Il 19 marzo 2011 iniziava infatti il bombardamento aeronavale della Libia: in 7 mesi, l’aviazione Usa/Nato effettuava 10mila missioni di attacco, con oltre 40mila bombe e missili; venivano finanziati e armati i settori tribali ostili al governo di Tripoli e gruppi islamici fino a pochi mesi prima definiti terroristi; venivano infiltrate in Libia anche forze speciali, tra cui migliaia di commandos qatariani. A questa guerra, sotto comando Usa tramite la Nato, partecipava l’Italia con basi e forze militari. Molteplici fattori rendevano la Libia importante per gli interessi statunitensi ed europei. Le riserve petrolifere – le maggiori dell’Africa, preziose per l’alta qualità e il basso costo di estrazione – e quelle di gas naturale, che rimanevano sotto il controllo dello Stato libico che concedeva alle compagnie straniere ristretti margini di guadagno; i fondi sovrani, ammontanti a circa 200 miliardi di dollari (spariti dopo la confisca), che lo Stato libico aveva investito all’estero e che in Africa avevano permesso di creare i primi organismi finanziari autonomi dell’Unione africana. E la posizione della Libia, all’intersezione tra Mediterraneo, Africa e Medio Oriente.
Sono stati dunque gli Usa e i maggiori alleati Nato — la Francia in primis — a finanziare, armare e addestrare in Libia nel 2011 gruppi islamici fino a poco prima definiti terroristi, tra cui i primi nuclei del futuro Is; a rifornirli di armi con una rete organizzata dalla Cia (documentata da un’inchiesta del New York Times) quando, dopo aver contribuito a rovesciare Gheddafi, sono passati in Siria per rovesciare Assad — ora ritornato «interlocutore» degli Usa come se nulla fosse; sono stati sempre gli Usa e la Nato ad agevolare l’offensiva dell’Is in Iraq, nel momento in cui il governo al-Maliki si allontanava da Washington, avvicinandosi a Pechino e a Mosca. L’Is ha svolto di fatto un ruolo oggettivamente funzionale alla strategia Usa/Nato di demolizione degli Stati con la guerra coperta.
L’attacco terroristico a Tunisi è avvenuto il giorno dopo che Aqila Saleh, presidente del «governo di Tobruk», aveva avvertito l’Italia che «il Califfato può passare dalla Libia al vostro Paese», premendo su Roma perché intervenga in Libia. Il ministro Gentiloni ha subito risposto: «Faremo la nostra parte». E il nuovo capo di stato maggiore dell’esercito, generale Danilo Errico, ha assicurato che, «se il governo dovesse dare il via» a un intervento in Libia, «noi siamo pronti»...
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