Porto di Genova
Genova - Per molti anni sulle banchine di Genova migliaia di camalli hanno scaricato merce indipendentemente dal fatto che i carichi contenessero anche materiali altamente tossici. «L’amianto», in particolare, è stato spesso «manipolato senza l’uso di protezioni o mascherine», i portuali erano convinti che non facesse male perchè svolgevano le proprie mansioni senza «adeguate informazioni sul forte rischio di aspirazione delle polveri».
Queste erano le condizioni per chi era impiegato «a chiamata», letteralmente assegnato a una funzione diversa ogni mattina, prendere o lasciare. La fibra cancerogena nel tempo ha ucciso tanti lavoratori, colpiti anche a distanza di anni. Per quelle morti, dice oggi una sentenza storica del tribunale di Genova, deve rispondere l’autorità pubblica che avrebbe dovuto vigilare, cioè l’Autorità Portuale, l’ente che a metà degli anni Novanta ha ereditato il ruolo che fino ad allora era stato del Cap (Consorzio autonomo portuale).
Ad aprire il primo varco in Liguria è il caso di Elio Luigi Pagano, ex membro della Compagnia Unica morto di mesotelioma nel 2008. L’uomo aveva lavorato per 27 anni sui moli sotto la Lanterna, dal 1956 al 1983. La malattia, capace di manifestarsi anche decine di anni più tardi, lo ha colpito quando ormai era andato in pensione. Ma per il giudice non ci sono dubbi: gli effetti derivano dalla sua attività professionale. E il risarcimento deve essere pagato dall’Authority, l’attore pubblico responsabile di vigilare sulla sicurezza.
Ecco perchè l’ente è stato condannato a risarcire la famiglia, la moglie della vittima e i tre figli, con una cifra che arriva quasi al milione di euro. Il caso è destinato a scrivere una pagina importante dei processi per malattia professionale in Liguria, perchè sui conti dell’Autorità Portuale incombe un folto numero di cause intentate per la stessa ragione, una sorta di class action.
Genova - Per molti anni sulle banchine di Genova migliaia di camalli hanno scaricato merce indipendentemente dal fatto che i carichi contenessero anche materiali altamente tossici. «L’amianto», in particolare, è stato spesso «manipolato senza l’uso di protezioni o mascherine», i portuali erano convinti che non facesse male perchè svolgevano le proprie mansioni senza «adeguate informazioni sul forte rischio di aspirazione delle polveri».
Queste erano le condizioni per chi era impiegato «a chiamata», letteralmente assegnato a una funzione diversa ogni mattina, prendere o lasciare. La fibra cancerogena nel tempo ha ucciso tanti lavoratori, colpiti anche a distanza di anni. Per quelle morti, dice oggi una sentenza storica del tribunale di Genova, deve rispondere l’autorità pubblica che avrebbe dovuto vigilare, cioè l’Autorità Portuale, l’ente che a metà degli anni Novanta ha ereditato il ruolo che fino ad allora era stato del Cap (Consorzio autonomo portuale).
Ad aprire il primo varco in Liguria è il caso di Elio Luigi Pagano, ex membro della Compagnia Unica morto di mesotelioma nel 2008. L’uomo aveva lavorato per 27 anni sui moli sotto la Lanterna, dal 1956 al 1983. La malattia, capace di manifestarsi anche decine di anni più tardi, lo ha colpito quando ormai era andato in pensione. Ma per il giudice non ci sono dubbi: gli effetti derivano dalla sua attività professionale. E il risarcimento deve essere pagato dall’Authority, l’attore pubblico responsabile di vigilare sulla sicurezza.
Ecco perchè l’ente è stato condannato a risarcire la famiglia, la moglie della vittima e i tre figli, con una cifra che arriva quasi al milione di euro. Il caso è destinato a scrivere una pagina importante dei processi per malattia professionale in Liguria, perchè sui conti dell’Autorità Portuale incombe un folto numero di cause intentate per la stessa ragione, una sorta di class action.
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