Hann’ ‘a schiattà!
Venerdì 21 ottobre si è tenuta, alla presenza di un centinaio di studenti dell’Università Orientale, un’iniziativa del NO TAV Tour, fermata Napoli. Due ore di interventi, confronto, racconto della lotta in Val Susa. Il giorno dopo, in pieno centro storico, i militanti NO TAV hanno mostrato dei video e parlato da un palco davanti a diverse centinaia di napoletani, giovani, vecchi, passanti, prima di passare il testimone alla musica di Sacha Ricci e Marco Messina dei 99 Posse. Le righe che seguono vogliono essere, più che un racconto dettagliato, un piccolo bilancio di questa straordinaria due giorni che ha portato nella nostra città l’esperienza di una lotta vincente, radicata e di massa...
Una questione solo apparentemente marginale: come tradurre in napoletano il bellissimo slogan del movimento NO TAV, “A sarà düra”, che dice la voglia di fare una lotta decisa, di non fargliela passare liscia, di durare un secondo più dei propri nemici? Non lo sappiamo, forse manco c’è una traduzione esatta, ma in questi giorni che abbiamo avuto il piacere e l’onore di ospitare i compagni scesi dalla Val Susa per il NO TAV Tour abbiamo davvero capito lo spirito della frase oltre la lettera. E pensiamo di interpretarlo bene se riprendiamo il loro grido quaggiù e a padroni, speculatori, politici, mafiosi di ogni sorta diciamo: “Hann’ ‘a schiattà”! Che non è tanto un truculento “devono morire”, ma un più generale “si devono consumare appresso a noi”, “devono esplodere di rabbia o di invidia o di esaurimento”, “devono desistere”, “li dobbiamo affossare”, “non si devono far più vedere”…
Ecco, se cominciamo con questa preoccupazione idiomatica non è per velleità filologiche, ma per far capire a tutti e subito che la visita dei NO TAV a Napoli non è stata la “classica” iniziativa/conferenza/dibattito, dove viene un singolo relatore a parlare e ti racconta un po’ quello che pensa lui o che fa a casa sua, e poi riparte senza lasciare granché se non un piacevole ricordo e l’idea che quello che ci ha detto riguarda solo casa sua e la sua storia… La tappa del NO TAV Tour a Napoli è stata invece la comunicazione profonda di esperienze, un incontro collettivo, anche una festa, fra tanti compagni di una parte e dell’altra, uno scambio fra due comunità, quasi due “popoli” diremmo (se la parola non fosse troppo pomposa e non rimandasse a infauste esperienze politiche)…
Lo scopo che i NO TAV si erano prefissati con questo giro per l’Italia era chiaro: portare ovunque le loro ragioni, cercare di rompere l’assedio mediatico che cerca di far diventare quella giusta lotta una questione di ordine pubblico, mostrare che fra di loro non ci sono fantomatici black bloc, ma gente “normale”, che va avanti “a volto scoperto e testa alta”, che crede in quello che fa, che studia, lavora e prova a sopravvivere in quest’Italia sempre più precaria, ed ha capito che sulla propria pelle si sta giocando una partita grandissima, una partita di 40 miliardi di euro, di profitti enormi per politici, speculatori e mafiosi… Il NO TAV Tour doveva essere “solo” questo, ma qui a Napoli ha voluto dire qualcosa in più.
I compagni della Val Susa non ci hanno portato solo le loro buone ragioni, non hanno solo cercato di farci capire perché questa lotta ci deve interessare, visto che ogni centimetro di TAV sono servizi sociali che ci tolgono, scuole che chiudono, pensioni che diminuiscono, corse di metro e bus che ci tagliano (da dove crediate che vengono i soldi per bucare le montagne e giocare ai trenini? Dalle nostre tasche! Per questo stiamo dicendo ovunque “Eat The Rich!”)… I compagni non hanno solo saputo legare la questione ambientale con quella del capitalismo, dimostrando che bisogna andare alla radice e combattere contro un sistema basato sul profitto, né hanno solo saputo dimostrare che è possibile sin da ora aggredire l’altro nodo malato della nostra società, la mancanza di democrazia, rivendicando spazi di confronto e decisione dal basso anche contro tutto l’arco della rappresentanza istituzionale, che a sinistra come a destra vuole il TAV...
Questi compagni valsusini hanno fatto di più: si sono interessati alla nostra situazione, hanno cercato di capire cosa è successo in venti anni sul nostro martoriato territorio, da Acerra a Chiaiano a Terzigno, hanno dichiarato lo schifo e l’odio che provano contro tutti quelli che ci hanno fatto e ci fanno vivere sotto tonnellate di immondizia e discariche velenose, ci hanno dato coraggio, ci hanno restituito uno sguardo su noi stessi, uno sguardo complice, di unità ed affetto, di un’Italia migliore, popolare e diciamolo: rivoluzionaria, che non è certo al potere e che è ancora in minoranza ma che esiste e pazientemente scava le fondamenta di questo sistema.
Così, capire come tradurre in napoletano il loro “A sarà düra!”, è stato capire cosa c’è di buono e interessante per noi in quella lotta “lontana”, cosa ne va per noi in quella lotta e come riprenderla sui nostri territori, cosa è in gioco per tutti, come - a partire dalle specificità che ognuno si trova a vivere - possiamo lavorare insieme per un paese radicalmente diverso. E forse, all’indomani del 15 ottobre ed alla vigilia della loro, criminalizzatissima ma poi riuscitissima, manifestazione di domenica, ha voluto dire ancora qualcosa in più.
Dopo il 15 ottobre, il clima nel movimento è stato pesante. Il perverso intreccio fra media, istituzioni ed apparati repressivi che caratterizza le “democrazie” contemporanee ha prodotto nella scorsa settimana dei mostri degni di 1984 di Orwell: la creazione di un nemico interno contro cui polarizzare l’odio, la caccia al black bloc, l’invito alla delazione dei manifestanti, la santificazione delle forze dell’ordine… A questo clima creato ad arte per far dimenticare che il 15 a Roma c’erano 400.000 persone in piazza scese a dire no a questa manovra, ai diktat dell’Europa ed a questo sistema, è difficile, forse impossibile, rispondere solo con dei comunicati che – a partire da quella cornice “violenta” in cui ci hanno ormai inchiodato – entrino nel merito del perché e del percome della violenza.
Il dibattito che si è sviluppato nel movimento dopo il 15 è solo un tassello, in cui peraltro i NO TAV eccellono (qui il loro comunicato sulla giornata romana, fra i più sensati ed intelligenti). Si devono innanzitutto riprendere in mano i percorsi reali che esistono sui territori, rilanciare una lotta di massa, aprire alla partecipazione, dimostrare che al tentativo di ghettizzazione non ci stiamo, e che quello che facciamo è largamente condiviso, nei fatti, da migliaia di persone.
Ecco, questo ci hanno insegnato i NO TAV a Napoli, e questo ci hanno dimostrato con il corteo di ieri. Ed a niente son valsi i terrorizzanti articoli di Libero o del Mattino che nelle ore precedenti agli incontri volevano spaventare la popolazione ed impedire la partecipazione dicendo che i NO TAV erano qui a “fare proselitismo” per portare su in Val Susa gli antagonisti e black bloc napoletani, a nulla sono valsi i digos e le camionette stazionate fuori da un’università o una piazza in festa, perché quando una lotta è di tutti e per tutti non la possono fermare nemmeno migliaia di guardie, giudici e politicanti!
Anche per questo va ancora un saluto ed un ringraziamento ai compagni del NO TAV, sperando che continuino il loro giro per l’Italia trovando ancora più calore e condivisione, raccogliendo ancora più forze, perché questo progetto sia bloccato una volta per tutte, e questa vittoria sia la nostra vittoria, il primo passo di una riscossa che scuota finalmente sto paese. Noi promettiamo solo di saper essere, nei mesi e negli anni a venire, sempre al vostro fianco.
A sarà düra!, Hann’ ‘a schiattà!
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