Migranti, la rotta tunisina ha un nuovo punto di partenza. “Da Sidi Mansour mille africani pronti per le barche dirette a Lampedusa”
Questa località marinara alla periferia nord del capoluogo regionale (e seconda città della Tunisia per numero di abitanti) è ritenuta ideale dalle organizzazioni che si occupano del traffico di esseri umani come punto di lancio. Dal porticciolo peschereccio del villaggio, negli anni, è salpata la maggioranza di migranti diretti in Italia. Adesso, come in altri periodi della storia recente, a partire sono gli africani sub-sahariani, ma da questo tratto di mare generazioni di giovani tunisini hanno tentato la fortuna infilandosi dentro bagnarole con la prua diretta a nord-est, verso il nostro Paese. Specie nel periodo pre-rivoluzione dei gelsomini, all’inizio del 2011, ma anche negli anni successivi alla caduta dell’ex presidente Ben Ali, migliaia di tunisini delle regioni interne e retrograde, Sidi Bouzid, Gafsa, Kasserine, sono fuggiti via mare in Italia. Oggi la Tunisia viene premiata dall’Oms per la sua
efficacia nella battaglia contro il Covid (numeri molto contenuti grazie ad una campagna di misure Il fatto che Sidi Mansour sia il sito di lancio prediletto dalle organizzazioni criminali è risaputo, eppure il mercato è fiorente: “In questo momento qui nei dintorni ci sono tra i 1.000 e le 1.500 africani pronti per salire a bordo delle barche dirette a Lampedusa. C’è un ricambio continuo, chi parte viene rimpiazzato e il traffico comincia dalle province meridionali al confine con la Libia”. Wael è un pescatore tunisino di lunga data, con una esperienza di vita in Italia. A Sfax, dove è nato e lavora, lo conoscono tutti. In passato, nei primi anni duemila, anche lui ha pilotato una barca partita da qui verso le coste siciliane: “Ora non voglio più rischiare la vita o essere arrestato, ho un lavoro fisso al porto, mi basta, per me e la mia famiglia” dice Wael che però conosce ogni angolo della sua zona e ogni cosa che vi accade: “Da un mese a questa parte il traffico di clandestini è fortemente aumentato, i numeri stanno diventando elevati – Wael entra nel dettaglio della redditizia attività criminale -. Le organizzazioni sono oliate e prevedono una serie di intermediari disposti a trasportare i clandestini fino a Sidi Mansour. Chi si occupa della tratta sono mediatori africani che entrano in contatto con i proprietari delle barche, gente di qui che ha cambiato o riadattato il proprio business. Persone facoltose disposte a comprare barche, alcune in disuso, e farle fruttare. Le imbarcazioni possono costare dai 50mila ai 150mila dinari tunisini (dai 15mila ai 45mila euro, ndr), a seconda delle dimensioni delle barche, e questa è la parte principale della spesa. Il resto è rappresentato dal noleggio di camion e furgoni per trasferire i migranti fino all’area di Sfax, tra i 6 e gli 8mila dinari a carico, dall’affitto di edifici dove stivare i migranti fino alla partenza, più o meno 10mila dinari a struttura. Infine c’è da mettere in conto la paga del capitano. Prendiamo il caso della barca naufragata l’altro giorno, Tounsi avrebbe guadagnato tra i 3 ed i 5mila euro e una volta arrivato con la barca a Lampedusa sarebbe rientrato. Al massimo rischiando il fermo e la deportazione. Il gioco vale la candela. Per guadagnare una cifra del genere lavorando come pescatore ci vogliono mesi. Il capitano di una barca, come Rabban, non può essere considerato un criminale, sta cercando solo di sopravvivere. Le persone sporche sono altre. Rabban era un pescatore esperto e adesso è morto”.
Fino a qui i costi fissi d’impresa. Facendo una media, il trafficante tunisino per una imbarcazione di medie dimensioni spende, complessivamente, attorno ai 130mila dinari, poco più di 40mila euro. I ricavi, però sono molto ricchi: “Ogni migrante paga 3.500Tdn (poco più di mille euro, ndr) – prosegue nell’analisi Wael – . Prendiamo il caso della barca naufragata l’altro giorno, a bordo c’erano almeno 60 persone, forse di più, anche se al massimo ne avrebbe potute contenere la metà. All’imprenditore sono entrati oltre 200milaTdn (attorno ai 65mila euro, ndr), il guadagno c’è ed è piuttosto ricco. Il business si alimenta così”. Attorno a Sidi Mansour non si contano le barche in rimessaggio, altre costruite ex novo in cantieri di fortuna, in larga parte destinate non alla pesca, ma ad essere usate come scialuppe dove stivare i migranti in partenza verso l’Italia. Ciò a conferma del mercato tunisino tornato fiorente e destinato ad aumentare nei prossimi tre mesi, favorito dalle migliori condizioni climatiche e meteomarine. Il governo tunisino fa quello che può, poco a dire il vero, per arginare il traffico. Nei primi cinque mesi del 2020, secondo fonti del ministero dell’Interno, sono stati intercettati circa 2.200 migranti in mare, una porzione minima di quanti invece sono sfuggiti ai controlli. Ciò che sta accadendo in Tunisia a livello migratorio è confermato da Sana Bousbih, membro della Commissione Africana dei Diritti dell’Uomo, consulente ed esperta di migrazioni: “I drammi come quello a largo delle Kerkennah sono destinati ad aumentare – afferma Bousbih, a capo, inoltre, di una organizzazione, Migrants Solidarity, che collabora con la Mezzaluna Rossa tunisina -. Gruppi di sub-sahariani si stanno spostando in massa dalla Libia alla Tunisia. Il contagio da Covid-19 ha limitato le partenze, ora nel mio Paese è in corso un assalto ai passaggi su barconi di fortuna e le preoccupazioni per questi ‘invisibili’ sono concrete. La pandemia, oltre ad attrarre profughi dalla Libia, sta costringendo migliaia di africani che in Tunisia avevano trovato lavoro, anche in nero, a tentare la fortuna visto il crollo delle attività. La maggior parte era occupata nel turismo, nella ristorazione, i settori maggiormente in ginocchio oggi in Tunisia. Famiglie senza diritti che a causa della chiusura generale si sono ritrovati da un giorno all’altro nella precarietà totale, buttate fuori dalle case perché non più in grado di pagare l’affitto. L’accesso ai servizi sanitari di base per loro è diventato impossibile.
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