Dobbiamo decidere alcune iniziative,
perchè questo incontro serva non solo a denunciare quello che
avviene nel processo, ciò che avviene nella sempre più intricata
vicenda Ilva, ma anche prendere iniziative.
Io propongo che si assumano le proposte
fatte dagli avvocati; dall'avv. Lamanna che diceva: nel processo non
aspettiamo la fine, quando i Riva e gli altri imputati hanno avuto
tutto il tempo di imboscarsi i loro soldi, ma facciamo ora un'azione
legale, da rendere pubblica come arma non solo legale ma politica,
per mettere le mani prima sulle proprietà degli imputati; all'avv.
di Palermo che dice che questa vicenda del processo Ilva di Taranto
per la sua importanza, per le sue dimensioni, per l'ampiezza delle
violazioni che tocca, deve interessare gli avvocati a livello
nazionale; pertanto penso che in prossimità della fase in cui il
processo si concentra sulle parti civili, si lanci una iniziativa
nazionale, una giornata nazionale, da parte degli avvocati, che si
senta e che poi non resti solo una testimonianza, sull'esempio anche
di altre iniziative coordinate nazionalmente da parte di avvocati che
già si stanno facendo, per esempio contro il 41bis; questa azione
coordinata e nazionale è particolarmente importante per questo
processo Ilva che è la “madre” di tutti i processi di questo
tipo; un processo che non è solo un processo ai 45 imputati ma un
processo al sistema, perchè tocca tutti gli aspetti del sistema sia
economico, sia politico, sia istituzionale di attacco ai lavoratori,
alle masse popolari. In questo processo mancano purtroppo i sindacati
confederali che, fin dall'inizio noi l'abbiamo detto, dovrebbero
starci nel banco degli imputati.
Altra questione. Noi abbiamo fatto a
Taranto una buona manifestazione a un anno dalla strage della Thyssen
e nell'anniversario della morte di un altro operaio all'Ilva,
Antonino Mingolla; una manifestazione importante perchè unì varie
realtà del nord, centro, sud. Questa mobilitazione va ripresa,
perchè dobbiamo riporre la lotta al centro. Anche sul piano
processuale è la lotta l'aspetto principale, è la ribellione, è
riprendere da parte dei lavoratori e dei cittadini ad essere loro in
primo piano, altrimenti la fine è nota.
Il processo poi è anche espressione
della situazione più generale all'Ilva di Taranto, non va visto come
una cosa a sé. In gioco a Taranto c'è la questione della salute e
del lavoro, entrambi vengono attaccati, non viene attaccata solo la
salute, ma i posti di lavoro, i diritti dei lavoratori, le condizioni
di lavoro e salariali – oggi, per la legge di Renzi del jobs act si
vuole far tornare operai Ilva che lavorano da 20 e più anni, come se
fossero al primo giorno di lavoro.
Quindi, non vi sono compartimenti
stagno, separati, ma occorre trovare un'unità.
Ora, qui, su una cosa io credo dobbiamo
essere tutti d'accordo. Possiamo anche avere delle opinioni diverse
(considerare prioritaria sola la salute e allora si chiede che l'Ilva
chiuda, considerare il lavoro un altro diritto umano fondamentale,
ecc.), a volte anche in contrasto, in alcuni momenti in maniera pure
eccessiva... Ma su una cosa dobbiamo essere d'accordo, ed essere
uniti: che in questa battaglia i principali protagonisti sono gli
operai, chi concretamente subisce non uno di questi aspetti ma
tutti (subisce il rischio di migliaia di tagli al posto di lavoro, come subisce tumori, morte, come subisce il jobs act, ecc.); che sono gli operai il motore per mettere al centro i diritti dei lavoratori e dei cittadini. Perchè è una guerra di classe quella che è in atto: da un lato ci sono operai, cittadini dei quartieri inquinati, lavoratori cimiteriali, ecc; dall'altra ci sono i padroni vecchi e nuovi, c'è il governo, c'è lo Stato che non dà giustizia.
tutti (subisce il rischio di migliaia di tagli al posto di lavoro, come subisce tumori, morte, come subisce il jobs act, ecc.); che sono gli operai il motore per mettere al centro i diritti dei lavoratori e dei cittadini. Perchè è una guerra di classe quella che è in atto: da un lato ci sono operai, cittadini dei quartieri inquinati, lavoratori cimiteriali, ecc; dall'altra ci sono i padroni vecchi e nuovi, c'è il governo, c'è lo Stato che non dà giustizia.
Se è questa la “guerra” in atto,
la questione principale, qui mi rivolgo direttamente agli operai, è
che gli operai scendano autonomamente in lotta.
Sentiamo dire dagli operai: siamo
pochi, la maggiorparte è disillusa, non ha fiducia. Ma noi diciamo:
cominciamo! cominciamo! E gli operai devono fare loro l'appello
all'unità con i cittadini dei Tamburi, di Paolo VI, della città,
perchè gli operai obiettivamente sono una forza. Siete 15mila che la
fabbrica tiene uniti (non sono 15mila sparpagliati, in cui uno abita
a Taranto, l'altro in provincia, ecc.).
Da voi, quindi, deve venire la forza e
l'appello. E questo bisogna farlo subito. Sia in dieci, sia in venti,
per iniziare non conta, quello che conta è che si senta questa voce
autonoma degli operai dalla fabbrica, una voce chiara che dica:
parliamo e lottiamo noi! Per esempio ci sta bene che il sindaco di
Taranto faccia il ricorso al Tar, è legittimo, ma ciò che non va
bene è che gli operai non scendono in campo. Se lo fanno, allora le
cose per forza cambiano, e diventa possibile impedire i 4mila esuberi
come fare subito la copertura dei parchi minerali, ecc.
Diversamente sta lì a 300 Km ciò che
noi non vogliamo che succeda a Taranto: Bagnoli. Bagnoli sta a
dimostrare che se non ci sono gli operai in campo, se non ci sono gli
operai insieme alla popolazione, passano oltre 25 anni e la
situazione in termini di lavoro è finita da un pezzo con la
chiusura di Bagnoli e senza alternative, ma la questione della
salute, dell'ambiente, delle bonifiche sta addirittura peggio. Perchè
quando per decenni non si bonificano terreni, il mare, la situazione
non è che rimane la stessa ma peggiora; non solo, ma senza alcuna
pressione degli operai, si lascia, come è successo a Bagnoli, campo
libero alla camorra.
Se pensiamo che l'Ilva è almeno 10
volte Bagnoli, pensiamo che cosa succederebbe a Taranto se non
entrano in campo ora gli operai, la forza operaia che, a differenza
di Bagnoli, per “fortuna” sono ancora in fabbrica, attivi,
possono e devono pesare.
L'appello che, quindi, faccio anche
agli operai che sono qui stasera è: non vi lasciate bloccare dai
numeri. Certo i numeri contano, ma per cominciare non dobbiamo
guardare quanti siamo, ma dobbiamo guardare a cosa è necessario, e,
allora, dirlo al proprio compagno di reparto, all'operaio che abita
nello stesso paese, ecc. indipendentemente dalle loro iscrizioni
sindacali. Altrimenti chi decide sono nel male Calenda, Mittal, o
dall'altra parte la presidente della Corte d'Assise, il sindaco
Melucci e, tra gli operai, soprattutto i sindacati confederali che
stanno dividendo gli operai, perchè quello che hanno fatto l'altro
giorno, di andare sotto la Regione a fare il presidio a favore della
trattativa col governo e ArcelorMittal, sinceramente mi ha ricordato,
in piccolo, quello che successe il 30 marzo 2012 con la
manifestazione organizzata dai capi; a Bari era organizzata dai
Fim/Cisl e Uilm/Uil ma il senso è lo stesso: a fianco del governo, a
fianco dell'azienda.
Vogliono dividere gli operai? Noi
dobbiamo unirli. Ma occorre anche tra gli operai fare la lotta su
cosa è giusto e cosa non è giusto, su quale lotta serve e quale
invece è oggettivamente al servizio di governo e Mittal. Cominciamo,
quindi, a mettere questi tasselli.
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