info da stampa borghese
Processo Askatasuna, la requisitoria del pm: «Quei militanti sono professionisti della violenza». Chieste 26 condanne con pene da 1 a 7 anni
L'accusa è di associazione a delinquere per 20 esponenti del centro sociale. I difensori contro una telecamera in Aula: «Riprende gli attivisti tra il pubblico, non può». Quattro persone del pubblico allontanate per «dileggio del pm»
Dentro al centro sociale Askatasuna c’è «un’associazione per delinquere, che ha la finalità di commettere reati con l’uso della violenza, per contrastare i portatori di ideologie diverse o quelli che il sodalizio ritiene essere avversari», dice subito il pubblico ministero Manuela Pedrotta, in una requisitoria di oltre sette ore, alla fine della quale chiederà la condanna dei 26 imputati, per un totale di circa 88 anni di reclusione. Dai sette per Giorgio Rossetto, considerato il leader, a un anno, la pena più bassa.
Le accuse vanno dall’associazione per delinquere appunto — a 16 persone — alla violenza aggravata a
pubblico ufficiale, fino alla rapina e all’estorsione in relazione a un episodio allo spazio popolare Neruda: motivi per i quali alcune richieste lievitano (oltre i 4 anni) anche per i non «associati».Tutto con una premessa, ripete il pm, davanti a un’aula stipata di pubblico, tra militanti di Askatasuna e No Tav: «Non è intenzione della Procura criminalizzare il dissenso, colpire chi manifesta idee diverse, agisce quando ci sono ipotesi di reato: e quando c’è l’uso di violenza, contro cose o persone, ci sono». Di più: «Tutti gli associati sono militanti di Askatasuna, ma non è vero il contrario: non tutti i militanti del centro sociale fanno pare dell’associazione».
La ricostruzione del pm
Va da sé, l’esposizione è lunga e complessa, coprendo un notevole arco temporale e diversi episodi, tra Torino e la Val Susa, riassunti dall’indagine della Digos. «Qui si parla di violenza — spiega Pedrotta, per escludere l’attenuante di aver agito per ragioni sociali e morali — e sul movente politico, che non deve entrare in un’aula di tribunale, ho dei dubbi».
Anche se, per forza di cose, la requisitoria tocca la lotta contro il Tav e i cortei contro il G7: «Quante volte gli imputati dicono: dobbiamo restare sotto il cappello del movimento No Tav perché fatto anche da tante persone perbene? Ci sono anche i cattolici: ma che c’entrano con Askatasuna? Servono, come i giovani No Tav, anche se, dicono nelle intercettazioni, non hanno coraggio, perché si tirano indietro quando c’è la lotta, e non vogliono pagare il prezzo». Pausa: «Io vedo un solo prezzo: quella che per loro è repressione, e che io chiamo giustizia».
Morale: «Loro, gli imputati, sono dei professionisti della violenza». Insomma, insiste la Procura, siamo di fronte a «un gruppo ristretto» che usa «travisamenti e armi, come pietre, sassi, fionde». Ci sarebbero anche «le bombe, non quelle che tirano ma quelle che si fanno, e qui c’è la loro idea di droga»: menano «gli spacciatori sotto casa, che danno fastidio, non quelli da cui se la procurano».
A tratti il clima dell’aula si surriscalda, tra un battibecco con le difese — «il pm usa toni sprezzanti con gli imputati» — e la polemica per una telecamera della Digos che riprendeva il pubblico, denunciano i difensori, tra cui gli avvocati Valentina Colletta, Claudio Novaro e Gianluca Vitale.
Tocca invece al Procuratore aggiunto Emilio Gatti perlustrare la giurisprudenza, criticando aspramente la sesta sezione della Cassazione che, in fase cautelare, era intervenuta sui tempi delle indagini (pur di fronte a un reato permanente). A inizio pomeriggio il presidente del collegio, Federica Bompieri, che già aveva richiamato il pubblico, allontana dall’aula 4 persone: avevano riso su alcune affermazioni del pm. «Durante tutto il dibattimento — continua Pedrotta — c’è stato un atteggiamento per dileggiare e ridere del pubblico ministero: forse faccio ridere io, ma non deve far ridere quel che è successo e sta succedendo in Val Susa e in città».
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