Cremaschi in questi giorni scrive che “quello di Fiat è fascismo aziendale”.
Noi di proletari comunisti è dagli inizi del 2010 che abbiamo parlato di “fascismo padronale”, analizzandolo in tutti i suoi aspetti, economici, politici, ideologici, tattici e strategici, facendo scaturire da questo una indicazione di azione conseguente dello scontro operai/fascismo padronale.
Certo, potremmo dire per Cremaschi “alla buon ora!”. Ma è troppo facile e comodo dirlo adesso quando alcuni passaggi decisivi del piano Marchionne sono già stati fatti e difficilmente tornano indietro e sul fronte dell’opposizione di classe la situazione non è buona.
Cremaschi prima lo doveva dire! Quando se ne vedevano già i caratteri e soprattutto la pratica ma ancora il fascismo padronale non si era rafforzato con alcune vittorie parziali, non ora che si è messo gli “stivali delle 7 leghe”; lo doveva dire nella fase della battaglia di Pomigliano, della battaglia di Mirafiori, della lotta contro i licenziamenti a Melfi, quando gli operai stavano in fabbrica e potevano e dovevano alzare il tiro della lotta contro il piano Marchionne, fuori dagli ordinari metodi della lotta sindacale, non ora in cui la maggioranza dei lavoratori da Pomigliano a Mirafiori è fuori, in cassintegrazione; lo doveva dire quando gli operai avevano detto in maggioranza NO ed erano disponibili a trasformare il No in uno scontro prolungato con la Fiat, se la Fiom non avesse usato quel NO per rilanciare le sue “proposte ragionevoli” e di ripresa del Tavolo di trattativa, con il primato dei ricorsi legali.
Ma allora Cremaschi non lo ha fatto.
Nello stesso tempo, Cremaschi non può parlare di “fascismo aziendale” e non trarne le conseguenze nella lotta di classe, e farne oggetto solo di articoli stampa o di qualche dibattito televisivo.
Se si parla di fascismo padronale, allora si doveva e si deve accettare la sfida, come si è lottato storicamente contro il fascismo, altrimenti serve solo a piangere il morto ancora caldo,.
Non si può rispondere al fascismo padronale con gli strumenti normali della democrazia sindacale.
Fascismo vuol dire fare carta straccia anche dei simulacri della democrazia borghese, perché il fascismo semplicemente non la riconosce – e Marchionne dalla vicenda Pomigliano in poi l’ha ampiamente dimostrato.
Il fascismo padronale di Marchionne dichiara una “guerra”, e fa della questione piano Fiat non una semplice questione aziendale, neanche solo economica, ma un sistema, una concezione/filosofia generale a cui tutti si devono conformare (le leggi che stanno facendo carta straccia dei diritti dei lavoratori, di ogni aspetto di legalità, anche costituzionale, lo abbiamo già scritto in passato, le avvia nei fatti Marchionne, le ratifica il governo, sia finora Berlusconi, sia ora Monti): “il bene della Fiat è il bene dell’Italia” e viceversa; non a caso Marchionne ha chiamato l'operazione aziendale “Fabbrica Italia”, che vuol dire anche trasformare tutto il paese in una gigantesca fabbrica Fiat con i suoi diktat a regolamentarlo.
A questa guerra occorreva e occorre rispondere con la “guerra di classe”, non certo con la richiesta di “normalizzazione” della contesa sindacale, di rispetto delle regole, come fa la stessa Fiom.
Cosa ha fatto di diverso verso gli operai Fiat Cremaschi? Ne ha organizzato le forze per questa ”guerra di classe”, ha organizzato lotte che avessero chiaro di quale scontro si tratta?
NO. Al di là di fare la sinistra nella Fiom, Cremaschi ha visto in atto l’opposizione ragionevole di Landini… e non ha fatto nulla; ha visto entrare a gamba tesa nella vertenza Fiat la Camusso… e non ha fatto nulla; ha visto moderare la linea Fiom avvicinandosi alla linea Camusso… e non ha fatto niente; ha visto la Cgil fimare l’accordo del 28 giugno… e non ha fatto niente…
Certo, ha parlato, e ha scritto. Ma “fare” significa appunto Fare. E questo finora non è avvenuto.
Cremaschi è della serie: “quando me ne hanno fatte… ma quante gliene ho dette…”
Nessun commento:
Posta un commento