venerdì 14 marzo 2025

pc 14 marzo - Perché rivendicare la difesa comune è una posizione intrinsecamente bellicista -per il dibattoto

Nel dibattito delle ultime settimane sul piano Von Der Leyen sono emerse tre posizioni/sfumature della sinistra istituzionale e para-istituzionale:

1) quelli che sostengono il ReArm Europe (la destra del PD)

2) quelli che sono favorevoli al riarmo però non su base nazionale ma nel quadro di una fantomatica “Difesa Comune” (la maggioranza del PD)

3) quelli che dicono di essere contro il riarmo ma favorevoli alla Difesa Comune (le dirigenze di AVS, CGIL, ANPI etc…)

Sulle prime due ho già scritto nei giorni scorsi quindi passo ad analizzare nel dettaglio la terza.

Cominciamo col dire che chi propende per la Difesa Comune dovrebbe quanto meno assumersi l’onere di spiegare in cosa consiste.

Sono assolutamente convinto che molti tra quelli che saranno in piazza il 15 marzo con Michele Serra se correttamente informati non parteciperebbero a quella manifestazione.

Chiariamo subito un punto: se la preoccupazione è relativa alla difesa in senso stretto è bene sapere che in ambito UE esiste già la mutua difesa, nello specifico:

“Il trattato di Lisbona incorpora nelle norme europee applicabili alla politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) una clausola di difesa collettiva (articolo 42, paragrafo 7 del trattato sull’Unione europea). Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso. Quest’obbligo non pregiudica gli eventuali impegni assunti dagli Stati membri nell’ambito dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO).”

(Eur- Lex portale ufficiale di accesso al diritto dell’Unione Europea)

Come si vede una cosa è la Difesa Collettiva mentre altro è la Difesa Comune. Credo che in tanti in buona fede confondano le due cose e quando rivendicano la seconda in realtà fanno riferimento alla prima.

Come vedremo più avanti la Difesa Comune nasce e si struttura con ben altri fini che nulla hanno a che fare con il concetto di difesa ma è invece strettamente connessa al concetto di aggressione militare (dopo il secondo conflitto mondiale in occidente tutti i paesi hanno cambiato la denominazione di ministero/dipartimento della guerra in Ministero/dipartimento della difesa ma nella sostanza, come sappiamo, nulla è cambiato).

In ambito Ue il concetto di Difesa Comune ha un significato ben preciso che si forma negli anni ’50 ma che solo nell’ultima decade del secolo scorso ha trovato una sua vera definizione e concretizzazione.

A seguito della caduta del muro di Berlino le borghesie dei paesi dell’Europa occidentale cominciarono a coltivare il sogno di far diventare la futura Unione Europea una potenza imperialista.

Iniziarono quindi a dotarsi dei primi strumenti atti lo scopo. Nel 1992 il primo passaggio fu l’adozione da parte dell’ Unione Europea Occidentale delle “Missioni di Petersberg” poi integrate nel Trattato di Amsterdam.

Scorrendo il compiti delle Missioni di Petersberg si può ben vedere come tutto ciò non abbia niente a che vedere con il concetto di “difesa” ma sia tutto orientato alla proiezione militare in ambito internazionale.

Riporto integralmente sempre da Eur-Lex :

“Tali missioni sono state istituite nella dichiarazione di Petersberg, adottata in occasione del Consiglio ministeriale dell’Unione europea occidentale (UEO) del giugno 1992. In quell’occasione i paesi membri dell’UEO dichiararono la loro disponibilità di mettere a disposizione dell’UEO, ma anche della NATO e dell’UE, le unità militari provenienti dalla loro schiera di forze armate convenzionali.

Da allora, hanno interessato:

– le missioni umanitarie o di evacuazione;

– le missioni di prevenzione dei conflitti e le missioni di mantenimento della pace;

– le missioni di unità combattenti per la gestione delle crisi, ivi comprese le operazioni per il ripristino della pace;

– le azioni congiunte in materia di disarmo;

le missioni di consulenza e di assistenza in materia militare;

– le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti”.

Non sfuggirà a nessuno che il lessico utilizzato è lo stesso sulla base del quale sono state costruite le fantomatiche e ossimoriche “guerre umanitarie”.

Ma torniamo alla definizione di “Difesa Comune” così come formalizzata nei trattati (vi risparmio tutti i singoli passaggi nei vari vertici che mi riservo di fare in maniera dettagliata nei prossimi giorni):

“La politica di sicurezza e di difesa comune dell’UE (PSDC) è parte integrante della politica estera e di sicurezza comune dell’UE (PESC). Essa prevede la definizione progressiva di una politica di difesa comune dell’Unione europea e mira a consentire all’Unione europea il rafforzamento delle sue capacità militari e il dispiegamento di missioni al di fuori dell’UE per il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite (ndr il riferimento è ai principi ma non alle decisioni delle Nazioni Unite, in nome di quei principi sono stati giustificati i peggiori crimini come in Serbia, Iraq e Afghanistan). La PSDC rispetta gli obblighi di alcuni Stati che ritengono che la loro difesa comune si realizzi tramite la NATO. Viene trattata negli articoli da 42 a 46 del trattato sull’Unione europea.

Le decisioni relative alla PSDC sono prese dal Consiglio dell’Unione europea all’unanimità. Tuttavia, sono possibili alcune eccezioni, come ad esempio quando il Consiglio adotta decisioni di attuazione di una decisione dell’UE o per alcune decisioni riguardanti l’Agenzia europea per la difesa (AED) e la cooperazione strutturata permanente (PESCO), in cui le decisioni sono prese a maggioranza qualificata.

L’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza è incaricato di proporre e attuare le decisioni di PSDC.”

Come vedete senza alcuna possibilità di fraintendimento quando si parla di “Difesa Comune” si fa riferimento non a compiti difensivi ma a “rafforzamento delle sue capacità militari e il dispiegamento di missioni al di fuori dell’UE”.

Tradotto in parole semplici essere per la “Difesa Comune” significa appoggiare l’incremento delle capacità offensive e la volontà di fare la guerra fuori dai confini nazionali dei paesi membri.

Per conseguite questi obiettivi però il passaggio necessario è creare delle forze armate europee con unici sistemi d’arma che rispondano ad una precisa catena di comando al cui vertice si pone il Consiglio dell’Unione Europea (“il Consiglio è composto ai sensi dell’art. 16 del Trattato sull’Unione europea, da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale che possa impegnare il governo dello Stato membro, scelto in funzione della materia oggetto di trattazione”).

Ed è su questo che il progetto di Difesa Comune, ora inspiegabilmente auspicato da tanti a sinistra, si è arenato da anni.

I paesi membri non sono infatti disposti né a mettere sotto comando del Consiglio una parte cospicua delle proprie forze armate né a rinunciare ai propri sistemi d’arma spesso prodotti da imprese nazionali.

L’altro problema è il requisito dell’unanimità che di fatto blocca la possibilità di operare. Gli estensori della “Difesa Comune” sono tendenzialmente per la decisione a maggioranza ma anche questo è estremamente difficile da realizzare in quanto implicherebbe che uno Stato membro possa trovarsi a dover mandare in guerra propri soldati pur essendo contrario al conflitto.

Riassumendo:

Rivendicare consapevolmente la Difesa Comune significa, come scrivevo nel titolo, essere intrinsecamente a favore della guerra e in più per il trasferimento di sovranità da parlamenti democraticamente eletti ( pur negli enormi limiti delle democrazie borghesi) ad un consesso di esecutivi.

Cosa ancora più grave se pensiamo che l’Ue non è un’entità neutra ma un soggetto costitutivamente e storicamente orientato in una direzione ben precisa. L’Unione Europea è infatti un insieme di trattati fondati sui principi del libero mercato e della concorrenza al netto delle solite belle parole sui diritti delle persone e la promozione della pace. Non a caso l’Ue si è sempre caratterizzata per politiche antipopolari e scarsa democrazia.

Già so che alcuni ribatteranno, come nella penosa lettera aperta pubblicata oggi su Micro Mega, che loro però sono per una “Difesa Comune” nel quadro di una riforma generale dell’Unione Europea che la porti ad essere uno Stato a tutti gli effetti con un governo unico che risponda al parlamento.

Ma come ben esplicitato sopra “Difesa Comune” non vuole dire “Difesa Collettiva” da minacce esterne (al momento fantomatiche) ma proiezione militare all’estero ed è questa l’enorme ambiguità che non viene sciolta.

Inoltre che logica ha promuovere ora la “Difesa Comune” prima di aver non semplicemente riformato ma abbattuto e ricostruito l’attuale architettura istituzionale comunitaria?

Quando si costruisce un palazzo si inizia dalle fondamenta non certo dal tetto.

A mio avviso la loro è solo un’enorme ipocrisia che tradisce un desiderio inconfessabile:

Il sogno, tanto in voga negli anni ’90, di una bella Europa imperialista ma politically correct che si metta al pari degli Usa e cerchi di dominare il mondo al fine di difendere i privilegi di questa parte del globo.

Ma la cosa più ridicola è che questi non solo sono degli ipocriti ma anche degli illusi.

Dal punto di vista teorico quello con cui non fanno i conti i promotori della Difesa Comune è che nel capitalismo, come ben spiegato da Marx, è sempre sulla struttura che si eleva la sovrastruttura e non viceversa.

Per avere una difesa Comune serve avere una politica estera comune ma per avere una politica estera comune serve che ci siano interessi comuni. Per esserci interessi comuni serve la centralizzazione dei capitali europei, serve in pratica che si crei una borghesia europea.

Al momento ciò non si è dato e anzi tanto per essere chiari le borghesie nazionali europee fin dagli inizi del processo di integrazione hanno costruito un architettura istituzionale e una normativa comunitaria che rende impossibile tutto ciò. Si veda a tal proposito la legislazione in tema di concorrenza, l’operato dei vari commissari alla concorrenza, la mancata Unione Bancaria e la mancata Unione del Mercato dei Capitali.

I governi dei Paesi che compongono l’Unione Europea restano ad oggi rappresentanti delle singole borghesie con base nazionale. Borghesie in competizione tra loro, con interessi spesso diversi, che collaborano solo negli ambiti e nelle circostanze in cui c’è una comune convenienza. È su questa base che sono stati redatti i trattati, questa è la natura profonda dell’Unione.

Lo sviluppo delle forze produttive e la maggiore socializzazione del lavoro hanno reso le economie europee sempre più interdipendenti tra loro e hanno indotto gli Stati a forme sempre più strette di integrazione economica e politica. Integrazione che però non riesce a fare quel salto di qualità che porterebbe l’UE ad essere una reale unione politica. Non lo riesce a fare perché il processo di integrazione entra in contraddizione con gli attuali assetti di proprietà: le borghesie nazionali non vogliono perdere in tutto o in parte il proprio potere e la propria autonomia e questo impedisce che si crei una vera e propria borghesia europea.

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