lunedì 30 gennaio 2023

pc 30 gennaio: Continua il nostro centrale lavoro nelle grandi fabbriche. Mirafiori: le voci degli operai e le nostre indicazioni e proposte: Assemblea proletaria anticapitalista a Roma 18 febbraio, assemblea delle operaie a Torino nella settimana dell'8 marzo

Iniziativa a Mirafiori alla portineria, con affissione cartelloni con le nostre indicazioni e bandiere dello Slai Cobas a fianco. Si sono diffusi volantini, distribuiti anche per un contatto diretto e uno scambio con le operaie e gli operai che entrano ed escono dalla portineria per il primo e secondo turno.

Appreso che quel giorno al lavoro c’erano anche gli operai del turno centrale della Maserati, siamo tornati alle 16.00 per l’uscita. Ciò ha permesso di parlare anche con gli operai di questo reparto sulla situazione generale e sul contratto aziendale dove manca informazione e prospettiva.

Nel corso della mattinata si era diffusa la notizia che a maggio chiudono gli incentivi per la Lear (sedili) per mandar via e che ci saranno operai in mezzo alla strada, e c’era malumore.

I cartelloni, visti e letti in diversi casi in modo evidente, sono diventati occasione per iniziare a parlare “non è più vita, guerra e carovita, il contratto unico per tutto il gruppo”; le bandiere hanno attirato l’attenzione, è stata infatti, come qualcuno diceva “la giornata dei cobas”.

Questo è stato chiaro fin dal primo operaio che quando ci ha visto preparare i cartelloni, un pò sorpreso, si ha detto “non pensavo ce ne fossero ancora di queste iniziative, non hanno più possibilità queste iniziative a Mirafiori”; abbiamo spiegato che il nostro intervento c’è proprio perchè non abbiamo alternative.

Altri, vedendo le bandiere hanno detto: “anch’io ero dei cobas… c’erano anche i cobas al tempo degli scioperi per la panda (2002 circa) ma poi con i contratti di solidarietà non li hanno più fatti entrare…”; “c’erano anche i cobas quando c’erano i cortei, i cobas adesso sono la’ a schiattare quelli rimasti, c’è gente eliminata, messi fuori...”.

Diversi altri operai hanno parlato di questa presenza passata in vario modo “anch’io ero dei cobas, avete ragione, adesso leggo con attenzione... Arrabbiati e rassegnati non va bene, bisogna essere combattivi... no non mi arrendo”.

Molto evidenti i guardiani, che come al solito osservano il movimento degli operai attorno a noi, e davanti alla portineria i lavoratori erano più sfuggenti, e un paio di operaie lo hanno detto esplicitamente.

In generale gli operai avevano voglia di parlare, e alcuni sono stati nettamente critici verso i sindacati confederali, i delegati “che se ne stanno la’ seduti a non fare niente” rispetto a quello che succede in fabbrica; “noi abbiamo già detto ai sindacati dentro i nostri problemi, ma più di tanto non possono fare.

Di fronte alla ristrutturazione del gruppo, al carovita, alla guerra, al governo Meloni, la proposta dell’assemblea operaia è quella necessaria per unire, organizzare, dare prospettiva agli operai che nelle fabbriche vogliono opporsi. Per questo abbiamo portato nei cartelli e nel volantino l'indicazione della nuova Assemblea proletaria anticapitalista che si terra' a Roma il 18 febbraio.

Operaie raccontano di una situazione in fabbrica molto seria, è d’accordo che senza la lotta degli operai non ci possono essere risultati, ma che c’è paura, individualismo, si pensa che ‘non c’è più niente da fare’; “Il problema di fondo, sai, è la paura, non si fa più lo sciopero. Se qua dentro facciamo gli scioperi, ne paghi le conseguenze. Vieni messa a fare i lavori peggiori, a parte che di belli qua dentro non c’è né, però bisogna ribellarsi tutti quanti assieme... fuori da qua abbiamo una vita, una casa”.

Altri operai e operaie confermano: “Si’ sempre di più, lavoro da 30 anni, arrivo da Grugliasco che hanno chiuso, mi sono rovinata la schiena in linea, non tengono in considerazione le problematiche, ma a fine mese devi pagare l’affitto...”; “dopo 30 anni di lavoro non hai nemmeno la sanità che ti cura. Se non hai i soldi fai in tempo a morire...”; “non mandano noi in pensione e dentro i giovani, ho 30 anni di lavoro ma non ho mai lavorato come adesso, sulla linea di montaggio”, “...non è che siamo poi così giovani da poter stare sulle linee di montaggio; io guido il carrello, scarico camion dalla mattina alla sera, a 56 anni penso di aver già dato”; “Troppo lavoro, troppo carichi di lavoro, prima 10 pezzi, ora 15. Ma ci sono tanti operai a casa! Se dividessero il lavoro sarebbe meglio, tutto il carico a noi, moriremo prima”; “Ritmi più alti si’, ma anche carichi mirati per obbligarti ad

accettare le dimissioni”; “io lavoro tre giorni la settimana, ma non ce la faccio più. Io vedo che altri in altre fabbriche stanno peggio di noi, ritmi di lavoro, alla Amazon, Pirkinton... Arrivati ad una certa età bisogna rallentare. Dobbiamo uscire da qui. “Sinistra” e destra ci hanno ridotto in questo stato...”.

A loro diciamo: Dobbiamo mettere tutte le nostre energie per costruire un’alternativa, non siamo qui a dire agli operai fate, ma a lavorare assieme per costruire la via d’uscita.

Parliamo di preparare un’assemblea per unire le operaie che non ci stanno a questa vita, ma la dobbiamo costruire assieme. Le operaie non c’è la fanno più per come si lavora in fabbrica, ma lamentarsi o protestare una per una non va, lavoriamo assieme per una assemblea delle operaie nella settimana dell’8 marzo.

Altre operaie rafforzano la denuncia delle condizioni in fabbrica e di come si viene trattate: “É uno schifo, ho la bambina di 7 anni non mi danno neanche i giorni, mi fanno le proposte: se mi vieni un sabato o due io ti vengo incontro. Loro vogliono che io vada per 18 sabati obbligatori, fino a settembre… Incontro? Io ho la bambina di 7 anni e devo lavorare, io un giorno vengo qua e la bambina la lascio al gabbiotto e entro a lavorare! E’ giusto?”

Rispondiamo: “Come ti trattano no, fai bene a ribellarti, ma è giusto che la protesta tu la faccia da sola? E le altre operaie? Perché non lo fate assieme, e la tua bambina diventa la nostra lotta? Ci sono le possibilità se le cerchiamo... dobbiamo ribaltare questa situazione, perché anche ad ubbidire non ti salvi lo stesso, ritmi e carichi mirati, è una fabbrica che ti schiaccia”. Lei riflette sulla dimensione collettiva della protesta “Si è vero, si può fare, e per l’assemblea parlo con le colleghe in reparto”.

Altre voci sulla lotta: “Io sono arrivata da Rivalta, ho fatto uno sciopero, erano li tutti che piangevano, sono uscita da sola... si andava fuori a fare i cortei ma non è cambiato nulla”; “Nessuno è più disposto a fare sciopero, o se ne fai uno poi non vanno più avanti, le bollette sono aumentate, le persone qui dentro non sono disposte a perdere dei soldi. Io ne ho viste di lotte ma non è cambiato nulla. Grugliasco, Rivalta, Maserati… hanno chiuso”; “ma le pensioni, sanità le hanno portate gli operai con la lotta…”.

Non basta fare solo l’elenco delle disgrazie, prima quando gli operai avevano nelle loro mani la lotta, il movimento operaio riempiva questi viali, dobbiamo riprovarci. La forza degli operai è quando si organizzano per i propri interessi. Per questo dobbiamo costruire una assemblea autonoma.

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