pc 12 novembre - Pomigliano non c'è giudice che tenga, Marchionne FCA se ne fotte e non li vuole in fabbrica - La lotta continua, ma una santa guerra di classe è necessaria!
da il mediano.com
Riceveranno regolarmente lo stipendio
ma non potranno restare in fabbrica. Dovranno comunque rimanere a casa
perché l’azienda li ha esentati da ogni prestazione lavorativa: pagati
per non lavorare. E’ questa la decisione della Fiat sul destino prossimo
di Mimmo Mignano, Marco Cusano, Roberto Fabbricatore, Massimo
Napolitano e Antonio Montella, i cinque operai della fabbrica
automobilistica di Pomigliano e del reparto logistico di Nola licenziati
due anni e mezzo fa dall’azienda per aver inscenato davanti agli
stabilimenti il finto suicidio dell’amministratore delegato Sergio
Marchionne, con tanto di patibolo, corda e fantoccio appeso raffigurante
l’ad. A settembre però la Corte di Appello di Napoli ne ha ordinato il
reintegro nel posto di lavoro e stamattina Mignano e gli altri faranno
rientro negli stabilimenti di Pomigliano e di Nola. Si tratterà di un
rientro molto breve però. L’azienda infatti ha disposto che i cinque
operai una volta espletate in fabbrica alcune pratiche burocratiche
dovranno già nella stessa giornata di oggi abbandonare gli stabilimenti
automobilistici. Con una disposizione comunicata il 7 novembre
attraverso una lettera, i lavoratori reintegrati sono stati infatti
esentati da ogni prestazione lavorativa. Vale a dire che saranno pagati
per non lavorare. Riceveranno regolarmente lo stipendio ogni mese e
anche le spettanze arretrate stabilite dal giudice con la sentenza di
reintegro emanata il 27 settembre scorso. Ma non potranno lavorare in
fabbrica: accesso ancora off limits per loro. Resteranno a casa.
L’azienda intanto ha fatto ricorso in Cassazione contro la sentenza del
tribunale di Napoli. Sarà quello del terzo e definitivo grado di
giudizio il momento in cui evidentemente si tireranno le somme
dell’intera vicenda. Una storia cominciata il 5 giugno del 2014, quando i
cinque operai in questione appendono a un patibolo piazzato davanti al
reparto logistico Fiat di Nola un fantoccio raffigurante il volto
dell’amministratore delegato di Fca, Sergio Marchionne. Una protesta
choc messa in atto – come hanno più volte sostenuto gli stessi
manifestanti – “con una satira spinta e per questo molto provocatoria
immaginata all’indomani del suicidio degli operai cassintegrati del
reparto logistico, Pino De Crescenzo e Maria Baratto”. La protesta
clamorosa, preceduta da un altro “flash mob” con gli operai stesi a
terra e “insanguinati” con della vernice rossa, viene poi seguita
qualche giorno dopo dal finto funerale di Marchionne inscenato con tanto
di bara e lumini accessi davanti al varco operai della Fiat di
Pomigliano. Quindi, pochi giorni dopo, il licenziamento di Mimmo
Mignano, di Somma Vesuviana, Massimo Napolitano, di Acerra, Marco
Cusano, di San Nicola la Strada, Roberto Fabbricatore, di Angri, e
Antonio Montella, di Torre del Greco. Tutti cinquantenni e tutti con
famiglie al seguito. Inizia la battaglia giudiziaria. Per due volte di
seguito il tribunale di Nola dà ragione alla Fiat respingendo la
richiesta di reintegro dei cinque operai. Nelle due sentenze i giudici
di Nola affermano sostanzialmente che i manifestanti “hanno travalicato
il diritto di critica rompendo il rapporto di fiducia con l’azienda”. Ma
la Corte di Appello di Napoli a settembre ribalta le due sentenze
precedenti: “E’ stata libertà di espressione e di critica: i lavoratori
devono essere reintegrati”.
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