sabato 7 febbraio 2015

pc 7 febbraio - Per approfondire la questione Charlie Hebdo occorre tornare indietro - 1a parte


Per comprenderne meglio tutti gli aspetti, iniziamo la pubblicazione di estratti della relazione del La Nuova Bandiera - PCm al meeting internazionale "dalla rivolta delle banileues alla rivoluzione proletaria" svoltosi a parigi nell'aprile 2006.
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Dalla rivolta delle banlieues alla rivoluzione proletaria
25 mila poliziotti schierati nelle banlieues la notte del 31 dicembre 05 a difesa dell’ordine e della sicurezza contro la possibile ripresa della rivolta, hanno offerto l’immagine eloquente di quello che la rivolta ha costituito per la Francia e per i paesi imperialisti in generale. L’ostentata dimostrazione di forza dello Stato francese è risultata paradossalmente una smaccata dimostrazione di debolezza, la borghesia francese e il suo Stato non erano in grado di garantire più un capodanno normale ai 500mila che affollavano gli Champ Elisees se non al prezzo di uno Stato di militarizzazione simile ad uno Stato di guerra.

In tutti i paesi imperialisti, anche quelli solo sfiorati dal contagio francese in questa occasione – Belgio, Germania, Olanda, Danimarca, Spagna, Grecia, Inghilterra, Svizzera, Svezia – la paura della borghesia è stata tanta che le misure prese dai governi, dal punto di vista del dispiegamento di forze dello Stato, sono state come se la rivolta ci fosse stata effettivamente.
Anche la contabilità delle macchine bruciate è suonata abbastanza grottesca: prima si è detto che erano la testimonianza di semplice vandalismo e teppismo che caratterizzerebbe la ‘feccia’ delle banlieues, senza coscienza politica, senza obiettivi, in ultima analisi senza ragione, poi però si è dispiegata l’intera forza della polizia, se ne è valutata l’efficacia militare, politica e si è valutato il grado di tenuta del sistema politico istituzionale contando le macchine bruciate, dando ad esse una sorta di vittoria postuma (i commenti del giorno dopo capodanno hanno, infatti parlato di “pericolo scampato” contando il numero relativamente basso di macchine bruciate, anche se erano 100 in più del precedente capodanno).
Parafrasando Marx si potrebbe dire che quando ogni fruscio e fermento sociale, ogni manifestazione anomala, ogni singolo episodio viene percepito dalla borghesia come un pericolo, allora effettivamente ogni singolo episodio diventa un pericolo.
Alla paura della borghesia ha corrisposto l’orgoglio e la forza della gioventù proletaria ribelle. Dichiarava Muhittin, il giovane sopravvissuto alla tragica notte del 27 ottobre, dove hanno perso la vita, fulminati, Bouna e Zyaed “Adesso i miei amici pensano che io sia un eroe, che sia diventato un capo. Ma io sono solo un ragazzo”, mentre parlava della ‘notte di S. Silvestro’ in questi termini “Certo, conosco gente che si prepara a far la festa ai poliziotti”.
Come si può pensare che 25mila sbirri possono cancellare e soffocare tutto questo ODIO? Negli infami tribunali della borghesia, quello di Bobigny in particolare, si sono subito processati e condannati decine e decine di giovani protagonisti della rivolta – sono stati migliaia i condannati degli oltre 5mila arrestati e oltre il doppio incriminati e perseguitati.
La logica di questi tribunali è stata da “tribunali di guerra” in cui non si sono neanche cercate ‘prove certe’, ma si sono assunti i rapporti di polizia come ‘prova’.
Ma anche qui lo Stato benché ha fatto la faccia feroce si è trovato davanti non certo la paura, non certo i pentimenti dei giovani. I processi sono somigliati a tutti i processi che seguono le rivolte e le ribellioni di massa, impregnati di terrore e di vendetta, con riti che vorrebbero essere della legge ma che risultano essere una sorta di “esorcismo”.
Dalla Comune di Parigi alla Francia di oggi queste pagine tendono sempre a rinverdire la memoria storica, La borghesia vorrebbe la ‘pace dei cimiteri’ per seppellire le istanze di ribellione e trasformazione sociale. Ma Parigi non è adatta a questo, perfino il Cimitero di Pere Lachaise, con i suoi morti della Comune, con le tante tombe di comunisti e di combattenti/partigiani della liberazione, è memoria di rivoluzione che alimenta la rivoluzione.
La verità è che a Parigi e in Francia è comparso un nuovo spettro che comincia ad aggirarsi in tutte le metropoli europee e a turbare i sonni e la sicurezza dei borghesi: la gioventù proletaria. La nuova gioventù proletaria, figlia di proletari, in quartieri proletari, si è ribellata. Non era la prima volta, e la rabbia e l’odio erano e sono permanenti e latenti, ma questa volta si è ribellata ovunque, in tutte le banlieues parigine e in tutte le città francesi ove vi sono le medesime condizioni e perfino dove non si è ribellata si è riconosciuta nella rivolta, e ha reso la ribellione più forte ed incisiva, mettendo a nudo di fronte agli occhi di tutta la Francia e di tutti i paesi imperialisti europei, la natura di classe di essa. Ogni argomento usato per spiegare e a volte giustificare la rivolta da governanti, politici, intellettuali, non ha fatto che illuminarne il suo carattere globale; e più giornalisti impegnati, sociologi da strapazzo, esponenti della ‘sinistra di palazzo’ si sono arrampicati scioccati sugli specchi per darsi la “vera spiegazione” e più ogni spiegazione è servita a dare una ragione in più e a far venir fuori più evidente che mai il carattere generale della società di classe contro cui si è sviluppata la rivolta che in ciascuna delle “vere spiegazioni” si voleva occultare.
La rivolta è della gioventù proletaria francese, dei suoi settori più precari nei quartieri operai, di tradizione operaia, di composizione operaia, in cui le fabbriche in alcuni casi sono fuse col quartiere. Ad Aulnay Sous-Bois, cuore della rivolta, c’è la Citroen con 7 mila operai. Insomma, pensando a questo quartiere, si potrebbe dire che non sono le macchine bruciate il problema della borghesia, ma i proletari che le costruiscono e i loro figli.
Giustamente si è parlato dei figli del proletariato. Se ne è parlato molto a sproposito per segnalare che il proletariato adulto sarebbe contrario alla rivolta, sarebbe dalla parte del sistema, integrato in esso, ma si è trattato di una falsificazione e mistificazione. I giovani proletari hanno espresso in forma radicale gli interessi della loro classe e si sono ribellati allo stato di passività imposto dal dominio della classe dominante, di tutte le sue articolazioni, di tutti i suoi alleati – l’aristocrazia operaia rappresentata da partiti e sindacati, la piccola borghesia intellettuale benestante o ‘bottegaia’ e proprietaria.
Si è cercato poi di presentare la ribellione dei giovani delle banlieues come fenomeno particolare e non lo si vede legata al più generale ingresso della nuova generazione nella scena politica mondiale all’interno dei paesi imperialisti, come ha evidenziato pochi mesi dopo il movimento degli studenti contro il CPE, ma come aveva già evidenziato il movimento contro la globalizzazione imperialista, da Seattle a Genova. E’ proprio la natura dello scontro con i poliziotti a dar ragione e a rendere visibile che si tratta delle stesse istanze approfondite e rese più radicali dal carattere di classe di questa gioventù.
E’ come se i poliziotti di Genova fossero in servizio permanente nelle banlieues e qui la gioventù proletaria gli ha reso ‘pan per focaccia’, gli ha reso difficile la vita, li ha posti in scacco, gli ha bruciato i commissariati, li ha sconvolti, deviati, bruciando ora una mac- scontro tradizionale che li avrebbe visti massacrati.
Le stesse istanze antirazziste, anticolonialiste e antimperialiste – qui sì che ha pesato la matrice “algerina” – che erano oggetto già di contesa nelle banlieues, sono state raccolte dalla gioventù proletaria; solo che se queste vivono nei discorsi alati di sacerdoti ‘noglobal’, Sos racisme, ecc. vanno bene, se invece queste diventano scontro violento nei quartieri ghetto delle metropoli imperialiste sono tutti pronti a definirle immotivate, senza ragione, inaccettabili. In questa maniera tutte le genie di riformisti si mostrano come forme nobili delle espressioni volgari di Sarkozy.

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