Rifiuti epidemie ed eternit: a
Campobello di Mazara gli schiavi delle olive vivono così
Situazione drammatica nella periferia del comune in
provincia di Trapani: niente acqua, niente bagni, condizioni igieniche
disastrose per i 600 migranti che, in cambio di una manciata di euro, si
massacrano di lavoro alla mercé dei caporali
Capanne
costruite nel fango, con teli
di plastica e pezzi di legno, immondizia ovunque e uno spesso fumo nero che
proviene dai fuochi accesi su vecchie lastre di eternit. Non c’è acqua e
non c’è un bagno, non c’è un’infermeria e non ci sono medicinali: solo piccoli
serbatoi che non potranno mai soddisfare l’approvvigionamento idrico, tra tanti
insetti, pidocchi e sporcizia. Non è un accampamento di profughi e non siamo
nella periferia di una città africana, non è un campo di concentramento e qui
le guerre e i bombardamenti sono lontani chilometri. Siamo invece a Campobello
di Mazara, comune siciliano in provincia di Trapani, che in autunno,
durante la raccolta delle olive, si riempie di migranti pronti a vendere le
proprie braccia nei campi in cambio di pochi euro. Qui vivono circa 600
persone, provenienti soprattutto dal Sudan e dal Ghana, ammassate
in un campo all’entrata del Comune di Campobello, tra l’immondizia e le
erbacce, aspettando che qualche caporale li recluti nei campi per
raccogliere le olive.
“Più si
entra nel vivo della stagione della raccolta, più arrivano nuove persone”
raccontano gli abitanti del ghetto infernale che rifornisce gli
agricoltori del posto di manodopera a buon mercato ed esentasse. Ogni mattina
passano i furgoncini a scegliere gli operai per una giornata di lavoro
massacrante tra gli alberi di olive, e ad avere più possibilità di lavorare
sono quelli che si sono già procurati a proprie spese il cibo e l’acqua per il
pranzo: una manovalanza invisibile e a bassissimo costo, sfruttata ogni giorno
per dieci o dodici ore, in cambio di due o tre euro per ogni cesto riempito.
Schiavi moderni, sfruttati a cottimo con metodi antichi, che poi tornano
qui, nelle capanne fatte di lamiera, senz’acqua e senza servizi igienici,
dove accendono i fuochi per la cena su vecchie lastre di eternit recuperate in
campagna.
L’unico
approvvigionamento idrico consiste in una specie di serbatoio, che può
contenere al massimo 2mila litri d’acqua, meno di tre litri per ognuna delle
circa seicento persone che vivono in questa bidonville di schiavitù del
duemila. E più passano i giorni più le condizioni igieniche peggiorano,
tra insetti e spazzatura. “Per contrastare i pidocchi alcuni migranti hanno
preferito rasarsi a zero i capelli” scrive la delegata di Croce Rossa Sicilia
Laura Rizzello al commissario del comune di Campobello Massimo
Signorelli. “Sarebbe necessario – continua Rizzello dopo aver visitato il
campo – provvedere ad una sanificazione della zona, per limitare la presenza di
insetti. Inoltre sarebbe importante e utile, come in tutti i luoghi di questo
tipo, che si possa allestire un’infermeria, dotata di farmaci e presidi, al
fine di fornire un’assistenza sanitaria e al contempo si possa porre in
essere anche una sorveglianza sindromica, finalizzata alla prevenzione degli
abitanti dell’accampamento ma anche della popolazione. Non le nascondo che ciò
che ho visto mi ha turbata, avevo visto accampamenti di questo tipo solo in Africa,
in Sudan o in Darfour”.
“Tenere
delle persone in quelle condizioni, consentendo il proliferare di un mercato
del lavoro drogato genera razzismo ed emarginazione. Una
situazione che fa comodo a chi sfrutta queste persone, operando poi una
concorrenza sleale con chi le regole le rispetta e non sfrutta i lavoratori”
sbotta invece il deputato di Sel Erasmo Palazzotto, dopo aver visitato
la bidonville, praticamente contigua al comune di Campobello. E mentre soltanto
alcune associazioni di privati cittadini provano ad aiutare gli abitanti del
ghetto che sorge a soli pochi metri dalle loro abitazioni, nei giorni scorsi
uno dei migranti a cui è stata negata qualsiasi forma di dignità è rimasto
ucciso. Ousmane Diallo era un giovane senegalese arrivato in Sicilia
per guadagnarsi qualcosa lavorando nei campi: al ritorno da una massacrante
giornata di lavoro però gli è esploso tra le mani il fornello da campo
utilizzato per prepararsi la cena. Pochi giorni di agonia all’ospedale Civico
di Palermo e poi la morte, con gli abitanti del campo che per rispedire in
patria il feretro di Ousmane, stanno cercando di autotassarsi i pochi spiccioli
guadagnati raccogliendo olive: impresa ardua dato che l’operazione ha un costo
di circa 4mila euro. Nelle stesse ore in cui il giovane sudafricano
moriva a causa delle gravissime ustioni, ad Agrigento il vicepresidente del
Consiglio Angelino Alfano celebrava funerali senza feretri per le
366 vittime della tragedia di Lampedusa. “Assistenza per i sopravvissuti”
gridava Alfano tra le contestazioni, mentre pochi chilometri ad est, a
Campobello, l’accoglienza made in Italy per i migranti mostra ogni giorno
il suo vero volto: un terrificante ritratto che spazza via l’ipocrisia delle
parole e sbatte in faccia il dolore e la morte di uno Stato che non c’è.
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