La tragedia delle piccole fiammiferaie
A Rocca Canavese, 90 anni fa, l’incendio alla
fabbrica dove morirono 18 operaie-bambine
Una foto del 16 marzo 1924: la fabbrica bruciò
quasi completamente. Il sindaco: «I giovani non ne sanno nulla».
Si chiamavano Maddalena, Margherita, Giovanna, Clotilde, Maria. Avevano
dai 12 ai 17 anni, non di più. L’età in cui si fiorisce alla vita. Erano poco
più che ragazzine e morirono in diciotto, insieme ad altri tre uomini,
nell’incendio che il 16 marzo 1924 distrusse la «Phos Italiana», la fabbrica che
produceva fiammiferi.
Novant’anni dopo il Comune di Rocca Canavese ha deciso di
dedicare un’intera giornata a quella tragedia. «Che non ricorda quasi più
nessuno – dice il sindaco Fabrizio Bertetto -. Noi invece vogliamo che le
generazioni giovani conoscano questo dramma perché la memoria non deve essere
perduta». Anche la nonna del sindaco, Brasiliana Molinar Min lavorava alla Phos.
Aveva 19 anni e, per sfuggire alle fiamme, si lanciò da una finestra e si ruppe
una gamba.
Il ricordo
Oggi una fiaccolata partirà alle 20,45 dalla piazza dell’Avis e il corteo si sposterà proprio lungo via Vittime Phos, fino a raggiungere l’area in cui sorgeva lo stabilimento che saltò in aria. Qui, i ragazzi delle scuole medie diretti dalla professoressa di Musica, Daniela Gaiara, proporranno un canto dell’epoca che rievoca la tragedia. «Poi ci sposteremo davanti alla chiesa parrocchiale dove, con i giovani di oggi, verrà scattata una fotografia identica a quella di quasi un secolo fa che immortalava gli addetti della Phos».
I ricordi
Ai funerali parteciparono quasi 10 mila persone. L’ultima superstite, Domenica Data, è morta nel 2003, a 96 anni. Non parlava mai volentieri del disastro. «Quelle giovani le conoscevo tutte, avevano cominciato a lavorare con me l’anno prima quando erano stati aperti i cancelli della fabbrica - raccontava la pensionata che era adibita al pennellaggio della carta smerigliata, la superficie dove si sfregano i fiammiferi -. La Phos aveva portato lavoro, noi guadagnavamo quattro o cinque lire al giorno, eravamo contente».
La giustizia
Poi cominciarono i processi. I parenti delle vittime vennero rimborsati. Il Sindacato Subalpino di Assicurazione Mutua pagò un indennizzo pari a 5 annualità di salario a cui si aggiunsero altre 52.249 lire grazie a una sottoscrizione. Alla fine, ai familiari dei deceduti arrivarono 8 mila lire e vennero aiutati con sottoscrizioni spedite addirittura dall’America. Soldi che per qualcuno significarono abbandonare la miseria più nera.
Il ricordo
Oggi una fiaccolata partirà alle 20,45 dalla piazza dell’Avis e il corteo si sposterà proprio lungo via Vittime Phos, fino a raggiungere l’area in cui sorgeva lo stabilimento che saltò in aria. Qui, i ragazzi delle scuole medie diretti dalla professoressa di Musica, Daniela Gaiara, proporranno un canto dell’epoca che rievoca la tragedia. «Poi ci sposteremo davanti alla chiesa parrocchiale dove, con i giovani di oggi, verrà scattata una fotografia identica a quella di quasi un secolo fa che immortalava gli addetti della Phos».
I ricordi
Ai funerali parteciparono quasi 10 mila persone. L’ultima superstite, Domenica Data, è morta nel 2003, a 96 anni. Non parlava mai volentieri del disastro. «Quelle giovani le conoscevo tutte, avevano cominciato a lavorare con me l’anno prima quando erano stati aperti i cancelli della fabbrica - raccontava la pensionata che era adibita al pennellaggio della carta smerigliata, la superficie dove si sfregano i fiammiferi -. La Phos aveva portato lavoro, noi guadagnavamo quattro o cinque lire al giorno, eravamo contente».
La giustizia
Poi cominciarono i processi. I parenti delle vittime vennero rimborsati. Il Sindacato Subalpino di Assicurazione Mutua pagò un indennizzo pari a 5 annualità di salario a cui si aggiunsero altre 52.249 lire grazie a una sottoscrizione. Alla fine, ai familiari dei deceduti arrivarono 8 mila lire e vennero aiutati con sottoscrizioni spedite addirittura dall’America. Soldi che per qualcuno significarono abbandonare la miseria più nera.
Lo
storico Carlo Boccazzi Varotto, ha scritto un libro dal titolo «Le piccole
fiammiferaie. Una tragedia del lavoro dimenticata», scavando in diversi archivi
piemontesi, inseguendo le notizie pubblicate sui quotidiani, ascoltando le
testimonianze. Ma, soprattutto ha cercato le radici del disinteresse e i
possibili motivi della scomparsa della documentazione su una delle più grandi
tragedie del lavoro in Italia.
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