Sono stati duri i toni dell’ultima dichiarazione rilasciata dal ministro dell’Interno, Ali Laareyedh, secondo alcuni addirittura “minacciosi”, in merito alla nuova ondata di proteste sociali che da martedì sta paralizzando diversi settori di attività. “Finora nessuno è stato colpito da colpi d’arma da fuoco, ma, se necessario, non esiteremo ad attuare la legge del 1969 che autorizza il ricorso progressivo all’uso della forza in casi difficili quali raduni e manifestazioni” ha detto Laareyedh, deplorando “la banalizzazione di attacchi ai danni di forze dell’ordine e posti di polizia”. Lo scorso fine settimana uffici della polizia ma anche alcuni negozi sono stati incendiati da gruppi radicali a Jendouba e Ghardimaou (nord-ovest). In Tunisia lo stato di emergenza, in vigore dalle proteste della primavera araba che nel gennaio 2011 hanno portato alla caduta del regime di Ben Ali, è stato prorogato fino alla fine di luglio.
Dopo la destituzione di 82 magistrati sospettati di corruzione durante il regime di Ben Ali, da martedì i giudici hanno cominciato uno sciopero nazionale, bloccando le attività in tutti i tribunali del paese. Secondo loro si tratta di una decisione “contraria ai principi della giustizia tradizionale che deve essere revocata” ha sottolineato Raoudha Laabidi, presidente del Sindacato dei magistrati tunisini (Smt). Impiegati nel settore della giustizia, insegnanti e medici degli ospedali universitari sono invece scesi in piazza a partire da mercoledì per chiedere migliori condizioni salariali, migliori strumenti di lavoro e più sicurezza nello svolgimento della propria attività. Allo sciopero, secondo le principali sigle sindacali di categoria, hanno aderito l’85% degli insegnanti. Serrati negoziati sono in corso da settimane tra governo e difensori dei diritti dei lavoratori.
(Fonte: Misna)
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