La guerra del PD ai “nostri”: le questioni casa e lavoro nel laboratorio Toscana Clash City Workers
(PD) di attacco alle condizioni di vita
dei proletari dalla questione abitativa a quella del lavoro, dai
tirocini al “riordino delle province”.
Cosa succede nella lotta per la casa?
Il 18 e 19 ottobre 2013 sono state due
giornate importantissime per il movimento italiano e per una parte del
sindacalismo di base. In particolare, il 19 ottobre è stata la giornata
che ha contribuito a portare all'attenzione nazionale la gravissima
emergenza abitativa del nostro paese. Una data che è stata il prodotto
di anni di sfratti, sgomberi, denunce e disperazione, ma anche di
resistenza, di organizzazione, di occupazioni e opposizione a migliaia
di sfratti in tutta Italia.
Già a quel tempo la risposta del PD ai
militanti e agli occupanti che sollevavano un problema così grave, non
fu la presa d'atto dell'emergenza casa e il tentativo di affrontare il
problema, ma un vero e proprio attacco mediatico e repressivo ai
movimenti di lotta per la casa di tutta Italia.
Il 28 marzo 2014 il governo varava il
“Piano casa”, una legge tutta volta a far ripartire il mercato delle
costruzioni e a facilitare l'accensione di nuovi mutui, per la gioia di
costruttori edili e banche. L'emergenza abitativa era “affrontata” solo
all'articolo 5 con una vera e propria dichiarazione di guerra alle
occupazioni abitative—l’unica risposta a cui i proletari possono far
affidamento vista la volontà del governo di non intervenire per
risolvere la carenza di case popolari, la lentezza delle procedure di
assegnazione delle stesse e l'inefficienza delle strutture pubbliche.
L'articolo 5 vieta infatti la
possibilità di ottenere la residenza in uno stabile occupato e
l'allacciamento legale alle utenze dei servizi primari (acqua, luce e
gas). Un vero e proprio attacco alle condizioni di vita dei più
sfruttati, giustificato dal constante blaterare sull’“estrema necessità
di ripristinare la legalità”, anche se ripristinare la legalità
significa solo difendere la proprietà privata (di costruttori e banche)
calpestando il diritto di ogni essere umano ad avere un tetto sopra la
testa. Un diritto ancor più fondamentale in tempo di licenziamenti
facili, quando ci si può ritrovare da un giorno all’altro senza salario,
e quindi senza possibilità di pagare le rate del mutuo, o l’affitto.
Qui il testo:
La linea repressiva del Partito
Democratico sull'emergenza abitativa non è mai cambiata. Anzi abbiamo
assistito a Firenze all’inasprimento di questa posizione, con il
conseguente aggravamento dell'emergenza abitativa e l’aumento della
tensione sociale in città.
Questo clima è reso ancora più
opprimente dal ruolo che i media ricoprono in questo momento. Ormai da
mesi sui giornali e le televisioni locali è in atto, infatti, una vera e
propria campagna diffamatoria contro le occupazioni abitative
commissionata, secondo le parole di un giornalista, dal PD fiorentino.
Dichiarazioni del tipo “non saranno mai più tollerate nuove
occupazioni”, “la legalità va assolutamente ripristinata”, “Comune e
Regione si stanno occupando del problema, quindi occupare è
intollerabile” sono costantemente pubblicate sui giornali a fianco a
lunghi articoli di cronaca in sezioni che alcuni quotidiano hanno
intitolato senza tanti giri di parole “Lotta al degrado” o simili.
L’esempio più recente è il ridicolo accostamento del Movimento di lotta per la casa all’ISIS. Agli
occhi del lettore distratto, l’equazione “occupazione di case=degrado”
diventa così un accostamento quasi istintivo che lo spinge a legittimare
più facilmente l’attacco politico in corso al Movimento di Lotta per la
casa.
La strategia è chiaramente
quella di creare un clima di avversità intorno alle occupazioni a scopo
abitativo che generi un terreno fertile per giustificare un aggravamento
esponenziale della linea repressiva e l'approvazione della Legge
regionale sulla casa. Una linea irresponsabile e violenta del
PD, che ignora volutamente il fatto che a Firenze ci siano circa 100
sfratti al mese, 11 mila case sfitte, 3000 famiglie che aspettano (e
chissà per quanti anni ancora) di ottenere l'alloggio popolare. Tutto
questo accade mentre un fiume di finanziamenti pubblici viene trasferito
nelle casse delle strutture di “accoglienza”, strutture inadeguate e
inopportune (vogliamo case, non essere trattati da minorati!) che
comunque non offrono che brevi periodi di permanenza, dopo i quali i
torna al punto di partenza (la strada).
Ma la situazione fin qui descritta non è
poi così diversa dalle moltissime altre città in Italia in cui si vive
l’emergenza abitativa. Ciò che fa di Firenze, e della Toscana più in
generale, un laboratorio privilegiato per la repressione dei movimenti
per la casa è l’iniziativa legislativa del governo regionale e in
particolare dell’assessore alle politiche sociali e vice presidente
regionale Stefania Saccardi (PD).
La Legge regionale Saccardi
" Ci sono alcuni capisaldi di fronte
a cui non vogliamo indietreggiare: niente case dunque a chi le occupa
illegalmente o per chi ha redditi oltre certi limiti guardando anche ai
depositi in banca, nessun alloggio a chi ha altre proprietà e magari una
casa al mare o la Porsche". Stefania Saccardi, vice presidente della
Regione Toscana
Questo è il retroterra che ha prodotto la legge regionale sulla casa che verrà discussa in Consiglio Regionale il 10 marzo: chi occupa le case lo fa perché è un furbetto.
Un’analisi totalmente irreale, volta a giustificare all'opinione
pubblica una legge che di fatto cancella il diritto alla casa in
Toscana, mentre si svende il patrimonio pubblico e si aumentano i fondi
per la morosità, così da trasferire flussi di denaro pubblico nelle
tasche dei privati che affittano case.
Consigliamo questo articolo che analizza per punti la proposta di Legge regionale sulla casa:
Gli sgomberi di mercoledì 4 marzo 2015
Mercoledì il quartiere di Novoli si
sveglia completamente militarizzato. In poco più di un'ora sono stati
eseguiti due sgomberi, quelli delle occupazioni abitative di via Baracca
18 e di via Benedetto Marcello. Un numero impressionante di
agenti, circa 15 camionette più svariate volanti vengono impiegati per
sbattere in strada 150 persone, di cui 30 sono bambini. Gli
agenti sono entrati nelle occupazioni a manganelli spianati, camera per
camera. Tutto il quartiere è stato militarizzato, mandando il traffico
in tilt. La richiesta degli sgomberi—questa volta—non proviene dalla
proprietà (banche e agenzie immobiliari) che non usa da anni quegli
edifici, preferendo lasciarli in stato di abbandono per future
speculazioni, ma dalle istituzioni (prefetto e amministrazione
comunale). Chi finisce in strada rifiuta la “soluzione” offerta dai
servizi sociali consistente nello smembramento delle famiglie e nella
“permanenza” per soli tre mesi in una struttura d’accoglienza, per poi
tornare di nuovo sulla strada. In sostanza il Comune sgombera senza
fornire soluzioni alternative.
È un vero e proprio attacco politico al Movimento di lotta per la casa fiorentino e a tutte le occupazioni,
che colpisce famiglie e individui indigenti che hanno scelto di
organizzarsi e rivendicare un diritto, piuttosto che essere relegate
alla marginalità e alla solitudine. Un attacco in perfetta continuità
con le politiche portate avanti a livello nazionale dal Governo Renzi,
basate sulla disarticolazione delle organizzazioni dei “nostri”, di chi
cioè è costretto per vivere a vendere la propria forza lavoro e il
proprio tempo in cambio di un salario, un attacco che si rivolge tanto
all’organizzazione sindacale e politica sui posti di lavoro, tanto a chi
si organizza nei quartieri per recuperare ad un uso abitativo enormi
proprietà colpevolmente sfitte.
L'assessore comunale alla Casa, Sara
Funaro, si fa intervistare sui giornali, rilasciando dichiarazioni che
farebbero invidia alla Lega Nord, “Voglio far presente che proprio oggi (8 marzo 2015, ndr)
c’è stato uno sgombero di un fabbricato occupato: si tratta del quinto
sgombero in sette mesi, cui si aggiunge il recupero di quindici alloggi
Erp occupati abusivamente negli ultimi tre mesi. Praticamente quasi uno
sgombero al mese”. E ancora, “siamo il partito dei fatti e non delle parole. Abbiamo detto che non tolleriamo le occupazioni e lo abbiamo dimostrato”.
La Digos intanto fa sapere che la linea scelta dal Prefetto è molto chiara: ogni nuova occupazione, due sgomberi.
Un corteo cittadino ha raggiunto e
“sanzionato” la sede regionale del PD di Novoli, perché a tutti è chiaro
il mandante politico di questo abominio. In serata il PD incassa
perfino la solidarietà dei fascisti di Casapound Firenze.
La degna conclusione di una giornata campale contro i più sfruttati:
proletari che assaltano la sede del PD e i fascisti che prodigano parole
di solidarietà, 150 persone senza casa, la tensione alle stelle.
Dalla casa al lavoro, qual è la politica del PD?
Il PD toscano, con in testa il
Governatore Rossi, non ha esitato a fare propria l’impostazione del
Governo Renzi in materia di lavoro. Da un punto di vista
propagandistico, Rossi ha dovuto in prima battuta riconoscere che la
libertà di licenziamento è pericolosa. D’altronde, sarebbe difficile
affermare il contrario in fase di competizione elettorale data
l’impopolarità che il PD sta riscuotendo in tema di Jobs Act e
abolizione dell’art.18 (leggi qui).
Tuttavia, nel passaggio successivo, il
Governatore non esita a riproporre e rafforzare la propaganda renziana
che contrappone i “vecchi garantiti ai giovani precari”. Il programma
elettorale del PD toscano, infatti, ribadisce con forza che la strada
per la crescita passa attraverso l’abolizione dei diritti:
“Dobbiamo “rottamare” per sempre una
visione anacronistica del tema del lavoro, ancorata a schemi del
passato e ormai inattuali: abbiamo bisogno di più occupazione e di meno
ideologia. Il “Jobs act” offre ai neoassunti una reale e concreta
possibilità di un contratto a tempo indeterminato e nuovi più moderni
ammortizzatori sociali. Dobbiamo essere i primi in Italia a sperimentare
nuove politiche attive del lavoro che producano conoscenza e nuova
occupazione.”
È forse il caso di soffermarsi su quest’affermazione del PD toscano che viene riproposta spesso, quasi fosse un mantra: “DOBBIAMO ESSERE I PRIMI”.
E ci chiediamo: “Primi in cosa?” Primi
nell’applicazione e sperimentazione delle politiche del Governo a
livello regionale e in “salsa toscana”, ossia condite con tutti gli
elementi retorici di una tradizione di “sinistra”, utili solo a far
digerire un boccone altrimenti ancora più indigesto.
Sul fronte del lavoro, infatti, il PD
toscano sta spingendo verso un’ulteriore compressione dei salari e dei
diritti attraverso le seguenti misure:
- Creazione dell’Agenzia per il lavoro, politiche attive e riordino delle province
- Salario accessorio dei dipendenti pubblici, esternalizzazioni dei servizi pubblici e gestione degli appalti con gare a ribasso
- Tirocini retribuiti in parte dalla Regione per abbassare il costo del lavoro a favore delle imprese e a carico dei contribuenti, cioè principalmente dei lavoratori
- Salario accessorio dei dipendenti pubblici, esternalizzazioni dei servizi pubblici e gestione degli appalti con gare a ribasso
- Tirocini retribuiti in parte dalla Regione per abbassare il costo del lavoro a favore delle imprese e a carico dei contribuenti, cioè principalmente dei lavoratori
Creazione dell’Agenzia per il lavoro, politiche attive e riordino delle province
La Regione Toscana è la prima regione in
Italia ad aver dato attuazione alla Legge Delrio 56/14 di riordino
delle funzioni provinciali. Com’è noto, sulla spinta propagandistica
della “riduzione dei costi della politica” e dell’ “abolizione dei
livelli di governo”, Renzi decise di riorganizzare le province (in
attesa della riforma costituzionale che dovrebbe abolire completamente
quest’ente), attribuendo alle regioni il compito di redistribuire le
funzioni esercitate dalle province e di ricollocare il relativo
personale. Con la Legge di stabilità poi, il Governo ha tagliato
ulteriormente i trasferimenti statali alle Province e ha aperto la
strada a circa 20.000 esuberi, riducendo della metà la dotazione
organica delle province, cosa che ha ovviamente scatenato proteste in
tutta Italia (Torino, Firenze).
La Regione Toscana, avendo approvato tale legge di riordino (L.r. 22/15)
sarà la prima ad avviare le procedure di riorganizzazione del personale
provinciale con conseguente trasferimento di lavoratori dalle Province
alla Regione e ai Comuni, e sarà quindi la prima a determinare
il restante “soprannumerario”, ossia il personale che verrà dichiarato
in esubero e sarà costretto a seguire le procedure di mobilità previste
dal legislatore nazionale.
Il personale in esubero delle Province
dovrà essere ricollocato in primo luogo dalla Regione e dagli Enti
locali che hanno “spazi assunzionali”. Questo oltre a determinare nei
prossimi anni un ulteriore blocco dei concorsi (già limitati dai blocchi
del turnover), sta scatenando già oggi una corsa alle “dichiarazioni di
autosufficienza”. Cioè, per evitare di assorbire il personale in
esubero proveniente dalle Province, gli Enti locali stanno serrando le
fila, chiudendo la porta in faccia ai lavoratori delle Province in
dismissione. La Regione, in primis, sta operando una riorganizzazione
interna, individuando quel personale in esubero che potrà andare in
pensione con i requisiti precedenti all’entrata in vigore della legge
Fornero (leggi qui).
Inoltre, la Regione Toscana ha colto la
palla al balzo, attribuendosi le funzioni (ex provinciali) relative al
mercato del lavoro, con l’obiettivo di istituire un’Agenzia regionale
del lavoro (di cui parleremo più sotto) in grado di assorbire gli
attuali Centri per l’impiego e applicare le cosiddette politiche attive
(leggi qui).
Nel programma del PD per le imminenti elezioni regionali di maggio, non si fa mistero della volontà di: “Inaugurare
una reale convergenza fra gli interventi volti al sostegno dei redditi
in favore dei disoccupati, e le politiche del lavoro attive, dunque
funzionali a favorire il reinserimento dei disoccupati nel mondo del
lavoro”. In sostanza, quando si parla di convergenza tra il
sostegno al reddito e il reinserimento nel mondo del lavoro, s’intende
l’istituzione di uno strumento che subordini il sussidio di
disoccupazione alla ricerca/accettazione di un nuovo posto di lavoro...
ma a quali condizioni?!
Salario accessorio dei dipendenti pubblici, esternalizzazioni dei servizi pubblici e gestione degli appalti con gare a ribasso
Per quanto riguarda i lavoratori
impiegati nel settore pubblico, la politica applicata dal PD locale
consiste essenzialmente nel mettere uno contro l’altro lavoratori
strutturati—quelli cioè, assunti direttamente dall’ente pubblico—,
lavoratori in appalto, volontari, e tirocinanti, generando in questo
modo una guerra tra poveri, col solo scopo di comprimere i salari e
peggiorare le condizioni di lavoro. Se sul fronte dei lavoratori
direttamente impiegati dalle amministrazioni locali, si gioca una battaglia volta a ridurre il salario accessorio—com’è
successo in primis nel Comune di Firenze—sul fronte dei servizi
esternalizzati si mettono in discussione i vincoli contrattuali ad ogni
cambio appalto – il tutto a vantaggio delle cooperative e in barba al peggioramento delle condizioni di lavoro e della qualità di servizi teoricamente pubblici.
Per fare solo alcuni esempi, quello che accade oggi ai lavoratori in
appalto dei musei civici, è avvenuto prima ancora agli operatori delle
biblioteche e avverrà probabilmente tra un paio d’anni ai dipendenti
degli infopoint. Le responsabilità sono, ancora una volta, politiche, dato
che l’amministrazione avrebbe la facoltà di inserire la clausola
sociale nei nuovi bandi di appalto, che garantirebbe lo stesso numero di
occupati e un contratto nazionale di riferimento, ma si rifiuta
ostinatamente di farlo (leggi qui).
Infine, le amministrazioni, pur di
ridurre ulteriormente i costi del servizio a danno di utenti e
lavoratori, locali stanno provando ad utilizzare anche il volontariato
per ridurre il costo del lavoro, accogliendo le linee guida nazionali
sulla riforma del terzo settore (leggi qui).
Qui in Toscana è stata data concretezza a questi dettami attraverso una
seri di accordi con le associazioni di volontariato che di fatto
affidano la gestione di “pezzi di welfare” ai privati (leggi qui).
Tirocini retribuiti in parte dalla Regione per abbassare il costo del lavoro a favore delle imprese
Sul Programma Giovanisì—quello, per
intendersi, che istituisce i tirocini retribuiti al 50% dalla Regione
Toscana—rimandiamo a questo articolo, http://clashcityworkers.org/lotte/cassetta-degli-attrezzi/770-tirocini-abbassamento-costo-lavoro.html, e più in generale al Dossier realizzato dai collettivi universitari fioreniti: http://www.mediafire.com/view/23ju54ci3dh3u5l/dossier%20tirocini.pdf
Qui, in sintesi, ci preme solo ricordare
che anche sul fronte tirocini la Regione ha scelto di contribuire
all’abbassamento del costo del lavoro (salario e diritti) regalando alle
imprese “tirocinanti a metà prezzo”, in modo tale che una ditta prima
di assumere un lavoratore a costo pieno potrà far affidamento su un
“giovane in saldo al 50%”!
Conclusioni
Quello che il PD in Toscana sta conducendo è un
attacco sferrato in primo luogo contro le classi subalterne, contro i
“nostri”, cioè chi è costantemente esposto al rischio di perdere il
lavoro o di non riuscire a trovarlo ritrovandosi senza un reddito, e
quindi di non poter più permettersi un affitto o di pagare il mutuo. Un attacco, tuttavia, occultato sapientemente e teso a dividerci, attraverso l’utilizzo di una retorica mistificante.
Un attacco diretto unicamente a metterci gli uni contro gli altri.
Il Jobs Act fa perno
sulla retorica distorta che un peggioramento delle condizioni dei già
assunti “vecchi e privilegiati” favorirebbe l’assunzione dei nuovi
lavoratori “giovani e precari”. Ma grazie ad alcune lotte emblematiche,
come quella dei lavoratori Eataly di Firenze,
è stato dimostrato cosa significhino nella realtà il modello Renzi e il
laboratorio Regione Toscana , ovvero un abbassamento generalizzato
delle condizioni di lavoro e una istituzionalizzazione della precarietà
per tutti.
È grazie alla stessa
mistificazione, alla stessa retorica che vorrebbe mettere i proletari
gli uni contro gli altri, che le occupazioni delle case sfitte sono oggi
sotto attacco. Seguendo questa logica meschina, l’Assessore
regionale Saccardi ha accostato, per esempio, chi evade per fare più
profitti a chi occupa le case perché non ha un salario.
In assenza di una risposta popolare forte e generale che chiarisca le ragioni dei “nostri” sono
tanti coloro che prima ancora di subire una carica della Polizia in
piazza, sono colpiti a suon di menzogne televisive e giornalistiche.
Persone che pagano un affitto o il mutuo, o sono sottoposte al medesimo
ricatto di perdere il lavoro, o hanno subito la perdita di una parte
del salario, o ancora hanno subito in silenzio l’allungamento della
giornata lavorativa, “perché i tempi lo richiedono”.
Se nel laboratorio Toscana come
nel resto del paese, questo è il modo in cui la questione del lavoro e
della casa sono gestite dal PD, non possiamo non prendere atto della
messa in discussione definitiva dei vecchi metodi “concertativi”,
mediati in primo luogo dai sindacati confederali – ma non solo – che pur di ottenere la pace sociale e l’isolamento delle vertenze, riuscivano in cambio a distribuire qualche briciola ai “nostri”, cedendo molto per ottenere molto poco.
Sembra arrivato il tempo dell’attacco
frontale, con un Governo che rifiuta di sedersi al tavolo di trattativa
con il sindacato più grande d'Italia e cancella con un colpo di mano i
risultati di decenni di lotte sul lavoro, simboleggiati dall’articolo
18. Questo atteggiamento è lo stesso che gli occupanti di
Firenze hanno ritrovato la mattina del 4 marzo, fin dentro le loro
stanze e la loro intimità, perché il Comune e la Prefettura avevano
deciso per una dimostrazione muscolare, arrivando a “chiudere” un intero
quartiere popolare pur di recuperare due stabili alla speculazione e
gettare per la strada 150 persone.
Non è possibile allora piegarsi alla trattativa,
che in assenza di una concreta capacità di incidere nei rapporti reali
significherebbe una resa più o meno incondizionata. Non è più possibile,
in questa situazione, come purtroppo stanno facendo le dirigenze della
CGIL, cercare di restare a galla e aspettare che la bufera passi.
Bisogna invece dotarsi di una strategia di lotta per riunificare quelle
forze che ora sono divise, disorientate, e che rischiano di restare
schiacciate da una gestione delle emergenze sociali a dir poco
criminale. Forze che se non organizzate e orientate rischiano di essere
raccolte dal populista destrorso di turno à la Salvini o peggio ancora, come rischia di accadere in Grecia, à la Alba Dorata.
In primo luogo, tornando a quanto
successo cinque giorni fa a Novoli, è opportuno dotarsi nell'immediato
di parole d'ordine unificanti: dire, ad esempio, che i soldi per l'edilizia popolare ci sono,
sono quei 140 miliardi di evasione fiscale annui detenuti soprattutto
dalle grandi concentrazioni di capitali e non nel tabaccaio che non fa
lo scontrino; sono il debito pubblico pagato dai noi, dai contribuenti,
alle stesse banche che abbiamo contribuito a salvare; sono nelle
continue sovvenzioni “per l'occupazione” che continuiamo a versare alla
grande industria, a partire da FIAT; sono nelle spese militari utili
solo a ingrassare le tasche dell’industria militare e a saccheggiare
paesi come la Libia producendo i disastri a cui in queste settimane
stiamo assistendo. Basterebbe espropriare e ristrutturare le grandi
proprietà abbandonate, mettendole al servizio della collettività per
dare una prima risposta all’emergenza abitativa del nostro paese.
Per rimettere al centro
di una nostra agenda politica questi obbiettivi, però, dobbiamo
necessariamente ripartire da esperienze virtuose, dalle lotte sociali e
dalle esperienze organizzative che hanno saputo parlare a tutti “i
nostri”: gli scioperi generali del 14 novembre e del 12
dicembre, le lotte nel settore della logistica nel Nord Italia, in cui
facchini e occupanti di case sono scesi in strada insieme, il coordinamento dei lavoratori e delle lavoratrici livornesi,
che ha chiuso importanti vertenze facendo leva sulla solidarietà tra
lavoratori, e che scenderà nuovamente in piazza il 18 aprile, con un programma politico.
Sono queste le strade da percorrere,
pena l'isolamento e il peggioramento sostanziale delle nostre condizioni
di lavoro e di vita.
10 MARZO, MANIFESTAZIONE CONTRO LA LEGGE SACCARDI SULLA CASA, CONTRO LA REPRESSIONE, ORE 14.30 PIAZZA SAN MARCO
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