Sia
Federico Rampini su Repubblica, sia una nota, peraltro puntuale e
interessante, di Sergio Cararo su Contropiano, concordano che quello
che è fallito non è solo il G7 di Taormina ma l'idea stessa dei G7.
Rampini:
“L'idea stessa di una governance globale, di una cabina di regia
per affrontare le sfide planetarie appartiene ad un'altra era”. In
questa affermazione c'è del vero, è un modo di dire che
l'acutizzazione delle contraddizioni interimperialiste che covano da
diversi anni si sono accentuate e l'ingresso dell'elefante nella
“sala dei cristalli”, Trump l'ha messo a nudo.
Ma
questa non è che la norma nell'era dell'imperialismo. Costantemente
i paesi imperialisti cercano questa governance globale, questo “nuovo
ordine mondiale” come fu chiamato negli anni passati, in cui
possano essere garantiti gli interessi “globali”
dell'imperialismo. Nei confronti di chi, però? Dei proletari e dei
popoli delle nazioni oppresse nel mondo, mentre cercano una soluzione
alle contraddizioni tra di loro. Ma gli imperialisti sono una banda
di predoni e lo sviluppo diseguale fa il resto, e si arriva sempre al
fatto che le contraddizioni tra di loro non sono componibili e
contano i rapporti di forza.
Ed è
sui rapporti di forza che c'è il primo problema, su cui a nostro
giudizio sbagliano sia Rampini che Sergio Cararo. Essi danno per
morto sostanzialmente l'imperialismo americano e il suo ruolo di
superpotenza egemonica, non considerano che l'imperialismo in crisi è
una belva ferita, e Trump è l'espressione di questo.
Il
secondo dato, su cui costoro sbagliano è la sopravvalutazione dei
fattori economici che,
è vero, spingono l'Europa ad unirsi e la Germania, come paese
imperialista principale, ad assumere un ruolo guida che, a fronte
dell'azione fascio-imperialista di Trump, spinge verso un polo
imperialista europeo, ma i paesi imperialisti europei sono tra di
loro, a loro volta, una banda di predoni in lotta, in cui la volontà
di unirsi fa a pugni con gli interessi divergenti. Così come è del
tutto evidente che un riequilibrio dei rapporti di forza tra
imperialismo Usa e l'imperialismo europeo non è possibile; così
come un'alleanza Europa/Russia è altrettanto ora improbabile.
Circa
poi quello che avviene in superficie come nel sottosuolo delle
relazioni Usa, Russia, Cina e contraddizioni in Asia, circa quello
che avviene all'esterno e all'interno di alcuni paesi divenuti chiave
e anelli deboli del sistema mondiale in senso leninista, in primis
India e Brasile, sono questioni da affrontare a parte e l'occasione
del G20 ne offrirà l'opportunità.
Rampini
da un lato, Cararo dall'altro, quindi, si propongono lo stesso scopo,
sia pure verso interlocutori diversi: per Rampini, l'imperialismo
italiano, il suo Stato, il suo governo
che viene invitato, come
vuole la frazione della borghesia rappresentata da Repubblica, a
stabilizzarsi all'interno e a rafforzare il suo legame con la
Germania; per Cararo, e la piattaforma Eurostop, di
fatto è
l'imperialismo italiano che viene
invitato a fare
in proprio liberandosi dell'egemonia tedesca e dell'euro.
Il
movimento di opposizione proletaria e antimperialista ha invece
un'altra strada da percorrere: colpire il nemico principale nella sua
crisi e nel suo smascheramento fascio-imperialista, su scala
internazionale e in ogni paese del mondo, sostenendo con forza le
lotte di liberazioni e le guerre popolari e, nel “ventre della
bestia”, gli Usa, sostenendo con forza la lotta rivoluzionaria e
antifascista e antimperialista; lottare per rovesciare il proprio
imperialismo, il proprio Stato il proprio governo – e questo vale
in Russia come in Cina, in Germania come in Italia.
In
questo senso alla manifestazione contro il
Vertice G7 abbiamo colto un sentire comune in questa direzione, sia
pure dentro le illusioni pacifiste e la non consapevolezza che per
tradurre in fatti le parole d'ordine sviluppate nella manifestazione
serve necessariamente il Partito comunista rivoluzionario, il fronte
unito popolare, la forza per combattere lo Stato di polizia, moderno
fascista che è il cemento programmatico oggi del decreto Minniti,
visto all'opera.
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