle notizie, ero costretto a dirvi che stavamo
avvicinandoci al nostro scopo. E vi dicevo la verità. Oggi posso dirvi molto di
più: lo scopo è raggiunto. La causa della giustizia, dell’ordine, dell’umanità,
della civiltà hanno trionfato".
E si trattava proprio di
questo. La civiltà e la giustizia dell’ordine borghese si mostrano nella loro
luce sinistra ogni volta che gli schiavi e gli sfruttati di quest’ordine
insorgono contro i loro padroni. Allora, questa civiltà e questa giustizia
mostrano il loro vero volto come pura barbarie e rozza vendetta al di là della
legge, senza inutili mascherature. Ogni nuova crisi nella lotta di classe tra
gli accaparratori della ricchezza e i produttori di essa mette in luce questo
fatto con sempre maggiore chiarezza. Persino le atrocità dei borghesi del 1848
scompaiono di fronte all’indicibile infamia del 1871. L’eroico spirito di
sacrificio col quale la popolazione di Parigi - uomini, donne e ragazzi -
combatté per otto giorni dopo l’entrata dei versagliesi, rispecchia in maniera
evidente la grandezza della loro causa, quanto le imprese efferate della
soldatesca riflettono lo spirito innato di questa civiltà di cui essi sono i
mercenari e i difensori. Gloriosa civiltà, invero, il cui problema principale è
di sapere come riuscire a sbarazzarsi dei mucchi di cadaveri rimasti sul campo
dopo che la battaglia è terminata!
Per trovare un parallelo
alla condotta di Thiers e dei suoi sciacalli, bisogna risalire fino ai tempi di
Silla e dei due triumvirati di Roma. Gli stessi eccidi di massa, eseguiti a
sangue freddo, la stessa incuranza nel massacro di fronte all’età e al sesso;
la stessa pratica di torturare i prigionieri; le stesse proscrizioni, ma ora
tutto ciò coinvolgeva un’intera classe; la stessa caccia selvaggia ai capi
nascosti, per paura che anche uno solo potesse sfuggire; le stesse denunce di
nemici politici e privati; la stessa indifferenza per il massacro di persone
inermi assolutamente estranee alla lotta. Non vi è che una sola differenza: i
romani non avevano ancora le mitragliatrici per liquidare i prigionieri e non
avevano "la legge nelle loro mani", né, sulle loro labbra, il grido
borghese di "civiltà".
E, dopo questi orrori,
guardate l’altro aspetto, ancora più rivoltante, di questa civiltà borghese,
come è stato descritto dalla sua stessa stampa!
"Mentre echeggiano
in lontananza spari isolati - scrive il corrispondente parigino di un giornale
conservatore di Londra - e disgraziati feriti muoiono abbandonati tra le pietre
tombali del Père-Lachaise, mentre 6.000 insorti vagano terrorizzati tra le
angosce della disperazione nel labirinto delle catacombe, e poveri sciagurati
vengono sospinti nelle strade per essere abbattuti a mucchi dalle
mitragliatrici, è rivoltante vedere i caffè zeppi dei devoti dell’assenzio, del
biliardo e del dòmino; vedere le puttane di questi borghesucci passeggiare in
lungo e in largo sui boulevards e sentire il frastuono delle orge, che vien
fuori dai salotti riservati dei ristoranti di lusso, turbare il silenzio della
notte".
Il signor Edouard Hervé
scrive nel "Journal de Paris", organo versagliese soppresso dalla
Comune:
"Il modo con cui la
popolazione di Parigi (!) ha manifestato ieri la sua soddisfazione colpiva per
il suo carattere più che frivolo; e lo sarà ancora più oggi. Parigi ha adesso
un’aria di festa del tutto fuori luogo; è necessario che queste cose finiscano
e devono finire, se non vogliamo essere chiamati definitivamente i
"parisiens de la décadence"".
Segue la citazione del
passo di Tacito:
"Eppure, il giorno
successivo a quella lotta terribile, anche prima che fosse del tutto terminata,
Roma, degenerata e corrotta, ricominciò ancora una volta a rotolarsi nella
melma delle gozzoviglie che distruggevano il suo corpo e insozzavano il suo
animo: alibi proelia et vulnera, alibi balneae popinaeque (qua combattimenti e
ferite, là bagni e taverne)".
Il signor Hervé dimentica
semplicemente di dire che la "popolazione di Parigi" di cui egli
parla non è che la popolazione della Parigi del signor Thiers, dei furfanti che
ritornano in folla da Versailles, Saint-Denis, Rueil e Saint-Germain, la vera
"Paris de la décadence".
In tutti i suoi
sanguinosi trionfi sui magnifici combattenti pieni di abnegazione per una nuova
e migliore società, questa civiltà obbrobriosa, fondata sull’asservimento del
lavoro, soffoca il gemito delle sue vittime sotto uno strepito di calunnie la
cui eco si ripercuote nel mondo intero. La serena Parigi della Comune viene
improvvisamente trasformata dagli sciacalli dell’"ordine" in un
inferno. E che cosa prova questa mostruosa trasformazione allo spirito borghese
di tutti i paesi? Niente altro se non che la Comune ha cospirato contro la
civiltà! Il popolo di Parigi muore con entusiasmo per la causa della Comune. Il
numero dei suoi caduti è superiore a quello di qualunque altra battaglia
conosciuta nella storia. Che cosa vuol dire ciò? Nient’altro se non che la
Comune non era il governo del popolo stesso, ma il prodotto di un’usurpazione
da parte di un pugno di criminali! Le donne di Parigi offrivano con gioia la
loro vita sulle barricate e davanti ai plotoni di esecuzione. Che cosa prova
ciò? Nient’altro se non che il demone della Comune le ha trasformate in Megere
ed Ecati! La moderazione della Comune durante due mesi di dominio incontrastato
è eguagliata solo dall’eroismo della sua difesa. Che cosa prova ciò?
Nient’altro se non che la Comune per due mesi ha nascosto con cura, sotto una
maschera di moderazione e d’umanità, la sete di sangue dei suoi istinti
demoniaci che dovevano scatenarsi solo nell’ora della sua agonia!
La popolazione di Parigi,
compiendo su se stessa il suo eroico olocausto, ha travolto nelle fiamme
palazzi e monumenti. Quando fanno a pezzi il corpo vivente del proletariato, i
suoi dominatori non debbono più contare di poter rientrare trionfalmente
nell’architettura intatta delle loro dimore. Il governo di Versailles grida:
"Incendiari!" e sussurra questa consegna a tutti i suoi sgherri, fino
al più perduto villaggio: dare dappertutto la caccia ai suoi nemici, sospetti di
essere incendiari di professione. La borghesia di tutto il mondo, che assiste
con compiacimento al massacro dopo la battaglia, rabbrividisce d’orrore nel
veder profanati la calce e i mattoni!
Quando i governi danno
alla loro marina l’ordine di "uccidere, bruciare e distruggere", non
è una licenza di incendiare? Quando le truppe britanniche dettero
deliberatamente fuoco al Campidoglio di Washington e al Palazzo d’Estate
dell’Imperatore di Cina, si trattava o no di un atto da incendiari? Quando Thiers,
per sei settimane, bombardò Parigi col pretesto che voleva metter fuoco solo
alle case abitate [sic!] era o no un incendiario? In guerra il fuoco è un’arma
legittima come tutte le altre. Gli edifici occupati dal nemico vengono
bombardati per essere incendiati. Se i loro difensori sono costretti a
ritirarsi, vi appiccano essi stessi il fuoco per impedire agli attaccanti di
servirsi degli edifici. L’essere distrutte dalle fiamme è sempre stata la sorte
inevitabile di tutte le costruzioni situate sul fronte di combattimento di
tutti gli eserciti regolari del mondo. Ma nella guerra degli schiavi contro i
loro oppressori, la sola guerra giustificabile nella storia, ciò non è più del
tutto vero! La Comune ha impiegato il fuoco esclusivamente come mezzo di
difesa. Lo ha impiegato per sbarrare alle truppe di Versailles quei viali
lunghi e rettilinei che Haussmann aveva espressamente aperto per il fuoco
dell’artiglieria; lo ha impiegato per coprire la ritirata, allo stesso modo che
i versagliesi, nella loro avanzata, facevano uso di tutti i loro obici che
distrussero per lo meno altrettanti edifici quanti ne distrusse il fuoco della
Comune. Si discute ancor oggi quali edifici vennero incendiati dai difensori e
quali dagli attaccanti. E i difensori non fecero ricorso al fuoco se non quando
le truppe versagliesi avevano già incominciato l’assassinio in massa dei
prigionieri. D’altra parte, la Comune aveva, già da molto tempo, annunciato
pubblicamente che, se fosse stata spinta agli estremi, avrebbe sepolto se
stessa sotto le rovine di Parigi, e fatto di Parigi una seconda Mosca, come
aveva promesso di fare, ma unicamente per coprire il suo tradimento, anche il
governo della Difesa nazionale. A questo scopo Trochu aveva fatto arrivare il
petrolio necessario. La Comune sapeva che ai suoi nemici non importava nulla
della vita della popolazione di Parigi, ma che stavano loro grandemente a cuore
gli edifici da essi posseduti. E Thiers, da parte sua, li aveva avvertiti che
nella sua vendetta sarebbe stato implacabile. Non appena ebbe pronto da un lato
l’esercito e dall’altro i prussiani che bloccavano le uscite, egli proclamò:
"Io sarà senza pietà! L’espiazione sarà completa e la giustizia sarà
infallibile ".
Se gli atti degli operai
di Parigi sono stati vandalismo, è stato il vandalismo di una difesa disperata,
non il vandalismo del trionfo, come quello che i cristiani perpetrarono a danno
dei capolavori veramente inestimabili dell’antichità pagana; e persino questo
vandalismo dei cristiani è stato giustificato dalla storia come elemento
concomitante inevitabile e relativamente insignificante della lotta gigantesca
tra una nuova società in ascesa e una vecchia società che sprofonda. Gli atti
degli operai di Parigi furono ancora inferiori al vandalismo perpetrato da
Haussmann, il quale distrusse la Parigi storica per far posto alla Parigi dei
perdigiorno!
Ma l’esecuzione da parte
della Comune dei 64 ostaggi, con l’arcivescovo di Parigi in testa! La borghesia
e il suo esercito nel giugno 1848 ristabilirono una pratica che da molto tempo era
scomparsa dalla condotta di guerra: l’esecuzione dei prigionieri disarmati. Da
allora questa brutale consuetudine è stata seguita più o meno fedelmente nelle
repressioni di tutti i sollevamenti popolari in Europa e nelle Indie, la qual
cosa prova che essa costituisce veramente un "progresso della
civiltà!". D’altra parte i prussiani, in Francia, avevano ristabilito
l’uso di prendere ostaggi, uomini innocenti che dovevano rispondere a prezzo
della propria vita delle azioni di altri. Quando Thiers, come abbiamo visto,
fin dall’inizio del conflitto, rimise in vigore la consuetudine umanitaria di
uccidere i comunardi prigionieri, la Comune, per proteggere la loro vita, fu
costretta a fare ricorso alla pratica di prendere ostaggi. Gli ostaggi avevano
già meritato la morte mille e una volta per le continue esecuzioni dei
prigionieri da parte di Versailles. Come potevano essere risparmiati più a
lungo, dopo il massacro col quale i pretoriani di Mac-Mahon avevano celebrato
il loro ingresso a Parigi? Si doveva far diventare una semplice burla anche la
presa di ostaggi - ultima garanzia contro la ferocia senza scrupoli dei governi
borghesi? Il vero assassino dell’arcivescovo Dorboy, è Thiers. La Comune, a più
riprese, aveva offerto di scambiare l’arcivescovo e non so quanti altri preti,
per giunta, contro il solo Blanqui, allora nelle mani di Thiers. Thiers rifiutò
ostinatamente. Sapeva che con Blanqui avrebbe dato alla Comune una testa;
mentre l’arcivescovo gli sarebbe stato più utile come cadavere. Thiers agì seguendo
l’esempio di Cavaignac. Quali grida di orrore non gettarono Cavaignac e i suoi
uomini d’ordine nel giugno 1848 per stigmatizzare gli insorti quali assassini
dell’arcivescovo Affre! Essi erano a perfetta conoscenza che l’arcivescovo era
stato ammazzato dai soldati dell’ordine. Jacquemet, vicario generale
dell’arcivescovo, testimone oculare del fatto, ne aveva fornito diretta
testimonianza.
Tutto questo coro di
calunnie che il partito dell’ordine, nelle sue orge di sangue, non manca mai di
scagliare contro le sue vittime, prova soltanto che i borghesi dei nostri
giorni si considerano come i successori legittimi dei baroni di un tempo, per i
quali ogni arma che avessero nelle proprie mani era giusto usarla contro il
plebeo, mentre nelle mani del plebeo ogni arma era di per sé un crimine.
La macchinazione della
classe dirigente per abbattere la rivoluzione mediante una guerra civile
portata avanti sotto il patrocinio di un invasore straniero, macchinazione che
abbiamo seguito dal 4 settembre fino all’entrata dei pretoriani di Mac-Mahon
per la porta di Saint-Cloud, trovò il suo punto culminante con il massacro di
Parigi. Bismarck rimira con soddisfazione le rovine di Parigi, in cui egli vede
forse il primo passo di quella distruzione generale delle grandi città che
aveva tanto desiderato fin da quando era ancora un semplice rurale alla Chambre
introuvable prussiana del 1849. Egli rimira compiaciuto i cadaveri del
proletariato di Parigi. Per lui ciò rappresenta non solo lo sterminio della
rivoluzione, ma l’estinzione della Francia, adesso decapitata, e per opera
dello stesso governo francese. Con la superficialità caratteristica propria di
tutti gli uomini di Stato fortunati, egli non vede che l’apparenza esteriore di
quel tremendo avvenimento storico. Quando mai prima d’ora la storia ha offerto
lo spettacolo di un vincitore che corona la sua vittoria trasformandosi non
solamente in gendarme, ma in mandatario stipendiato del governo vinto? Non vi
era stato di guerra tra la Prussia e la Comune di Parigi. Al contrario. La
Comune aveva accettato i preliminari di pace, e la Prussia aveva dichiarato la
sua neutralità. La Prussia non era dunque parte belligerante. Si comportava
come un mercenario, e un mercenario vile, dal momento che non correva nessun
rischio; come un sicario prezzolato, dal momento che aveva contrattato in
anticipo il pagamento di 500 milioni di franchi, prezzo del sangue, alla caduta
di Parigi. E così, infine, usciva fuori il vero carattere di questa guerra,
ordinata dalla Provvidenza come castigo della Francia atea e corrotta per mano
della pia e puritana Germania! E questa violazione senza precedenti del diritto
dei popoli, anche nel senso in cui lo intendevano i giuristi del passato,
invece di spingere i governi "civilizzati" d’Europa a mettere al bando
delle nazioni il criminale governo prussiano, semplice strumento del gabinetto
di San Pietroburgo, li incita solamente a discutere se le poche vittime
sfuggite al duplice cordone sanitario che circonda Parigi debbano o no essere
consegnate ai carnefici di Versailles !
Che dopo la guerra più
sconvolgente dei tempi moderni, il vinto e il vincitore fraternizzino per
massacrare in comune il proletariato, questo fatto senza precedenti prova non
come pensa Bismarck, lo schiacciamento definitivo di una nuova società al suo
sorgere, ma la decomposizione completa della vecchia società borghese. Il più
alto slancio di eroismo di cui la vecchia società è ancora capace è la guerra
nazionale; ed è ora dimostrato che questa è una semplice mistificazione dei
vari governi, la quale tende a ritardare ed affossare la lotta delle classi, e
viene messa in disparte non appena questa lotta di classe divampa in guerra
civile.
Il dominio di classe non
può più mascherarsi sotto una uniforme nazionale; contro il proletariato i governi
nazionali sono tutti federati !
Dopo la Pentecoste del
1871, non vi può più essere né pace, né tregua accettabile tra gli operai
francesi e coloro che si appropriano del prodotto del loro lavoro. La mano di
ferro di una soldatesca mercenaria potrà tenere, per qualche tempo, le due
classi sotto una stessa oppressione. Ma la battaglia riprenderà, con
proporzione sempre crescente, e non può esserci dubbio su chi risulterà alla
fine vincitore - il piccolo numero degli accaparratori, o l’immensa maggioranza
lavoratrice. E la classe operaia francese non è che l’avanguardia dell’intero
proletariato moderno.
Mentre i governi europei
dimostrano così davanti a Parigi, il carattere internazionale del dominio di
classe, essi si scagliano addosso all’Associazione Internazionale dei
Lavoratori - controrganizzazione internazionale del lavoro alla unione
cosmopolita del Capitale - loro fonte prima di tutti questi mali. Thiers la
denunciava come despota del lavoro, pretendendo di esserne il liberatore.
Picard dette l’ordine di tagliare tutte le comunicazioni tra gli
Internazionalisti francesi e quelli degli altri paesi; il conte Jaubert, questa
vecchia mummia, già complice di Thiers nel 1835, dichiara che il grande
problema per tutti i governi civili è quello di estirpare l’Internazionale. I
rurali dell’Assemblea nazionale vomitano il loro livore contro di essa, e tutta
la stampa europea si unisce al coro. Un onorevole scrittore francese,
completamente estraneo alla nostra Associazione, esprime la sua opinione in
questi termini:
"I membri del
Comitato centrale della Guardia nazionale e così pure la maggior parte dei
membri della Comune, sono le menti più attive, più intelligenti ed energiche
dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori... uomini profondamente onesti,
sinceri, risoluti, puri e fanatici nel senso migliore della parola".
Lo spirito borghese,
tutto imbevuto di pregiudizi polizieschi, si figura naturalmente l’Associazione
Internazionale dei Lavoratori come una sorta di setta segreta, il cui organismo
centrale comanda, di quando in quando, le insurrezioni nei diversi paesi. La
nostra Associazione, in realtà, non è altro che il legame internazionale che
unisce gli operai più avanzati di tutti i paesi del mondo civile. Dovunque,
sotto qualsiasi forma e in qualsiasi condizione, lo scontro di classe prenda
consistenza, è del tutto naturale che i membri della nostra Associazione si
trovino al primo posto. Il terreno su cui essa sorge è la stessa società
moderna. Essa non può venire sradicata da nessun massacro, per quanto
spargimento di sangue esso comporti. Per sradicarla, i governi dovrebbero
sradicare il dispotismo del Capitale sul Lavoro, condizione stessa della loro
esistenza di parassiti.
La Parigi operaia, con la
sua Comune, sarà celebrata in eterno, come manifestazione di una nuova società.
I suoi martiri hanno per urna il grande cuore della classe operaia. I suoi
sterminatori la storia li ha già inchiodati a quella gogna eterna, dalla quale
non riusciranno a riscattarli tutte le preghiere dei loro preti.
Londra 30 maggio 1871
Il Consiglio Generale
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