Che vinca il Migliore! Dal ranking degli atenei al ranking studentesco
Quando
credi che al peggio c’è un limite ti rendi conto che quel limite tende
più o meno ad infinito. E che oramai politici, baroni, imprenditori e
varie si stanno divertendo a prenderci in giro, a sfotterci- diremmo a
Napoli-, quasi ad umiliarci.
L’ultima trovata, anche se in parte già esisteva, è il ranking studentesco:
una classifica, cioè, degli studenti migliori. Per essere il migliore e
salire di ranking devi aver fatto esperienze lavorative interessanti
(cameriere a nero, call-center o barista non è compreso), parlare 7
lingue (i dialetti non sono conteggiati) ed avere una predisposizione a
lasciare la propria città.
A parte il termine (che ricorda tanto il mondo bancario e la declassamento di Standard’s and Poors) la classifica è di autovalutazione!
Vale a dire che i giovani laureati o laureandi inseriscono loro stessi i
propri dati per capire come si posizionano in una classifica
internazionale a cui partecipano anche studenti provenienti da altri
paesi e da altre facoltà. E se il tuo “ranking” è basso puoi subito rimediare cercando di colmare le lacune del tuo CV con corsi, master costosissimi, stage non retribuiti, permanenze all’estero. Sempre se ne hai la possibilità.
L’inquietante è proprio questo: la classifica è posta come uno strumento per andare oltre i criteri che tengono conto della provenienza universitaria,
ma tiene conto di tanti fattori diversi fra loro. Non tiene conto,
però, che anche in tutti gli altri fattori richiesti si riflette la
differenza economica e sociale italiana e della maggioranza dei paesi
europei. Non tiene conto del fatto che noi studenti provenienti da
università di “lodi generose” (come sono definite dall’ideatore del
progetto Michael Schmitz) siamo ben consapevoli della nostra
situazione di transito fra le scuole superiori e la disoccupazione o
mansioni poco qualificate. Non tiene conto che gli atenei
“eccellenti” sono anche quelli che danno più opportunità agli studenti
di fare corsi all’estero o in lingua, hanno più strumenti e materiali a
disposizione. Più fondi ministeriali, più donazioni.
Non sono classifiche di cui abbiamo
bisogno, né finti livellatori sociali: abbiamo bisogno di borse di
studio, di alloggi, di mense, di libri gratuiti. Di un lavoro sicuro e
dignitoso. Abbiamo bisogno di un futuro, e ce lo prenderemo.
No all'università- azienda!
I diritti non si meritano, si conquistano!
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