Intervista a Kalpona Akter di Sarah J. Robbins per The Daily Beast, 28.7.2013. Traduzione, adattamento e note Maria G. Di Rienzo.
Kalpona
Akter è la fondatrice del “Centro per la solidarietà fra i
lavoratori del Bangladesh”. Per aver organizzato le operaie della
fabbrica in cui lavorava, una produzione delocalizzata
dell'americana Wal-Mart, Kalpona è stata minacciata, bastonata,
licenziata e infine incarcerata per aver “fomentato disordini fra
i lavoratori del ramo tessile” dietro denuncia della Wal-Mart
stessa. Sarà utile sapere che se riconosciuta colpevole Kalpona può
persino essere condannata alla pena capitale.)
A
tre mesi dal collasso di una fabbrica di indumenti a Rana Plaza,
nella periferia di Dhaka in Bangladesh, che ha ucciso più di 1.100
lavoratori - il disastro più mortale nella storia dell'industria
tessile - politici e investitori internazionali hanno cominciato a
rispondere alla domanda pubblica di migliori condizioni di lavoro.
Il 15 luglio scorso, il Parlamento del Bangladesh ha approvato una
legge sul lavoro che rafforza i diritti dei lavoratori; la settimana
precedente, 17 compagnie nordamericane - fra cui Wal-Mart, Gap e
Target - hanno annunciato un piano per migliorare gli standard sulla
sicurezza. Ma le iniziative che emergono dalle macerie sono solo un
punto d'inizio, dice una delle più conosciute attiviste per i
diritti dei lavoratori del suo paese, Kalpona Akter.
Fondatrice
e direttrice del “Centro per la solidarietà fra i lavoratori del
Bangladesh”, Kalpona Akter rappresenta i tre milioni e mezzo di
donne che sono i motori dietro l'affare più grande del paese. La
missione, per lei, è anche profondamente personale: dopo che suo
padre si ammalò e non fu più in grado di sostenere la famiglia, la
12enne Kalpona cominciò a guadagnare 6 dollari al mese per 400 ore
di duro lavoro in fabbrica. Ha combattuto questa lotta e tenuto duro
per anni, sino a che è stata licenziata per aver tentato di
costituire un sindacato.
Parlaci
della tua esperienza come lavoratrice nelle fabbriche di indumenti a
Dhaka. Le condizioni sono cambiate da quando tu hai cominciato a
lavorare e se sì, come?
Kalpona Akter (KA):
Poichèho lavorato in fabbrica da quando avevo 12 anni, conosco bene le lunghe ore, i giorni persino, di lavoro senza pause; le difficoltà dovute alle paghe basse e le condizioni insicure in cui si lavora nel settore, e la tremenda pressione e gli abusi diretti a non farti parlare contro tutto ciò. Sebbene le condizioni in cui ho lavorato da bambina - incluse le scale inagibili e la sporcizia e la grande presenza di minori - non siano sempre prevalenti, restano le questioni meno visibili come l'impossibilità di organizzarsi collettivamente e di agire per il cambiamento all'interno delle fabbriche.
Perchè
i diritti dei lavoratori sono una “faccenda di donne” in
Bangladesh?
KA: Nel settore degli indumenti chi lavora in modo predominante sono le donne; perciò, oltre ai mestieri domestici che fanno di prima mattina e la sera, le donne lavorano dalle 10 alle 12 ore al giorno in fabbrica. Il prezzo che l'orario lungo e le condizioni di lavoro fanno pagare alle famiglie in tutto il paese èun altro esempio del persistere degli effetti negativi.
La
tragedia di aprile ha cambiato il dialogo internazionale sulle
condizioni di lavoro e i diritti dei lavoratori?
KA: Rana Plaza è il più grande disastro delle centinaia di disastri già accaduti nelle fabbriche ovunque in Bangladesh e che hanno fatto molti più morti. Forse ha alzato il profilo ma certamente non è stato l'inizio del dialogo internazionale. Ciò che il collasso di Rana Plaza ha fatto (così come nei casi di Smart e Tazreen) è stato collegare specifici marchi/imprenditori a questi disastri, concentrando l'attenzione sulle loro responsabilità. Inoltre, ha fatto sì che oltre 60 marchi in tutto il mondo si sentissero costretti a firmare l'Accordo per la sicurezza in materia di fuochi e costruzioni in Bangladesh. E in generale, Rana Plaza fa luce sulle più profonde istanze infrastrutturali che fronteggiamo, qualcosa che va ben oltre l'industria tessile del paese.
Che
ne pensi del piano nordamericano che è stato proposto per
migliorare la vita delle lavoratrici del Bangladesh?
KA: In teoria, un documento firmato potrebbe incentivare relazioni buone e durevoli dei marchi con le fabbriche, il che fornirebbe il tempo e le capacità di migliorare le condizioni di lavoro. Tuttavia, il documento che è stato siglato questo mese con molte ditte nordamericane, incluse Wal-Mart e Gap, è peculiarmente differente dall'Accordo sulla sicurezza: quest'ultimo è un documento vincolante, l'altro permette alle ditte di non assumersi effettive responsabilità.
Cosa
mi dici delle minacce alla tua libertà e alla tua sicurezza?
KA: Sono stata arrestata assieme a numerose mie colleghe nel 2010, dopo la nostra lotta per avere migliori stipendi. Di conseguenza, al “Centro per la solidarietà fra i lavoratori del Bangladesh” è stata revocata la registrazione legale. Nel 2012, mentre eravamo ancora illegali, il nostro organizzatore Aminul Islam (1) è stato assassinato. Dopo di ciò, molti membri del nostro staff hanno dato le dimissioni, temendo rappresaglie.
Come
pensi i lettori dovrebbero agire riguardo le compagnie che fanno
affari in Bangladesh? Cosa suggeriresti a loro?
KA: L'industria degli abiti è incredibilmente importante nel nostro paese e quindi lo è per le vite di milioni di lavoratrici e delle loro famiglie: perciò, il nostro messaggio non è quello del boicottaggio. Piuttosto, i consumatori possono far pressione sulle ditte e sui loro governi affinchè chi usa le fabbriche in Bangladesh lo faccia stabilendo con esse relazioni giuste e durevoli.
(1)
Nato nel 1973, era sposato e padre di due figli e una figlia.
Arrestato con Kalpona nel 2010 era stato torturato durante la
detenzione. Prima dell'assassinio stava organizzando i lavoratori
dello Shanta Group, che produce indumenti per diverse compagnie
statunitensi fra cui Nike e Ralph Lauren. Il suo corpo, che di nuovo
recava segni di tortura, fu trovato privo di vita il 6 aprile 2012
su una strada di Ghatail, a nord di Dhaka.
Nessun commento:
Posta un commento