Anche quella
maledetta domenica Isabella non si sentiva bene: prima di indossare
giaccone e sciarpa si è voltata e ha sussurrato per non svegliare i bimbi:
«Tranquillo amore, ce la faccio, ci vediamo dopo». Alessandro Rossi, 43 anni, il
marito di Isabella, si stringe a se stesso quasi cercando un ultimo abbraccio
mentre racconta la storia di quella ragazza ribattezzata la «principessa di
Torvaianica», per qualcuno addirittura «regina». Peccato sia dovuta morire per
essere incoronata.
«Cinquantacinque euro al giorno». Era quanto
prendeva la principessa di Torvaianica per gestire un bar che aveva
trasformato in pochi mesi in un punto di ritrovo di un intero quartiere. Lo
racconta il marito Alessandro in una video intervista pubblicata oggi sul
Messaggero.it,
mentre non riesce a nascondere la rabbia: «Isabella lavorava sette giorni su
sette, solo la domenica poteva andare via un po' prima dal bar e non la pagavano
se restava a casa perché stava male: nessun rimborso, non poteva usufruire della
malattia perché non aveva un contratto».
Alessandro ha
presentato una denuncia contro il gestore del bar, vuole dare «un po'
di giustizia» a quella donna che ogni tanto scompariva dietro il bancone:
bastava sporgersi un po' per ritrovarla accucciata, avvolta come in un bozzolo,
seduta sopra una cassetta del latte in cerca di qualche minuto di
riposo.
Solidarietà. Alessandro sfoglia le centinaia di
e-mail che sono arrivate alla redazione del Messaggero.it, nasconde il volto per
non far vedere le lacrime, così come faceva Isabella quando non voleva mostrare
le smorfie di dolore per quel malessere che da tempo la perseguitava. «Grazie a
tutti quelli che hanno scritto alla nostra famiglia, grazie per l'affetto
inaspettato: la sera, prima di cenare, leggo quelle belle parole ai miei
piccoli».
Ma
il marito di Isabella non si dà pace: «Stava male, non doveva lavorare,
ogni giorno affrontava un viaggio di oltre due ore e spesso il pullman non si
fermava a Torvaianica perché troppo pieno. Ma Isabella - dice Alessandro -
faceva di tutto pur di lavorare». Anche
morire.
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