mercoledì 12 giugno 2013

pc 12 giugno: La rivolta in Turchia fa tremare anche i padroni italiani

Da Intesa a Fiat, chi teme per il caos turco

di Sofia Fraschini

Ecco le società che hanno interessi nel Paese in rivolta. Gli investimenti italiani nel 2012 sono stati pari a 139 milioni di euro.
La crisi turca non accenna a rientrare e mette a rischio gli interessi di chi fa business nel Paese. A cominciare dall’Italia che ha fatto di Istanbul e Ankara un mercato di riferimento, dal settore bancario e quello delle infrastrutture. Una porta per il Medio Oriente che per il made in Italy rappresenta il sesto mercato di sbocco con investimenti diretti che nel 2012 sono saliti a 139 milioni di euro, in aumento del 74% sul 2011.
E così, in queste ore, tante aziende guardano con preoccupazione all’esito della crisi interna sapendo bene che, come fu in Libia, la posta in gioco per l’Italia Spa è altissima.
BORSA IN ROSSO E LIRA A PICCO. La Banca centrale turca è entrata in azione per placare la volatilità del mercato valutario attraverso la vendita di dollari per 50 miliardi. Dopo aver toccato i minimi dal 2011, la lira turca è risalita in area 1,895, ma la Borsa ancora in rosso preoccupa tutti i mercati: dal 22 maggio, quando il paniere turco registrò i massimi degli ultimi 12 mesi sopra i 93.000 punti, la flessione del Bist 100 è stata pari a circa 20 punti percentuali.
BANCHE A RISCHIO: UNICREDIT, INTESA E AZIMUT. In questo contesto, i gruppi che hanno maggiori legami con il Paese nonché business fiorenti in loco, sono sul chi va là. Ma quali sono i gruppi più esposti? Nel mondo bancario, Unicredit ha in portafoglio il 40% della banca Yapi Kredi che rappresenta circa il 16% della capitalizzazione del gruppo. Inoltre nel bilancio 2012 di Unicredit sono iscritti titoli di Stato turchi per 3,3 miliardi di euro e impieghi per 15 miliardi.
Anche per Intesa SanPaolo la Turchia è un ponte strategico con i mercati del Far East. Per questo, proprio a maggio ha aperto una nuova filiale a Istanbul della Divisione Corporate & Investment Banking. Intesa è esposta nel Paese per oltre 2 miliardi di euro.
Di recente si è mossa in loco anche Azimut stringendo un accordo con un partner locale  e acquistando una quota del 10% in Global Menkul Deerler, società di distribuzione quotata alla Borsa di Istanbul che venderà ai clienti Turchi i nuovi fondi comuni di recente lanciati da AZ Global Portfoi (controllata da Azimut con il 60% e 40% da Global).
IL FRONTE CORPORATE: DA RECORDATI A FIAT. A livello industriale, Recordati possiede nel paese alcuni impianti produttivi e vi realizza l’8% del fatturato. In bilico anche Indesit che nel pieno della crisi aziendale in Italia mette a rischio in Turchia il 5% del fatturato. Quanto alla galassia Fiat, alle prese con due fusioni, una Oltreoceano con Chrysler e l’altra in Europa con Cnh, il Lingotto  possiede il 38% dell’azienda automobilistica Tofas  e la sua quota di vendite nel Paese rappresenta il 6% del gruppo. Non va meglio a Industrial che con il 37,5% della società quotata TurkTraktor si ritrova a rischiare il 2% del valore dell’intero gruppo. Tra i produttori più importanti figura anche Pirelli che in loco produce pneumatici per un fatturato di circa 500 milioni. Sul fronte delle commesse, Astaldi ha in portafoglio ordini per costruzioni in Turchia da 2 miliardi di euro (14% del totale costruzioni) e concessioni per oltre 3 miliardi di euro. Anche Prysmian lavora nel Paese dove nel 2012 ha vinto una commessa da 67 milioni  con la turca Teias per un’interconnessione in cavo sottomarino ad alta tensione fra Europa e Asia attraverso lo stretto dei Dardanelli in Turchia. Sul fronte energetico, Enel Green Power ha la Turchia tra i Paesi chiave per lo sviluppo del piano industriale 2013-2017. Va meglio all’Eni i cui rapporti con Cipro l’hanno per ora tenuta lontana da nuove iniziative nel Paese anche se il gruppo è operativo sul mercato del gas attraverso il Blustream.
FUORI DALLA BORSA. Tra i big non quotati, Ferrero ha investito 100 milioni per la costruzione del nuovo stabilimento, vicino alla costa di Smirne, destinato a produrre la Nutella e i prodotti freschi.
Una scelta fatta per incidere con ancora più decisione sul mercato turco, dove Ferrero può contare già su una quota oltre il 7%. Anche Barilla ha un rilevante giro d’affari ed è presente a Istanbul con 276 dipendenti.



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