Perù, morto un poliziotto durante gli scontri a Tia Maria: il governo invia l'esercito
Il
governo peruviano ha ufficialmente preso la decisione di schierare
l'esercito nella valle del Tambo, dove dallo scorso 23 marzo è in corso
uno sciopero ad oltranza contro la realizzazione del maxi progetto
minerario Tia Maria; dall'inizio delle proteste - che i responsabili
della multinazionale messicana Southern Copper (prima azienda
sostenitrice del progetto minerario) hanno bollato come “terroristiche”
sostenendo che chi si oppone al progetto è un erede di Sendero Luminoso –
sono già stati uccisi due manifestanti, colpiti dai proiettili sparati dalla polizia.
Sono oltre 200 i feriti gravi in 50 giorni di protesta contro la costruzione della nuova miniera a cielo aperto che si servirà dell’acqua che viene utilizzata per l’agricoltura da migliaia di contadini della valle; in oltre un mese di mobilitazione gli agricoltori hanno raccolto la solidarietà dei lavoratori edili, degli insegnanti e della popolazione di Arequipa, oltre che di tre sindaci locali.
Nella giornata di sabato un funzionario del ministero degli Interni ha invece riferito che un agente di polizia sarebbe deceduto in seguito ad uno scontro con i menifestanti; secondo le ricostruzioni degli agenti, mercoledì scorso circa 300 persone avrebbero circondato un gruppo di 50 poliziotti che stavano tentando di rimuovere alcuni massi da una strada. I manifestanti avrebbero quindi allontanato gli agenti con l'aiuto di pietre e bastoni: quattro ufficiali sono quindi stati portati negli ospedali di
Arequipa riportando gravi lesioni e uno di questi, in coma, sarebbe poi morto sabato.
In seguito alla notizia il Presidente della Repubblica, Ollanta Humala, ha quindi autorizzando l'intervento delle forze armate nella provincia di Islay; secondo la risoluzione, l'intervento delle forze armate (esercito del Perù, Marina e aeronautica) sarà in vigore fino al 7 giugno, al fine di “garantire il controllo e il mantenimento dell'ordine interno e di evitare la violenza che si potrebbe commettere durante le mobilitazioni e qualsiasi atto di vandalismo”. Nel provvedimento si sottolinea che le prestazioni delle forze armate avranno il compito di “sostenere” la missione della polizia nazionale, già presente in forze nel Tambo con oltre 2000 uomini impegnati quotidianamente. Il governo ha poi fatto sapere in maniera esplicita che i diritti costituzionali non sarà garantiti per tutta la durata dell'operazione militare, dal momento che verrà dichiarato lo stato di emergenza.
Sono oltre 200 i feriti gravi in 50 giorni di protesta contro la costruzione della nuova miniera a cielo aperto che si servirà dell’acqua che viene utilizzata per l’agricoltura da migliaia di contadini della valle; in oltre un mese di mobilitazione gli agricoltori hanno raccolto la solidarietà dei lavoratori edili, degli insegnanti e della popolazione di Arequipa, oltre che di tre sindaci locali.
Nella giornata di sabato un funzionario del ministero degli Interni ha invece riferito che un agente di polizia sarebbe deceduto in seguito ad uno scontro con i menifestanti; secondo le ricostruzioni degli agenti, mercoledì scorso circa 300 persone avrebbero circondato un gruppo di 50 poliziotti che stavano tentando di rimuovere alcuni massi da una strada. I manifestanti avrebbero quindi allontanato gli agenti con l'aiuto di pietre e bastoni: quattro ufficiali sono quindi stati portati negli ospedali di
Arequipa riportando gravi lesioni e uno di questi, in coma, sarebbe poi morto sabato.
In seguito alla notizia il Presidente della Repubblica, Ollanta Humala, ha quindi autorizzando l'intervento delle forze armate nella provincia di Islay; secondo la risoluzione, l'intervento delle forze armate (esercito del Perù, Marina e aeronautica) sarà in vigore fino al 7 giugno, al fine di “garantire il controllo e il mantenimento dell'ordine interno e di evitare la violenza che si potrebbe commettere durante le mobilitazioni e qualsiasi atto di vandalismo”. Nel provvedimento si sottolinea che le prestazioni delle forze armate avranno il compito di “sostenere” la missione della polizia nazionale, già presente in forze nel Tambo con oltre 2000 uomini impegnati quotidianamente. Il governo ha poi fatto sapere in maniera esplicita che i diritti costituzionali non sarà garantiti per tutta la durata dell'operazione militare, dal momento che verrà dichiarato lo stato di emergenza.
Perù. Proteste contro l’arrivo delle truppe statunitensi
proteste hanno accolto lo scorso 19 agosto l’annunciato dispiegamento in Perù di 3200 militari statunitensi rispetto ai 125 attualmente presenti nel paese sudamericano. L’arrivo delle truppe di Washington è atteso per il primo settembre prossimo, e secondo quanto riferito dai comandi militari statunitensi il vasto dispositivo militare straniero dovrebbe rimanere nel paese solo pochi giorni.
Sono in molti a pensare che l’operazione rappresenti una prima testa di ponte per piazzare in un territorio strategico una vasta e permanente presenza militare di Washington.
La marcia più consistente ha percorso le strade di Lima, sfilando dalla centrale Piazza San Martin fino alla sede dell’ambasciata degli Stati Uniti, denunciando quella che considera una vera e propria occupazione militare visto che i soldati di Washington saranno accompagnati da navi da guerra, caccia, elicotteri da ricognizione e combattimento e armamento pesante. Una ‘dotazione’ e un numero di soldati che stride con le dichiarazioni ufficiali del Pentagono e dello stesso governo peruviano, secondo cui il massiccio dispiegamento sarebbe da giustificare con la necessità di aumentare il contrasto nei confronti del narcotraffico. Oltretutto la decisione cozza con quanto affermato a marzo dal segretario generale dell’Unione delle Nazioni Sudamericane, Ernesto Samper, il quale ha proposto l’eliminazione di tutte le basi militari degli Stati Uniti ancora presenti nel territorio del subcontinente, affermando che si tratta ormai di un retaggio “dell’epoca della guerra fredda”.
il 19 agosto è partita una lunga serie di mobilitazioni popolari contro “l’invasione della soldataglia nordamericana”. “Rigettiamo questa presenza e chi l’ha autorizzata come il governo traditore e il Congresso che attualmente non rappresenta nessuna; che si sappia che questa lotta per il rispetto della nostra sovranità comincia solo ora” ha tuonato Guillermo Bermejo, a nome del coordinamento Agorà Popular. La prossima manifestazione è stata già convocata per il Primo Settembre, giorno dello sbarco delle truppe nordamericane sul suolo peruviano
La marcia più consistente ha percorso le strade di Lima, sfilando dalla centrale Piazza San Martin fino alla sede dell’ambasciata degli Stati Uniti, denunciando quella che considera una vera e propria occupazione militare visto che i soldati di Washington saranno accompagnati da navi da guerra, caccia, elicotteri da ricognizione e combattimento e armamento pesante. Una ‘dotazione’ e un numero di soldati che stride con le dichiarazioni ufficiali del Pentagono e dello stesso governo peruviano, secondo cui il massiccio dispiegamento sarebbe da giustificare con la necessità di aumentare il contrasto nei confronti del narcotraffico. Oltretutto la decisione cozza con quanto affermato a marzo dal segretario generale dell’Unione delle Nazioni Sudamericane, Ernesto Samper, il quale ha proposto l’eliminazione di tutte le basi militari degli Stati Uniti ancora presenti nel territorio del subcontinente, affermando che si tratta ormai di un retaggio “dell’epoca della guerra fredda”.
il 19 agosto è partita una lunga serie di mobilitazioni popolari contro “l’invasione della soldataglia nordamericana”. “Rigettiamo questa presenza e chi l’ha autorizzata come il governo traditore e il Congresso che attualmente non rappresenta nessuna; che si sappia che questa lotta per il rispetto della nostra sovranità comincia solo ora” ha tuonato Guillermo Bermejo, a nome del coordinamento Agorà Popular. La prossima manifestazione è stata già convocata per il Primo Settembre, giorno dello sbarco delle truppe nordamericane sul suolo peruviano
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