Sevel di Castel di Sangro, lo stabilimento più grande d’Europa per la produzione di furgoni leggeri. Si produce il Ducato, ma anche furgoni Peugeot e Citroen. Una produzione di circa trecentomila furgoni l’anno, l’unico stabilimento FIAT che tira in questo momento.
La Sevel ha vinto il premio di efficienza del World class manufacturing, programma mondiale applicato in Fca. Parametri come aspetto manageriale, sicurezza, manutenzione, ma anche assenteismo, malattie, sicurezza sul lavoro, risparmio energetico sono stati brillantemente superati in Sevel. «È un ottimo risultato per lo stabilimento», dichiara Domenico Bologna, segretario Fim-Cisl Abruzzo e Molise, «e uno dei più alti: solo Pomigliano ha fatto meglio. Abbiamo dimostrato, grazie all’impegno dei lavoratori, di aver raggiunto tutti i risultati e ricordiamo che nel 2019 dobbiamo prendere anche il premio per il piano industriale 2017-2018”.
I picchi produttivi impongono all’azienda di aumentare il personale, e la FIAT fa ricorso a lavoratori interinali e a trasferisti da altri stabilimenti del centro sud.
Attualmente ci sono 130/140 operai anche di Pomigliano, che dovranno aumentare dal mese prossimo.
Abbiamo intervistato alcuni di loro per saperne qualcosa in più da parte operaia.
- – Come mai siete andati alla Sevel?
- – E’ il solito motivo per quelli che vivono di salario: i soldi. A Pomigliano prendevamo pochi soldi ormai, perché gli ammortizzatori sociali ti decurtano una fetta consistente di salario e poi c’è la mancanza di prospettive per il futuro: la Panda è alla fine del suo ciclo a Pomigliano e non ci sono prospettive reali e nuovi modelli per il futuro. Le voci che circolano è che metà
- dello stabilimento è in “esubero”.
- – E i soldi sono arrivati?
- – Macchè. Prendiamo 15 euro di diaria, fino ad un massimo di 49 euro circa per il pasto. Per il viaggio ci pagano grosso modo tre ore a straordinario per l’andata e tre ore per il ritorno e fino a mezzo euro a chilometro per il carburante in funzione della cilindrata dell’auto che utilizziamo. Chiaramente il viaggio lo facciamo solo una volta alla settimana. Se fai i conti sono quattro soldi. Quelli sicuri sono quelli della diaria, ma per il pasto devi presentare le fatture e se trovi qualche bottegaio accondiscendente, buona parte se li prende lui.
- – E allora perché rimanete?
- – Qui prendiamo almeno un salario pieno rispetto a Pomigliano. Questo è il motivo. Chiaramente siamo per lo più costretti a farlo perché abbiamo famiglia, figli che ancora non lavorano, o problemi economici che in questi anni di vacche magre si sono accumulati.
- – La FIAT ha sempre affermato che Pomigliano era un fiore all’occhiello della produzione in Italia e tira fuori costantemente cifre in crescita per gli utili dello stabilimento. Come mai questa contraddizione: l’azienda va bene e per gli operai va male.
- – Bè, forse è proprio quella la spiegazione: all’azienda va bene perché a noi operai va male. Abbiamo fatto un milione di panda in questi anni e gli azionisti FIAT si sono arricchiti. Noi, secondo qualche sindacato ancora credibile, abbiamo perso mediamente 40.000 euro. Ora che il ciclo si sta esaurendo ci stanno per dire “arrivederci e grazie”.
- – Alla Sevel la situazione è diversa però. Lavorano tutti e prendono anche premi e l’occupazione è in crescita.
- – Alla Sevel si lavora e aumenta l’occupazione. Ma per gli operai non è il paradiso che può apparire. Si lavora tanto e male. Uno potrebbe credere che essendo lo stabilimento migliore della FIAT in Italia, le cose vadano meglio. Invece vanno peggio. Si lavora in condizioni peggiori che a Pomigliano, ma con gli stessi ritmi e quindi le conseguenze sul nostro fisico sono ancora più pesanti. A Pomigliano quelli che lavorano al montaggio della panda sono già vecchi prima di arrivare a cinquant’anni. Non ce la fanno più con quei ritmi e quella fatica. Quelli di noi che vengono dalla linea di montaggio di Pomigliano sono in grande difficoltà sulle linee del ducato alla Sevel, e siamo gente abituata a far andare le mani. Il che significa che qui invecchi ancora prima che a Pomigliano.
- – Da quello che dite sembra di parlare di una fabbrica di altri tempi.
- – E forse è proprio così. L’ergonomia, termine tanto utilizzato dalla FIAT, qui non esiste. Le postazioni sono tutte uguali, non vengono adattate per poter sfruttare meglio le caratteristiche del lavoratore che ti fanno lavorare di più, è vero, ma almeno non ti spacchi giunture e schiena velocemente. Qui lavori lo stesso tanto e fai la produzione, ma in condizioni fisiche più disagiate. Qualcuno di noi guardando la produzione che facciamo dice che è il modo di lavorare a Pomigliano quando facevamo l’alfa 33, decine di anni fa.
- – Che turni si fanno?
- – Si fanno tre turni, ma si lavora ancora su cinque giorni, almeno sulla carta, perché le “comandate” al sabato di straordinario sono sistematiche. Praticamente non ci sono ferie per gli operai del posto. Qualcuno ci ha detto che noi siamo qui anche per far andare in ferie qualcuno di loro. La cosa buona dell’organizzazione del lavoro è che hanno conservato la mensa durante il turno e non l’hanno messa alla fine come a Pomigliano, questo ti fa respirare un po’.
- – Vi aspettavate qualcosa di diverso?
- – Siamo operai e sappiamo come vanno le cose in fabbrica. D’altra parte i capi che ci hanno accolto ci hanno dato subito il biglietto da visita: qui si lavora così e molto, voi siete qui perché avete bisogno, chi non resiste può tornarsene da dove è venuto.
- – Se doveste definire la vostra condizione con poche parole cosa direste?
- – Ne possiamo utilizzare anche una sola: schiavi.
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