Il G7
dei grandi è fallito, l'anti/G7 dei “piccoli” è sostanzialmente
riuscito. Questo è il giudizio di fondo da cui bisogna partire, se
si vuol dare una valutazione serena e precisa su quello che è
avvenuto nell'asse Taormina-Giardini Naxos.
La
nostra parola d'ordine, che sin dal primo momento abbiamo portato in
tutte le forme e in tutti i luoghi in cui siamo riusciti ad essere, è
stata “rompiamo la vetrina dell'imperialismo”. Una parola
d'ordine elaborata nella linea generale di proletari comunisti dai
compagni di Palermo che avevano un ruolo di trincea rispetto a questa
mobilitazione. E questo è avvenuto, come lo stesso comunicato
finale, che pubblichiamo, degli organizzatori del corteo ha rilevato.
Per
essere sereni, la prima rottura l'ha prodotta lo Stato imperialista
italiano che in maniera un po' strumentale, ma anche prendendolo sul
serio, ha scatenato la più clamorosa, finora, campagna di
criminalizzazione preventiva a cui il nostro paese abbia assistito –
ricordando in tante forme quelle del famigerato G8 del 2001 a Genova,
solo che qui la prevenzione è stata molto più determinata da parte
dello Stato, perchè si è concentrata nel voler impedire la
realizzazione di ogni manifestazione, anche la più innocua e di
impedire l'arrivo materiale alla manifestazione.
In
questa maniera, lo Stato imperialista non ha fatto altro che auto
affermare che il G7 era una fortezza assediata, che i 7 erano davvero
7, che bisognava preservare anche da una scritta o da una protesta
simbolica. Sono arrivati quindi a sequestrare Taormina e i Giardini
Naxos e a mettere i loro check point sin dalla Calabria.
Ma,
come dice Marx, quando il potere borghese vede in ogni stormir di
fronda un pericolo, allora ogni stormir di fronda diventa un
pericolo.
Tenacemente
l'opposizione al G7, quella sul territorio e quella che dalle altre
città l'ha sostenuta, ha resistito e ha reagito, in questa
condizione in certi momenti allucinante – a Taormina non si poteva
entrare, anzi gli stessi abitanti dovevano o uscire o considerarsi
'prigionieri in casa', ai Giardini Naxos il sindaco ha ordinato di
chiudere tutto, quasi a voler desertificare la città e prendere per
fame i manifestanti considerati tout court “terroristi”, “sfascia
vetrine” (uno slogan ironico gridato da gruppi di giovani diceva:
“ci credevate terroristi siam meglio dei turisti” - ed è
arrivata a migliaia ai Giardini Naxos, superando controlli, posti di
blocco e ogni tipo di intimidazione. E si è presa prima il
concentramento, in un clima di allegria, combattivo, ognuno che
arrivava veniva accolto dall'entusiasmo e portava entusiasmo, il
concentramento si è riempito di rosso e i manifestanti si sono fusi
comunque in un tutt'uno, aspettando che i compagni fermati
arrivassero; poi ha dato vita a quel lungo serpentone che si è
ripreso Giardini Naxos e che ha chiamato la popolazione a partecipare
dai lati, dai balconbi, entrando nel corteo, esprimendo in tutti i
microfoni che gli venivano posti dallo sterminato esercito di
giornalisti, operatori, fotografi, tutta la propria solidarietà ai
manifestanti e tutta la propria denuncia, per mille e svariati
motivi, del G7, dei sindaci, dei politici e di tutta l'oscena
accozzaglia che da Roma a Giardini aveva vessato, violentato,
imperversato fino alla manifestazione.
E
così a Giardini i 7 sono diventati ridicoli, impegnati a scannarsi
di parole, mentre le grottesche mogli davano tutta l'immagine della
“Grande bellezza” Sorrentino style.
Mentre il corteo strada facendo guadagnava entusiasmo, il camion alla testa fondeva bene musica, slogan e un'infinità di interventi, ognuno dei quali aggiungeva una parola di denuncia, portava la sua lotta e si armonizzava.
Mentre il corteo strada facendo guadagnava entusiasmo, il camion alla testa fondeva bene musica, slogan e un'infinità di interventi, ognuno dei quali aggiungeva una parola di denuncia, portava la sua lotta e si armonizzava.
In
questo spiccava il contingente maoista, che con striscioni e parole
d'ordini portati da una fusione proletaria, femminista,
rivoluzionaria, dava il senso di questa manifestazione,
Era
del tutto naturale che questo corteo non potesse, non si dovesse
fermare laddove la sbirraglia di Minniti lo voleva bloccato, e che
comunque una parte della manifestazione, quella più viva, quella più
determinata e anche, permetteteci di dire, quella più organizzata
allo scopo, mentalmente attrezzata, non ci stesse a non dare un
segnale che i divieti non vanno accettati ma vanno sfidati con
coraggio e autodeterminazione, facendo il passo necessario perchè si
restasse comunque avanguardia di tutta la manifestazione, perchè
tutti vi hanno partecipato allo scopo di rendere forte l'opposizione.
Certo
che l'ultima sfida è quella che segna il tempo, perchè non è solo
una conclusione, ma un'indicazione su come combattere lo stato di
cose esistente nel tempo del fascio-imperialismo, da Trump a Minniti,
il segno del tempo che loro hanno torto e noi ragione, e che è
necessaria la forza per affermare le ragioni e i diritti dei
proletari, dei popoli, da Taormina al Medio Oriente, all'America
Latina, dal cuore dei paesi imperialisti alla Turchia, all'India,
ecc.
Un
altro mondo è possibile! Oggi più che mai dobbiamo fare nostra
questa parola d'ordine. E dall'arma della critica di questo mondo,
impugnata a Giardini Naxos, così esemplarmente rappresentato dal G7
di Taormina, occorre passare alla critica delle armi impugnata dai
proletari e dalle masse.
ANCHE
QUESTO E' POSSIBILE E NECESSARIO ED E' SCIENTIFICAMENTE INEVITABILE!
NOTA AGGIUNTIVA
Noi
l'abbiamo detto fin dall'inizio: chi nel nostro campo non è venuto è
un opportunista di destra o al massimo un opportunista di sinistra.
La sfida di Taormina andava accettata. Nessuno può giustificarsi né
con le lotte che vi erano nel proprio territorio né per il fatto di
aver partecipato al proprio piccolo “Vertice” in casa.
Ma
come, compagni, il G7, lo Stato, Minniti ci sfida e noi rispondiamo:
“ma quante glien'è abbiamo dette!” - come nella scenetta di
Totò?
Certo
Taormina è lontana, portare in quelle condizioni compagni, proletari
è difficile, costoso. Ma era quello da fare. I compagni siciliani e
i compagni che si sono organizzati per andarci non potevano essere
lasciati soli. Non esiste che quando c'è la propria lotta, ,
si chiami a
raccolta, e quando la sfida è difficile e complessa, quando c'è il
conflitto che non sia il proprio, si diserta.
E che
una diserzione opportunista sia stata è chiaramente evidenziata dal
fatto che nella maggiorparte dei casi non ci si è posti neanche
l'idea di esserci, si è dato per scontato che non si poteva esserci.
Pensate
se da tutte le città avessimo provato, in centinaia in qualche
occasione in decine in altre, ad esserci, quante sfide avremmo
portato e affrontato insieme su tutto il territorio nazionale e dove
sarebbe finito il piano Minniti, bersagliato nei fatti in ogni
territorio del nostro paese. Non è stato fatto per pochezza politica
e opportunismo pratico. E per varie realtà per paura della
repressione.
Chi a
Taormina ci voleva andare ci è arrivato, e questo lo possono
testimoniare alcune centinaia di compagni che dalle altre città non
siciliane c'erano.
Un
velo pietoso va steso verso quei compagni inclini al verbalismo
rivoluzionario, al lancio di campagne ma che poi in occasioni come
queste non li trovi.
Abbiamo
imparato a conoscere in questi anni a volte pacifisti coerenti che
non demordono, sia pur nei limiti della loro concezione e visione;
questi meritano più rispetto di numerosi antagonisti e rivoluzionari
a parole.
A
Taormina non si partecipa per delega, non si manda come “messo
imperiale” il proprio rappresentante a parlare, come alcuni
sindacati di base e associazioni hanno fatto, non si strilla
“sciopero generale” e poi non si organizza una rappresentanza
reale di lavoratori.
Onore
a chi c'era, vergogna per chi non c'era. Tutto il resto sono parole.
Infine,
compagni, e questo vale anche per chi alla manifestazione c'era, i
comunisti e i partiti comunisti non sono quelli della domenica che
col vestito buono si presentano imbandierati alle manifestazioni; le
bandiere rosse ci vogliono ma devono essere usate come “armi”
laddove il conflitto si accende, laddove hanno ragione di stare, di
rappresentare la rottura, la ribellione, la prospettiva della
rivoluzione.
Allora,
per cortesia, non si gridano parole roboanti quando il tutto ha il
solo fine di esistere sulla “scheda”.
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