Le cose stanno come è scritto in questa lettera a a partire da un fatto documentato.
La pressione della Confindustria di Bergamo perché non si chiudessero le attività, è stata documentata su Rai 3 da “Report” del 6 aprile. Mentre 9 presidenti di altrettanti Regioni, firmavano ordinanze che istituivano ben 116 “zone rosse” in tutta Italia, fissando quarantene e impedendo al contagio di diffondersi, la Confindustria bergamasca per non vedersi intralciare la produzione con le “zone rosse”, ha potuto contare sull’appoggio di Regione Lombardia che già il 27 febbraio per bocca di Gallera dichiarò: “Al momento non c’è nessuna ipotesi di introdurre nuove “zona rosse”. (Oltre quella nel lodigiano decretata dal governo n.d.r.)
Caro Operai Contro,
con inspiegabile ritardo la procura di Bergamo, solo ai primi di giugno ha aperto un’indagine sui morti per Coronavirus a Bergamo e provincia, con l’ipotesi di reato di epidemia colposa. Sarà una combinazione ma la procura di Bergamo si è mossa quando si sono concretizzate le voci che i famigliari dei morti hanno intrapreso le vie legali per chiedere conto alla politica, del perché dati alla mano, Bergamo e provincia sono diventate l’epicentro mondiale della pandemia Coronavirus.“Nessuno qui ha mai cantato dai balconi”, dice da Bergamo S. Fusco vicepresidente del Comitato “Noi denunceremo”.
Già di per sé, il fatto che questa indagine nasca “contro ignoti”, lascia a dir poco perplessi, come se
non si sapesse che A. Fontana e G. Gallera, il primo presidente della Regione Lombardia, il secondo assessore al Welfare, hanno il potere di decidere“zone rosse”per isolare e circoscrivere i contagi e le morti.
Non avendolo fatto avrebbero dovuto essere loro i primi indagati. Anche perché hanno deliberatamente ignorato l’indicazione di S. Brusaferro presidente dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che il 5 marzo aveva decretato: “Nella bergamasca la zona rossa va fatta”. Invece Fontana e Gallera sono stati sentiti dalla procura di Bergamo solo come persone informate sui fatti, non sono neanche indagati in questa indagine partita in ritardo e incredibilmente “contro ignoti”.
Più di 25 mila morti nella sola provincia di Bergamo, sono il risultato della Regione Lombardia che si è adeguata alla volontà degli untori della Confindustria di Bergamo, che in uno scaltro video appello in lingua inglese (qui denunciato il 20 marzo), invitava il mercato mondiale a comprare in Lombardia che anche con il virus non smette di produrre, dopo aver titolato sul Sole 24 ore, “La Lombardia non si ferma”.
La pressione della Confindustria di Bergamo perché non si chiudessero le attività, è stata documentata anche su Rai 3 da “Report” del 6 aprile, ripreso su queste pagine il 9 aprile.
Mentre 9 presidenti di altrettanti Regioni, firmavano ordinanze che istituivano ben 116 “zone rosse” in tutta Italia, fissando quarantene e impedendo al contagio di diffondersi, Confindustria bergamasca per non vedersi intralciare la produzione con le “zone rosse”, ha potuto contare sull’appoggio di Regione Lombardia che già il 27 febbraio per bocca di Gallera dichiarò: “Al momento non c’è nessuna ipotesi di introdurre nuove “zona rosse”. (Oltre quella nel lodigiano decretata dal governo n.d.r.)
Alla domanda “sulla mancata zona rossa nella bergamasca”, Gallera risponde: “Effettivamente una legge che consente alla Regione di farlo c’è”. Ma lui e il suo socio Fontana non l’hanno usata e ora la procura di Bergamo cerca altrove i responsabili. A Roma ha interrogato Conte il capo del governo, il ministro dell’Interno L. Lamorgese, il ministro della Salute R. Speranza. Ma il passarsi la palla dalle periferie al centro solleverà solo un grande polverone. La Procura di Bergamo dovrebbe chiedersi chi fece pressione sul governo ed in regione affinchè non venissero dichiarate le zone rosse, ma dovrebbe coinvolgere l’associazione degli industriali della zona, i responsabili della Regione Lombardia e del governo che si piegarono alle loro necessità. Ma lo strabismo consente di guardare altrove.
Nella bergamasca la strage si è compiuta, sia perché molte attività non essenziali, con una semplice comunicazione al Prefetto, non si sono mai fermate neanche nel periodo del lockdown, sia perché mandando nelle Case di riposo i dismessi dagli ospedali ancora contagiosi, è stato come gettare “un cerino dentro un pagliaio”, come ha detto L. Degani, presidente dell’Associazione Uneba che riunisce 400 case di riposo lombarde.
Anche Sala sindaco di Milano e coniatore dello slogan
“Milanononsiferma”, è sulla linea di Fontana e Gallera, quando
commentando al telegiornale, i video della movida sui navigli a Milano,
minaccia la richiusura della città. Come se la causa principale dei
contagi fosse quella movida. Sala e i telegiornali non mostrano l’alta
potenzialità dei contagi, di come sono addensati e quanti sono gli
operai nelle fabbriche e nei posti di lavoro, di quanta gente è
costretta a usare i mezzi di trasporto e in quali condizioni.con inspiegabile ritardo la procura di Bergamo, solo ai primi di giugno ha aperto un’indagine sui morti per Coronavirus a Bergamo e provincia, con l’ipotesi di reato di epidemia colposa. Sarà una combinazione ma la procura di Bergamo si è mossa quando si sono concretizzate le voci che i famigliari dei morti hanno intrapreso le vie legali per chiedere conto alla politica, del perché dati alla mano, Bergamo e provincia sono diventate l’epicentro mondiale della pandemia Coronavirus.“Nessuno qui ha mai cantato dai balconi”, dice da Bergamo S. Fusco vicepresidente del Comitato “Noi denunceremo”.
Già di per sé, il fatto che questa indagine nasca “contro ignoti”, lascia a dir poco perplessi, come se
non si sapesse che A. Fontana e G. Gallera, il primo presidente della Regione Lombardia, il secondo assessore al Welfare, hanno il potere di decidere“zone rosse”per isolare e circoscrivere i contagi e le morti.
Non avendolo fatto avrebbero dovuto essere loro i primi indagati. Anche perché hanno deliberatamente ignorato l’indicazione di S. Brusaferro presidente dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che il 5 marzo aveva decretato: “Nella bergamasca la zona rossa va fatta”. Invece Fontana e Gallera sono stati sentiti dalla procura di Bergamo solo come persone informate sui fatti, non sono neanche indagati in questa indagine partita in ritardo e incredibilmente “contro ignoti”.
Più di 25 mila morti nella sola provincia di Bergamo, sono il risultato della Regione Lombardia che si è adeguata alla volontà degli untori della Confindustria di Bergamo, che in uno scaltro video appello in lingua inglese (qui denunciato il 20 marzo), invitava il mercato mondiale a comprare in Lombardia che anche con il virus non smette di produrre, dopo aver titolato sul Sole 24 ore, “La Lombardia non si ferma”.
La pressione della Confindustria di Bergamo perché non si chiudessero le attività, è stata documentata anche su Rai 3 da “Report” del 6 aprile, ripreso su queste pagine il 9 aprile.
Mentre 9 presidenti di altrettanti Regioni, firmavano ordinanze che istituivano ben 116 “zone rosse” in tutta Italia, fissando quarantene e impedendo al contagio di diffondersi, Confindustria bergamasca per non vedersi intralciare la produzione con le “zone rosse”, ha potuto contare sull’appoggio di Regione Lombardia che già il 27 febbraio per bocca di Gallera dichiarò: “Al momento non c’è nessuna ipotesi di introdurre nuove “zona rosse”. (Oltre quella nel lodigiano decretata dal governo n.d.r.)
Alla domanda “sulla mancata zona rossa nella bergamasca”, Gallera risponde: “Effettivamente una legge che consente alla Regione di farlo c’è”. Ma lui e il suo socio Fontana non l’hanno usata e ora la procura di Bergamo cerca altrove i responsabili. A Roma ha interrogato Conte il capo del governo, il ministro dell’Interno L. Lamorgese, il ministro della Salute R. Speranza. Ma il passarsi la palla dalle periferie al centro solleverà solo un grande polverone. La Procura di Bergamo dovrebbe chiedersi chi fece pressione sul governo ed in regione affinchè non venissero dichiarate le zone rosse, ma dovrebbe coinvolgere l’associazione degli industriali della zona, i responsabili della Regione Lombardia e del governo che si piegarono alle loro necessità. Ma lo strabismo consente di guardare altrove.
Nella bergamasca la strage si è compiuta, sia perché molte attività non essenziali, con una semplice comunicazione al Prefetto, non si sono mai fermate neanche nel periodo del lockdown, sia perché mandando nelle Case di riposo i dismessi dagli ospedali ancora contagiosi, è stato come gettare “un cerino dentro un pagliaio”, come ha detto L. Degani, presidente dell’Associazione Uneba che riunisce 400 case di riposo lombarde.
La procura di Bergamo, che non ha nessuna intenzione, ad oggi, di disturbare gli industrialotti della zona almeno chieda a Fontana e Gallera perché dopo aver chiuso il 23 febbraio il pronto Soccorso dell’ospedale di Alzano Lombardo, ne hanno ordinato la riapertura poche ore dopo? Chieda chi ha deciso di portare i malati dismessi contagiosi nelle Case di riposo? Ed anche perché Fontana ha commissionato i camici alla ditta della moglie e del cognato? E perché per i test sierologici c’è una denuncia in corso per mancata procedura di gara? Ed ancora, che fine hanno fatto 14,6 milioni di mascherine pagate dalla giunta lombarda e mai arrivate?
Ma soprattutto la procura di Bergamo indaghi sulle responsabilità di Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia, sulle pressioni che ha esercitato per opporsi alla istituzione della zona rossa per non fermare le fabbriche esponendo tutti, operai e famigliari, al rischio di contagio che si è poi manifestato con tutta la sua tragica realtà.
Saluti Oxervator
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