Negli ultimi decenni la violenza contro le donne si è espressa in tantissime forme e a tutte le latitudini aumentando costantemente. Le statistiche si riempiono, sia delle violenze in genere, ma soprattutto del numero dei femminicidi, cioè della forma più brutale, più bestiale, più disumana.
Le tante altre forme, che troppo
spesso passano sotto silenzio, o quasi, comprendono quelle dell’attacco diretto
alle donne nella loro capacità riproduttiva da parte dei governi e delle
istituzioni in generale.
Riportiamo solo alcuni esempi: in
Perù, l’allora dittatore Fujimori, fece applicare la sterilizzazione forzata
di massa: “… ci sono state 272.028 operazioni
per legare le tube di Falloppio e 22.004 vasectomie e, nella quasi
totalità dei casi, le persone sottoposte a questi interventi erano indigeni o
abitanti delle zone rurali più povere del paese.” (Il Messaggero del 6
Ottobre 2017).
Stati Uniti: “Centoquarantotto prigioniere femminili in due prigioni californiane furono sterilizzate
tra il 2006 e il 2010 in un programma che avrebbe dovuto essere volontario, ma il consenso informato non può essere dato mentre sottoposti a un regime carcerario.” Huffington Post, 23 luglio 2013Uzbekistan: “Il governo
uzbeko ha avviato da un paio di anni un programma capillare per sterilizzare le
donne in tutto il Paese, spesso senza il loro consenso e
senza che ne siano informate. Lo ha
scoperto la BBC, con un'inchiesta … Stiamo parlando di
decine di migliaia di donne sterilizzate in tutto il Paese' … nel 2010 ha condotto un
sondaggio fra i medici scoprendo che il numero complessivo degli interventi in
sette mesi era stato di 80mila. (http://www1.adnkronos.com/IGN/News/Esteri/Uzbekistan-sterilizzazione-forzata-a-donne-inchiesta-Bbc-svela-piano-del-governo_313199095764.html)
E su https://it.wikipedia.org/wiki/Sterilizzazione_obbligatoria
esiste l’elenco di diversi altri paesi, solo per questa pratica, dalla Germania
nazista all’India di oggi!
E proprio all’India si riferisce il reportage che pubblichiamo sotto sulle ragazze dello zucchero della rivista D di Repubblica del 7 novembre, che descrive appunto uno di questi crimini contro l’umanità: la costrizione all’asportazione dell’utero, pratica che in questo caso mette direttamente in collegamento il corpo delle donne e la necessità del suo sfruttamento da parte del Capitale, in questo caso il padrone della piantagione…
L’India è un subcontinente di circa 1 miliardo e 300 milioni di abitanti, e quindi di circa 700 milioni di donne! La proporzione dell’odio scaricato sulle donne acquista qui dimensioni enormi, nonostante le statistiche siano rese più difficili da parte del governo fascista indù di Modi. Questo paese sembra essere diventato il centro di tutte le peggiori pratiche contro la vita delle donne: lo stupro di donne e bambine è così frequente che ci sono state manifestazioni gigantesche contro questa violenza, manifestazioni che costringono i governi a balbettare qualche parola di “comprensione” e di “condanna” del fenomeno me che finiscono in fumo, perché né in India, né in nessun altro paese del mondo possono esserci risposte a questo livello di bestialità assoluta, a questa piaga inumana che la borghesia al potere in tutto il mondo, garante e a difesa del suo orribile e morente sistema sociale capitalistico-imperialista trascina con sé.
***
REPORTAGE
In India, alle ragazze che
lavorano nelle piantagioni di canna da zucchero sono negati tutti i diritti. E
operazioni inutili le privano persino dell’utero
Di Emanuela Zuccalà - Foto di
Chloe Sharrock
Una cicatrice sbilenca a
sfigurarle il ventre, un mal di schiena cronico, un debito da 50mila rupie
(circa 600 euro), ormai raddoppiato con gli interessi. E quel che resta a
Vandana Masu Khandale dopo che un medico di una clinica privata, dicendole che
rischiava il cancro, le ha asportato l'utero. Vandana aveva solo 22 anni e il
suo flusso mestruale era troppo abbondante e doloroso. All'ospedale pubblico
sostenevano che le sarebbero bastati dei farmaci e un po' di riposo, ma lei non
voleva interrompere il taglio delle canne da zucchero, non poteva
permetterselo. Allora andò alla clinica privata suggeritale dal mukadam,
l'appaltatore per il quale lavorava nella piantagione. Lo stesso uomo che le ha
poi prestato le 40mila rupie per l'intervento chirurgico, e altre l0 mila per
curare le complicazioni che Vandana ha sofferto in seguito, imponendole un
interesse pari al 60%.
Oggi sta male, costantemente. Con
la speranza di riacquistare salute, vigore e buona sorte, s'è indebitata di
altre 20mila rupie per celebrare un rito al dio elefante Ganesh, distruttore
degli ostacoli. Con Usha Tonde, invece, un medico - sempre privato - ha
sentenziato che il suo utero era troppo gonfio. E lei, a 28 anni, s'è ritrovata
poco dopo sul tavolo operatorio, risvegliandosi senza più utero e con una
vescica danneggiata che ora le frena il lavoro nella piantagione perché deve
andare al bagno ogni mezz'ora. Mentre Sitabai Zende ha avuto la sua
isterectomia a soli 19 anni e oggi, a 28, combatte con un'osteoporosi feroce e
una povertà assoluta: ogni singola rupia che possedeva l'ha spesa tra
operazione e medicine. Nello Stato indiano del Maharashtra, secondo
produttore di zucchero nel Paese, sono tante, troppe, le donne senza utero
nel distretto di Beed, afflitto da una siccità cronica. Ogni anno fra ottobre e
novembre, dopo la festività indù di Deepavali, 500mila persone migrano nella
"cintura della canna da zucchero", più a sud, oppure nello Stato del
Karnataka, a lavorare per 6 mesi nelle piantagioni. Il mukadam assume la
coppia di marito e moglie, pagando in anticipo una cifra da 80mila a 120mila
rupie per l'intera stagione (circa 940-1.400 euro). Mestruazioni e gravidanze
rallentano la raccolta, quando non la ostacolano, e così dilaga la pratica
dell'isterectomia, suggerita dai mukadam a donne analfabete e spesso
disperate, che finiscono tutte avvinghiate a un'identica catena di eventi:
quando vanno dal medico per dolori o infezioni anche banali, presto o tardi
viene raccomandato loro di rimuovere l'utero come soluzione permanente. Hanno già
figli, dunque non pensano alla loro fertilità, ma nessuno le informa del fatto
che l'inutile amputazione provocherà scompensi ormonali per la menopausa
innaturale, carenza di calcio e dolori permanenti in molti casi. Per non
parlare delle complicazioni sanitarie imprevedibili dopo interventi mal fatti.
Tutte vengono indirizzate verso cliniche private con tariffe arbitrarie e
altissime, che nell'isterectomia hanno ormai un business redditizio e sicuro,
mentre le loro vittime precipitano in una spirale di debiti e malattia.
Le statistiche ufficiali del
Maharashtra mostrano che, dal 2016 al 2019, 4.605 donne si sono sottoposte a
isterectomia in 99 cliniche private del distretto di Beed. Ma le organizzazioni
per i diritti civili sostengono che i dati reali siano superiori di almeno 14
volte. La maggior parte di loro ha fra i 35 e i 40 anni; alcune, meno di 25.
C'è un villaggio, Vanjarwadi, dove la metà delle donne è senza utero. Se noi
di D riusciamo a raccontarvi questa storia incredibile e crudele, è grazie
a uno scoop pubblicato lo scorso anno dal quotidiano indiano Hindu Business
Line, dal titolo "Perché tante donne nel Beed non hanno l'utero".
La giovane fotografa francese Chloe Sharrock lo ha letto e ha viaggiato nel
distretto per incontrare queste donne dai corpi massacrati a scopo di lucro,
vittime di soprusi dell'ignoranza e misoginia. Il suo lavoro, Sugar Girls
(che vedete in queste pagine), è stato presentato al festival di Perpignan Visa
pour l'Image e uno scatto simbolo è stato esposto a La Villette di Parigi
fino al 2 novembre. Ritrae due ragazzine alla finestra, mute e invecchiare, che
tra poco lasceranno la casa e la scuola per andare ad aiutare la madre in una
piantagione di canna da zucchero poiché lei, dopo l'operazione, non ha più
forze. «La parte più triste della vicenda è che tante donne non si rendono
neanche conto di essere vittime di un abuso», riflette la fotografa, che ha
mostrato le loro ecografie a un medico francese, <<e non c'era alcuna
traccia di anomalie nei loro uteri», aggiunge. Dopo lo scandalo scatenato
dall'Hindu Business Line, è emerso che la violenza continua fin dagli anni
'90, alimentata da medici senza scrupoli e dai mukadam che godono di una
percentuale sugli interventi. Le "ragazze di zucchero" sono un target
perfetto perché invisibile: impiegate in nero, senza assicurazione sanitaria,
non tutelate né dalla legge né dai sindacati. Pressato dalle organizzazioni
femminili, nel giugno del 2019 il Parlamento del Maharashtra ha istituito una
Commissione che però, finora, s'è limitata a pubblicare fredde linee guida, 140
pagine prive di misure concrete e soprattutto di sanzioni per i colpevoli dello
scempio.
In India, il corpo delle donne è
stato a lungo argomento tabù. Almeno fino a quando, nel 2012, a Nuova Delhi si
sono scatenate proteste dopo l'orrendo stupro di gruppo e l'uccisione di una
studentessa su un autobus. E finalmente il tema della protezione delle donne è
entrato nel dibattito pubblico. L’ultima ricerca della Thomson Reuters
Foundation sui Paesi più pericolosi al mondo per le donne pone l'India al 10°
posto, combinando indicatori come diritto alla salute, tradizioni culturali,
violenza, tratta di esseri umani. Mentre nell'Indice di Parità di genere
dell'Onu è al 129° posto su 162 Paesi del mondo.
«C'è un terribile consenso
culturale sul fatto che le donne hanno poco valore», scrive la sociologa
indiana Deepa Narayan, autrice di Chup: Breaking The Silence About India's
Women. «Le ragazze devono essere addestrate a comportarsi come se non
esistessero, a ridurre al minimo la loro personalità per sopravvivere, a
servire gli uomini e non dar loro fastidio». Anche le "ragazze di
zucchero" del Beed mortificano il loro femminile per non ostacolare il
flusso del lavoro. Ma qualcuno sta facendo qualcosa per loro?
Un network di attivisti per i
diritti femminili, guidato dall'associazione Makaam, ha appena pubblicato
il report Speranze spezzate per premere sulle autorità affinché
restituiscano la dignità a queste donne. Tutte le 1.042 intervistate in 8
distretti del Maharashtra, compreso Beed, dichiarano di dover per forza migrare
nella "cintura dello zucchero", poiché non hanno altri mezzi per
vivere. Il 72% di loro afferma di lavorare fino a 18 ore al giorno, senza mai
riposare. Non prendono pause neanche durante una malattia, il ciclo mestruale,
una gravidanza o dopo il parto. Abitano in condizioni igieniche tremende,
dentro tende e baracche senz'acqua e senza bagni. Come assorbenti usano stracci
che lavano, ma poi non stendono ad asciugare per pudore e «questa è tra le
cause dei peggioramento dei loro problemi di salute riproduttiva», scrivono gli
attivisti di Makaam, aggiungendo che «il 70% riferisce di accusare vari
problemi dopo l'isterectomia, da una costante stanchezza a dolori alla schiena
e al ventre».
Secondo l'associazione, tuttavia, l'orrore dell'isterectomia di massa non è che la punta di un iceberg di sfruttamento ai confini della schiavitù, di marginalità e di patriarcato che soffoca queste donne: «Innanzitutto il salario viene corrisposto solo al marito», sottolinea Seema Kulkarni di Makaam, «le lavoratrici non sono registrate e nessuno offre loro alternative economiche, nei loro villaggi, affinché non siano costrette a migrare. C'è davvero tanto che il governo deve fare per loro».
I numeri:
4.605 donne dello Stato
indiano del Maharashtra si sarebbero sottoposte a un'isterectomia tra il 2016 e
il 2019. Secondo le organizzazioni umanitarie i numeri reali sarebbero 14 volte
superiori.
99 cliniche private specializzate
nell'isterectomia solo nel distretto di Beed.
70% delle donne che hanno subito l'operazione accusano vari problemi dopo l'intervento.
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