venerdì 15 dicembre 2017

pc 15 dicembre - Ancora sulla sentenza ETERNIT - un commento

UNA DECISIONE A DIR POCO INDECENTE
E’ sempre doloroso, per chi ha seguito l’andamento dell’intero primo grado del procedimento – per disastro ambientale doloso, conclusosi con una vergognosa sentenza di assoluzione per prescrizione del reato – a carico del magnate svizzero Stephan Schmidheiny e della sua azienda Eternit, tornare a parlarne.
Dalla memoria riaffiorano le centinaia di storie ascoltate nell’aula bunker al primo piano sotterraneo del Palazzo di Giustizia di Torino, intitolato al giudice Bruno Caccia, ucciso dalla ‘ndrangheta nel 1983, tra il 9 dicembre 2009 ed il 13 febbraio 2012, giorno in cui il giudice Giuseppe Casalbore – che sarebbe mancato di lì a pochi mesi – pronunciò la condanna in primo grado dell’imputato per aver consapevolmente ed intenzionalmente proceduto all’avvelenamento dell’ambiente circostante gli stabilimenti Eternit.
Molte sono testimonianze "alla sbarra" delle vittime, e delle famiglie di chi purtroppo ha perso la vita in nome del profitto altrui; tante altre le si è ascoltate, nei corridoi durante le pause del dibattimento,
da persone del pubblico che volevano condividere il proprio vissuto con qualcuno, indipendentemente dal fatto se poi le loro esternazioni avrebbero avuto o meno valore di prova.
Tutto questo fa male al solo pensarci, ma è anche peggio pensando a come le cose si sono evolute; la Corte Suprema di Cassazione ha annullato le condanne, ottenute nei due gradi di giudizio di merito, perché il reato sarebbe stato prescritto: ha ritenuto cioé che l’inquinamento doloso ha cessato di essere prodotto nel 1986, all’atto della chiusura per fallimento dell’azienda.
Un vero obbrobrio giuridico che diventa ancora peggiore nel momento in cui si è consapevoli che il sito di Casale Monferrato, ma anche gli altri presenti sul territorio nazionale, non sono stati chiusi e bonificati, ma abbandonati in tutta fretta senza preoccuparsi minimamente di asportare il materiale pericoloso, che ha così potuto continuare la sua opera genocida programmata.

E’ di ieri la decisione della stessa Corte di legittimità che, in merito al processo bis – per l’omicidio di 258 ex operai dell’azienda – che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino avrebbe voluto svolgere per intero nel capoluogo piemontese, senza spacchettarlo con gli altri Tribunali competenti per territorio sugli stabilimenti Eternit (Bagnoli, Cavagnolo, Rubiera) non solo nega questa possibilità, ma incredibilmente derubrica il reato da omicidio doloso a omicidio con colpa cosciente.
Non solo, ma questo spacchettamento produce un altro disastro; del totale di casi precedentemente richiamato, ben 243 di questi concernono lo stabilimento di Casale Monferrato: questo significa che la quasi totalità del processo sarà svolta a Vercelli, per cui si perderà tutta quella parte di sapere processuale derivante dal fatto che il “pool di Guariniello” aveva seguito per intero tutto l’andamento del primo processo.
Certo, questa volta il padrone assassino non se la può cavare con la prescrizione del reato (l’omicidio non ha questo problema) ed allora la Giustizia borghese cerca di accomodare le cose in modo che costui non sia costretto a fare neanche un giorno di strameritata galera: e dire che, per condannare l’assai poco “signor” Schmidheiny ad una giusta pena detentiva basterebbe ricordare le parole che suo fratello Thomas pronunciò durante la sua deposizione – il 5 luglio 2010 – in primo grado.
Egli sostenne con forza, e nessuno riuscì – nonostante più d’uno dei difensori del genocida ci abbia provato a più riprese – a farlo cadere in contraddizione sul punto, che sin dalla prima metà degli anni ottanta, a tavola, suo fratello e suo padre parlavano della nocività dell’asbesto e della necessità di trovare materiali alternativi: salvo poi decidere di continuare la produzione fino a quando non si fosse trovato un materiale altrettanto duttile e conveniente economicamente.
Bosio (Al), 15 dicembre 2017
Stefano Ghio - Rete sicurezza Alessandria/Genova

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