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Dalla
rivolta delle banlieues alla rivoluzione proletaria
25
mila poliziotti schierati nelle banlieues la notte del 31 dicembre 05 a difesa
dell’ordine e della sicurezza contro la possibile ripresa della rivolta, hanno
offerto l’immagine eloquente di quello che la rivolta ha costituito per la
Francia e per i paesi imperialisti in generale. L’ostentata dimostrazione di
forza dello Stato francese è risultata paradossalmente una smaccata
dimostrazione di debolezza, la borghesia francese e il suo Stato non erano in
grado di garantire più un capodanno normale ai 500mila che affollavano gli
Champ Elisees se non al prezzo di uno Stato di militarizzazione simile ad uno Stato
di guerra.
In tutti i paesi imperialisti, anche quelli
solo sfiorati dal contagio francese in questa occasione – Belgio, Germania,
Olanda, Danimarca, Spagna, Grecia, Inghilterra, Svizzera, Svezia – la paura
della borghesia è stata tanta che le misure prese dai governi, dal punto di
vista del dispiegamento di forze dello Stato, sono state come se la rivolta ci fosse
stata effettivamente.
Anche la contabilità delle macchine bruciate
è suonata abbastanza grottesca: prima si è detto che erano la testimonianza di
semplice vandalismo e teppismo che caratterizzerebbe la ‘feccia’ delle
banlieues, senza coscienza politica, senza obiettivi, in ultima analisi senza
ragione, poi però si è dispiegata l’intera forza della polizia, se ne è
valutata l’efficacia militare, politica e si è valutato il grado di tenuta del
sistema politico istituzionale contando le macchine bruciate, dando ad esse una
sorta di vittoria postuma (i commenti del giorno dopo capodanno hanno, infatti
parlato di “pericolo scampato” contando il numero relativamente basso di
macchine bruciate, anche se erano 100 in più del precedente capodanno).
Parafrasando Marx si potrebbe dire che quando
ogni fruscio e fermento sociale, ogni manifestazione anomala, ogni singolo
episodio viene percepito
dalla borghesia come un pericolo, allora effettivamente ogni singolo episodio diventa
un pericolo.
Alla paura della borghesia ha corrisposto l’orgoglio
e la forza della gioventù proletaria ribelle. Dichiarava Muhittin, il giovane
sopravvissuto alla tragica notte del 27 ottobre, dove hanno perso la vita,
fulminati, Bouna e Zyaed “Adesso i miei amici pensano che io sia un eroe, che
sia diventato un capo. Ma io sono solo un ragazzo”, mentre parlava della ‘notte
di S. Silvestro’ in questi termini “Certo, conosco gente che si prepara a far
la festa ai poliziotti”.
Come si può pensare che 25mila sbirri possono
cancellare e soffocare tutto questo ODIO?
Negli infami tribunali della borghesia, quello di Bobigny in particolare, si
sono subito processati e condannati decine e decine di giovani protagonisti
della rivolta – sono stati migliaia i condannati degli oltre 5mila arrestati e
oltre il doppio incriminati e perseguitati.
La logica di questi tribunali è stata da “tribunali
di guerra” in cui non si sono neanche cercate ‘prove certe’, ma si sono assunti
i rapporti di polizia come ‘prova’.
Ma anche qui lo Stato benché ha fatto la
faccia feroce si è trovato davanti non certo la paura, non certo i pentimenti
dei giovani. I processi sono somigliati a tutti i processi che seguono le
rivolte e le ribellioni di massa, impregnati di terrore e di vendetta, con riti
che vorrebbero essere della legge ma che risultano essere una sorta di “esorcismo”.
Dalla Comune di Parigi alla Francia di oggi
queste pagine tendono sempre a rinverdire la memoria storica, La borghesia
vorrebbe la ‘pace dei cimiteri’ per seppellire le istanze di ribellione e
trasformazione sociale. Ma Parigi non è adatta a questo, perfino il Cimitero di
Pere Lachaise, con i suoi morti della Comune, con le tante tombe di comunisti e
di combattenti/partigiani della liberazione, è memoria di rivoluzione che
alimenta la rivoluzione.
La verità è che a Parigi e in Francia è
comparso un nuovo spettro che comincia ad aggirarsi in tutte le metropoli
europee e a turbare i sonni e la sicurezza dei borghesi: la gioventù
proletaria. La nuova gioventù proletaria, figlia di proletari, in quartieri
proletari, si è ribellata. Non era la prima volta, e la rabbia e l’odio erano e
sono permanenti e latenti, ma questa volta si è ribellata ovunque, in tutte le
banlieues parigine e in tutte le città francesi ove vi sono le medesime
condizioni e perfino dove non si è ribellata si è riconosciuta nella rivolta, e
ha reso la ribellione più forte ed incisiva, mettendo a nudo di fronte agli
occhi di tutta la Francia e di tutti i paesi imperialisti europei, la natura di
classe di essa. Ogni argomento usato per spiegare e a volte giustificare la
rivolta da governanti, politici, intellettuali, non ha fatto che illuminarne il
suo carattere globale; e più giornalisti impegnati, sociologi da strapazzo,
esponenti della ‘sinistra di palazzo’ si sono
arrampicati scioccati sugli specchi per darsi la “vera spiegazione” e più ogni
spiegazione è servita a dare una ragione in più e a far venir fuori più
evidente che mai il carattere generale della società di classe contro cui si è
sviluppata la rivolta che in ciascuna delle “vere spiegazioni” si voleva
occultare.
La rivolta è della gioventù proletaria
francese, dei suoi settori più precari nei quartieri operai, di tradizione
operaia, di composizione operaia, in cui le fabbriche in alcuni casi sono fuse col
quartiere. Ad Aulnay Sous-Bois, cuore della rivolta, c’è la Citroen con 7 mila
operai. Insomma, pensando a questo quartiere, si potrebbe dire che non sono le macchine
bruciate il problema della borghesia, ma i proletari che le costruiscono e i
loro figli.
Giustamente si è parlato dei figli del
proletariato. Se ne è parlato molto a sproposito per segnalare che il
proletariato adulto sarebbe contrario alla rivolta, sarebbe dalla parte del
sistema, integrato in esso, ma si è trattato di una falsificazione e
mistificazione. I giovani proletari hanno espresso in forma radicale gli
interessi della loro classe e si sono ribellati allo stato di passività imposto
dal dominio della classe dominante, di tutte le sue articolazioni, di tutti i
suoi alleati – l’aristocrazia operaia rappresentata da partiti e sindacati, la
piccola borghesia intellettuale benestante o ‘bottegaia’ e proprietaria.
Si è cercato poi di presentare la ribellione
dei giovani delle banlieues come fenomeno particolare e non lo si vede legata al
più generale ingresso della nuova generazione nella scena politica mondiale all’interno
dei paesi imperialisti, come ha evidenziato pochi mesi dopo il movimento degli
studenti contro il CPE, ma come aveva già evidenziato il movimento contro la
globalizzazione imperialista, da Seattle a Genova. E’ proprio la natura dello
scontro con i poliziotti a dar ragione e a rendere visibile che si tratta delle
stesse istanze approfondite e rese più radicali dal carattere di classe di
questa gioventù.
E’ come se i poliziotti di Genova fossero in
servizio permanente nelle banlieues e qui la gioventù proletaria gli ha reso ‘pan
per focaccia’, gli ha reso difficile la vita, li ha posti in scacco, gli ha
bruciato i commissariati, li ha sconvolti, deviati, bruciando ora una mac-
scontro tradizionale che li avrebbe visti massacrati.
Le stesse istanze antirazziste,
anticolonialiste e antimperialiste – qui sì che ha pesato la matrice “algerina”
– che erano oggetto già di contesa nelle banlieues, sono state raccolte dalla
gioventù proletaria; solo che se queste vivono nei discorsi alati di sacerdoti ‘noglobal’,
Sos racisme, ecc. vanno bene, se invece queste diventano scontro violento nei
quartieri ghetto delle metropoli imperialiste sono tutti pronti a definirle
immotivate, senza ragione, inaccettabili. In questa maniera tutte le genie di
riformisti si mostrano come forme nobili delle espressioni volgari di Sarkozy.
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