Accademia delle Scienze dell'URSS | Storia universale vol. X, pagg. 205-219, Teti Editore, Milano, 1975
Trascrizione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
In occasione dell'80° anniversario della vittoria dell'Unione Sovietica a Stalingrado sugli invasori nazifascisti
All'inizio dell'inverno 1942-1943 si apriva sulle rive del Volga e del Don una nuova tappa della lotta mortale contro il nazifascismo, entrata nella storia come il periodo della svolta radicale nel corso di tutta la seconda guerra mondiale. Il merito principale della realizzazione di questa svolta a favore della coalizione antifascista appartiene all'Unione Sovietica.
Nelle accanite battaglie del 1942-1943 sul fronte sovietico-tedesco si decisero i destini storici non solo del popolo sovietico, ma dell'intera umanità.
1. La disfatta delle truppe fasciste sul Volga. L'inizio della svolta radicale nella guerra
LA SITUAZIONE ALL'INIZIO DELLA CONTROFFENSIVA DELLE TRUPPE SOVIETICHE SUL FRONTE MERIDIONALE
Nell'autunno 1942 il fronte sovietico-tedesco, a eccezione di alcuni settori, si stabilizzò su tutta la linea dal mare di Barents alle pendici del Caucaso. Tuttavia la situazione continuò a essere estremamente grave per l'Unione Sovietica. Leningrado era assediata, grandi forze nemiche continuavano a operare sulle lontane vie di accesso a Mosca, gli incessanti aspri combattimenti a Stalingrado assorbivano sempre nuove forze, le vie principali di comunicazione con il Caucaso erano interrotte.
Sfavorevole per le forze armate sovietiche era anche la situazione sui mari. La flotta del Baltico era bloccata nella parte orientale del golfo di Finlandia. La flotta del mar Nero, dopo la perdita della penisola di Crimea e di Novorossijsk, era costretta a far capo a porti inadeguati come quelli di Poti, Gelendžik e Tuapse, e ciò ostacolava le sue azioni. In condizioni più favorevoli si trovava la flotta del nord. Rinforzata con navi fatte giungere dall'oceano Pacifico, essa difendeva le comunicazioni settentrionali e prestava un valido aiuto alle truppe terrestri nella difesa del litorale.
Nell'autunno 1942 divenne chiaro che i piani della campagna estiva-autunnale del comando nazista erano falliti. Benché le truppe tedesche e dei loro alleati fossero giunte sul Volga e si trovassero sulle pendici del Caucaso, esse non avevano raggiunto il loro obiettivo principale. L'avanzata dell'estate era costata alla Germania nazista circa un milione di uomini tra uccisi, feriti e prigionieri nonché la perdita di una enorme quantità di mezzi e armamenti.
Il gruppo di armate tedesche "A", avendo incontrato una accanita resistenza da parte delle truppe sovietiche sulle pendici del Caucaso, venne impegnato in lunghi e logoranti combattimenti. Il gruppo di armate "B" dovette disporsi su un fronte ad arco della lunghezza di 1.300 km. Al centro dell'arco, di fronte a Stalingrado, si trovavano la VI armata di von Paulus e la IV armata corazzata di Hoth, che combattevano per la conquista della città. Alle loro ali erano schierate la III e la IV armate romene e la VIII armata italiana, passate alla difensiva. Le truppe satelliti erano più deboli dal punto di vista militare e morale di quelle tedesche.
La situazione delle truppe degli aggressori fascisti che si trovavano sotto Stalingrado e nel Caucaso del nord era aggravata dal fatto che le loro riserve strategiche erano quasi completamente esaurite. Sullo sconfinato fronte orientale, che si estendeva per oltre 6.000 km, vi erano nella riserva del comando centrale delle truppe terrestri tedesche solo tre divisioni corazzate, una divisione di scorta e due brigate di fanteria; nella riserva dei gruppi di armate vi erano otto divisioni e una brigata.
Nell'ottobre 1942 il comando tedesco, considerando compromessa la situazione, prese la decisione di passare alla difensiva. Nell'ordine n. 1 del 14 ottobre 1942 si disponeva: "Dobbiamo affrontare la campagna invernale. Compito del fronte orientale - oltre alle operazioni offensive in corso oppure progettate - è di mantenere a ogni costo le posizioni raggiunte, respingere ogni tentativo del nemico di sfondarle e creare in tal modo i presupposti per continuare la nostra offensiva nel 1943 allo scopo di sconfiggere definitivamente il nostro più pericoloso nemico".
Sulla base di queste disposizioni le forze armate tedesche iniziarono i preparativi per l'inverno. Su tutta la lunghezza del fronte vennero costruite o rafforzate le fortificazioni.
Una particolare attenzione venne rivolta al settore centrale del fronte, dove il comando della Wehrmacht si attendeva azioni offensive dell'armata rossa. Qui vennero concentrati i rinforzi principali a detrimento dei raggruppamenti delle altre zone. All'inizio della campagna invernale, nel gruppo di armate centrale era concentrata circa la metà delle unità corazzate e motorizzate di cui i tedeschi disponevano sul fronte orientale. Lo stato maggiore di Hitler riteneva che l'offensiva dell'armata rossa contro il gruppo di armate centrale sarebbe stata lanciata agli inizi di novembre.
Dal canto suo il comando supremo sovietico, nel perfezionare i piani dell'offensiva invernale, aveva deciso di sferrare il colpo principale nel settore meridionale con le forze del fronte sud-ovest (comandate dal tenente-generale Vatutin), del fronte del Don (comandate dal tenente-generale Rokossovski) e del fronte di Stalingrado (comandate dal colonnello-generale Eremenko) partendo dalla zona di Stalingrado con unica direzione verso il bacino del Don. Per preparare la controffensiva e coordinare le azioni dei fronti vennero inviati nella zona di Stalingrado il generale d'armata Zukov e il colonnellogenerale Vassilevski.
L'opportunità di iniziare l'attacco proprio in questo settore era dettata da un insieme di fattori politici, economici e militari. La disfatta decisiva del nemico nel sud doveva portare al crollo definitivo dei suoi piani che puntavano sull'arrivo delle truppe tedesche nel Caucaso e sull'entrata della Turchia nella guerra contro l'Unione Sovietica. Ottenendo decisivi risultati militari nel sud, si sarebbero liberate le ricchissime zone cerealicole del Don e del Kuban, sarebbero stati creati i presupposti per la liberazione del bacino del Don, e sarebbe stata eliminata la minaccia nemica alle fonti di petrolio del Caucaso e alle vie di comunicazione con gli alleati che attraverso l'Iran giungevano al golfo Persico. Il settore del bacino del Don appariva il punto più vulnerabile nella difesa strategica tedesca.
Con l'arrivo delle truppe sovietiche a Rostov vennero create le condizioni per la sconfitta del gruppo di armate tedesche "A", che operava nel Caucaso settentrionale. La sconfitta del nemico nel territorio tra il Volga e il Don doveva essere solo la prima tappa della campagna invernale. Dopo il successo di questa operazione il comando supremo sovietico calcolava di compiere una serie di operazioni offensive sugli altri fronti. Una particolare importanza veniva data all'eliminazione dell'assedio di Leningrado e alla sconfitta dei raggruppamenti del nemico nelle zone di Demjansk, Ržev-Vjazma, nel corso superiore del Don e nel Caucaso settentrionale.
La prima fase della campagna invernale venne progettata nel modo più completo e accurato. Con gli sforzi congiunti dello stato maggiore del comando supremo, dello stato maggiore generale e del comando dei fronti di Stalingrado, del Don e sud-ovest, venne elaborato un piano che ricevette il nome di "Uranus". Questo piano era fondato su una idea molto ardita: con le forze dei tre fronti circondare e distruggere il grande raggruppamento di truppe fasciste nel territorio tra il Volga e il Don e creare le condizioni per il passaggio delle forze armate sovietiche alla offensiva strategica generale sull'ala meridionale e sugli altri settori del fronte sovietico-tedesco. I raggruppamenti d'assalto del fronte sud-ovest e del fronte di Stalingrado dovevano attaccare convergendo su Kalač e Sovjetskij e serrare poi in questa zona l'anello della sacca in cui dovevano restare le truppe degli aggressori.
La difesa del nemico doveva essere spezzata nei settori più vulnerabili, che erano tenuti dalle truppe romene.
L'inizio dell'offensiva era fissato per i fronti sud-ovest del Don al 19 novembre, per il fronte di Stalingrado al giorno successivo. Per attuare l' "operazione Uranus" occorreva un'enorme attività organizzativa per mettere le truppe in piena efficienza in vista dei combattimenti. Era necessario rafforzare prima di tutto i fronti con uomini, armi, mezzi militari e vettovagliamenti; creare le riserve operative e strategiche; perfezionare la preparazione politico-militare delle truppe; dislocare in segreto i raggruppamenti d'assalto nelle zone di partenza dell'operazione; organizzare il loro coordinamento e la loro direzione. I preparativi erano complicati dal fatto che il trasporto degli uomini e dei mezzi avveniva sotto il continuo bombardamento dall'aria su tre ferrovie a binario unico, fatto che limitava la velocità di afflusso. Una particolare difficoltà nel garantire la segretezza del concentramento delle forze era rappresentata dal carattere prevalentemente stepposo delle zone dove si sarebbe lanciata la prossima offensiva.
Il successo delle operazioni dipendeva in primo luogo dalle azioni delle unità corazzate e meccanizzate. Perciò, alla vigilia dell'offensiva i fronti vennero rafforzati con unità e reparti di carri armati. Complessivamente nei tre fronti erano allineati circa 900 carri armati. Oltre 13.500 cannoni e mortai vennero messi a disposizione dell'artiglieria, il doppio di quanti ne erano stati impiegati nella controffensiva di Mosca. L'aviazione contava più di 1.000 aeroplani.
Alla vigilia dell'offensiva le truppe sovietiche schierate sui tre fronti non potevano contare su una sostanziale superiorità rispetto al nemico. Ma con l'abile dislocazione delle forze e dei mezzi nelle direttrici degli attacchi principali, il comando sovietico riuscì a creare potenti blocchi di truppe. Tutte queste forze e mezzi furono preventivamente schierati sulle posizioni di attacco grazie al lavoro organizzato nelle retrovie.
Sul Volga, da Saratov ad Astrachan, funzionavano ininterrottamente 50 traghetti a vapore. Furono costruiti numerosi ponti di barche. Il concentramento delle forze passò inosservato al nemico: le divisioni in marcia mantenevano il più assoluto silenzio radiofonico, tutti gli ordini venivano dati a voce. Vennero impiegate largamente anche misure per disorientare il nemico. Un grande aiuto offrirono ai comandi militari la popolazione e le organizzazioni del partito comunista della regione di Stalingrado. I lavoratori della regione contribuirono al rifornimento delle truppe con viveri e munizioni. Decine di migliaia di cittadini lavorarono alla costruzione di aeroporti, ponti sui fiumi e strade, aiutarono a trasportare le munizioni e a riparare i mezzi militari. Verso la metà di novembre i preparativi per l' "operazione Uranus" erano stati completati. L'armata rossa era pronta a infliggere il colpo decisivo al nemico.
L'ACCERCHIAMENTO E LA DISFATTA DELLE FORZE TEDESCHE A STALINGRADO
Il 19 novembre, alle 8,50 del mattino, dopo un massiccio bombardamento delle artiglierie, le truppe dei fronti sud-ovest e del Don scattarono all'offensiva.
Una intensa nevicata e la nebbia mattutina impedirono l'intervento dell'aviazione. Dopo avere infranto la resistenza delle truppe romene della III armata, il raggruppamento d'assalto del fronte sud-ovest riuscì ad avanzare alla fine del primo giorno di combattimenti di 30-35 km. Contemporaneamente penetrarono profondamente nel dispositivo difensivo nemico anche le truppe del fronte del Don. Dal mattino del 20 novembre, in condizioni meteorologiche sfavorevoli, passò all'attacco il fronte di Stalingrado. Dopo aver rotto la difesa della IV armata romena a sud della città, le truppe sovietiche si spinsero verso nord-ovest e verso sud-ovest.
Il comando tedesco compì sforzi disperati per arrestare l'offensiva delle truppe sovietiche, ma tutti i tentativi di bloccarla o anche solo di rallentarla fallirono completamente. Le unità mobili dei fronti sud-ovest e di Stalingrado avanzando rapidamente raggiunsero le ali della VI armata tedesca, facendo pesare sul raggruppamento nemico la minaccia dell'accerchiamento.
Il 23 novembre, il 4° corpo corazzato sovietico del fronte sud-ovest al comando del maggiore-generale A. Kravčenko si congiunse come previsto nella zona del villaggio di Sovjetskij con il 4° corpo meccanizzato del fronte di Stalingrado comandato dal maggiore-generale V.T. Volski, realizzando così l'accerchiamento di un grande raggruppamento nemico forte di ben 22 divisioni. Di rincalzo alle unità mobili avanzò la fanteria dei due fronti.
Per non consentire la rottura dell'anello da parte del raggruppamento circondato o il suo sblocco dall'esterno, le truppe sovietiche continuarono l'avanzata per allargare il corridoio stabilito tra le truppe tedesche nella prima fase dell'operazione. Respingendo con successo i contrattacchi del nemico, esse giunsero la sera del 30 novembre sulla linea dei fiumi Čir e Don. Nel frattempo vennero condotte attive azioni anche sul fronte interno dell'accerchiamento. La sera del 30 novembre la superficie occupata dal raggruppamento circondato si era già ridotta di oltre la metà e non superava ormai i 1.500 kmq. Questo settore venne martellato in modo massiccio dal fuoco dell'artiglieria sovietica.
Il 22 novembre, ancor prima che l'accerchiamento fosse completato, il comandante della VI armata tedesca generale von Paulus convocò a Gumrak la riunione dei comandanti dei corpi, i quali giunsero all'unanimità alla conclusione che una lunga lotta difensiva all'interno della gigantesca sacca avrebbe portato alla catastrofe e che per evitarla bisognava spingersi immediatamente con il grosso delle forze verso sud-ovest. Il generale von Paulus chiese a Hitler l'autorizzazione a rompere l'accerchiamento verso sud-ovest, ma ottenne un inflessibile rifiuto accompagnato dalla promessa che sarebbero state prese tutte le misure per garantire il normale rifornimento dell'armata e contemporaneamente liberarla dall'accerchiamento.
Alla fine di novembre e nei primi giorni di dicembre i tedeschi fecero un primo tentativo di liberate le divisioni circondate, lanciando un contrattacco nella zona del fronte sudovest. Ma l'avanzata dei carri tedeschi fu bloccata e respinta.
Nel tentativo di ristabilire la situazione nel sud, il comando tedesco decise di creare in tutta fretta un nuovo gruppo di armate "Don", nel quale furono comprese le truppe che operavano nella grande ansa del Don, insieme al gruppo di armate circondato nella zona di Stalingrado.
A questo gruppo di armate, comandato dal maresciallo von Manstein, venne assegnato il compito di arrestare l'offensiva delle truppe sovietiche e, attaccando dalle zone di Kotelnikovo e Tormosin verso Stalingrado, di raggiungere le truppe circondate, unirsi a esse e ristabilire il precedente fronte di difesa. Il rifornimento del raggruppamento accerchiato sarebbe stato assicurato per via aerea.
Il comando sovietico intuì tempestivamente i piani del nemico e si preparò efficacemente a respingerne i contrattacchi: rafforzò i propri raggruppamenti che operavano sul fronte esterno del "corridoio", organizzò la caccia contro l'aviazione da trasporto nemica. In dicembre vennero distrutti in aria o negli aeroporti oltre 750 aerei da trasporto tedeschi. L'annientamento dell'armata di von Paulus fu affidata al fronte del Don, comandato dal tenente-generale Rokossovski. Lo stato maggiore del comando supremo era rappresentato dal colonnello-generale Voronov. Tuttavia la realizzazione di questo obiettivo dovette essere provvisoriamente rinviato.
Il 12 dicembre dal distretto di Kotelnikovo, lungo la ferrovia Tichoreck-Stalingrado, cominciò ad avanzare il 57° corpo corazzato del gruppo di armate Hoth. Sotto la forte pressione delle preponderanti forze nemiche la LI armata del fronte di Stalingrado, che operava su questa linea, fu costretta a ritirarsi verso nord-est. Tuttavia il 15 dicembre essa riuscì ad arrestare l'avanzata tedesca e nei giorni successivi resistette eroicamente alla pressione del nemico. Il 19 dicembre il gruppo di armate Hoth riprese l'offensiva e il 23 dicembre raggiunse il flume Myškova, a una distanza di circa 40 km dalle truppe della VI armata circondate.
Per respingere l'offensiva nemica venne inviata nella zona di Kotelnikovo la II armata della guardia comandata dal tenente-generale Rodion Malinovski, destinata in precedenza alla liquidazione del raggruppamento nemico circondato. Nelle dure condizioni dell'inverno russo le truppe di Malinovski si spinsero con una marcia forzata di 40-50 km al giorno verso il fiume Myškova, dove il nemico tentava di ampliare la propria testa di ponte. Appena giunta a contatto col nemico la II armata sovietica lo attaccò di slancio senza arrestarsi.
Il 24 dicembre l'armata Malinovski passò all'offensiva con una azione coordinata con una parte delle forze della V armata d'assalto e della LI armata.
Dopo avere infranto la resistenza tedesca, le truppe sovietiche occuparono il 29 dicembre Kotelnikovo. Venne cosi realizzato l'obiettivo di impedire il nuovo tentativo del nemico di sbloccare l'armata di von Paulus, chiusa irrimediabilmente nella sacca di Stalingrado, che ora appariva condannata senza scampo alla totale distruzione.
Al successo dell'azione contribuirono le truppe dei fronti di Voronež e di sud-ovest. Il mattino del 16 dicembre, dopo un ora e mezza di fuoco di artiglieria, le truppe dei fronti di Voronež e di sud-ovest sfondarono la difesa del nemico in alcuni punti e la sera del 24 dicembre avevano realizzato un'avanzata di 100-200 chilometri. In otto giorni di duri combattimenti esse inflissero una severa sconfitta all'VIII armata italiana e all'ala sinistra del gruppo di armate "Don", creando così una minaccia di profondo accerchiamento dal nord del grosso delle sue forze.
Il 30 dicembre le truppe sovietiche avanzarono profondamente nelle retrovie del nemico sulla linea Nikolskaja-Ilinka. Nel tentativo di arrestare l'avanzata dei fronti di Voronež e di sud-ovest, il comando tedesco fu costretto a fare affluire frettolosamente 8 divisioni destinate in precedenza allo sblocco delle truppe di von Paulus. Agli inizi del gennaio 1943 la situazione delle truppe chiuse nella sacca peggiorò notevolmente. L'anello dell'accerchiamento si restringeva sempre più. Ai tedeschi mancavano riserve di qualsiasi genere. Le munizioni e il combustibile stavano per finire. I morale delle truppe accerchiate era bassissimo anche se i soldati continuavano a combattere.
Nel tentativo di evitare un inutile spargimento di sangue, l'8 gennaio 1943 il comando sovietico offrì a von Paulus la resa con l'onore delle armi, proponendogli di cessare l'insensata resistenza. Sperando sempre nell'arrivo dell'armata di "soccorso" e in obbedienza agli ordini di Hitler, von Paulus respinse la generosa offerta. Il 10 gennaio 1943 le truppe del fronte del Don passarono quindi all'annientamento del raggruppamento accerchiato.
Superando la forte resistenza del nemico, le truppe del fronte giunsero il 17 gennaio a Voroponovo; il comando sovietico propose di nuovo a von Paulus di arrendersi. Ma anche questa proposta fu respinta.
Le truppe del fronte del Don continuarono gli attacchi e il 25 gennaio le avanguardie sovietiche giunsero a Stalingrado dall'ovest. Alla sera del 26 gennaio le truppe della XXI armata si congiunsero nella zona della collina di Mamai alle truppe della LXII armata, spezzando così in due parti il raggruppamento accerchiato. La combattività del nemico diminuiva ora per ora e molti soldati cominciavano ad arrendersi.
Il 31 gennaio venne spezzata definitivamente la resistenza del gruppo meridionale e il 2 febbraio quella della parte settentrionale dell'armata di von Paulus.
Le truppe del fronte del Don avevano annientato 22 divisioni, facendo prigionieri 91 mila tra soldati e ufficiali con lo stesso maresciallo von Paulus (Hitler lo aveva promosso sul campo sperando così di indurlo a non arrendersi e a sacrificare fino all'ultimo i suoi soldati) e conquistando una ingente quantità di armi e mezzi militari. Nel corso dell'offensiva, durata due mesi e mezzo, vennero sbaragliate complessivamente 5 armate fasciste. Le perdite in uomini delle truppe tedesche e alleate superarono, dal 19 novembre 1942 al 2 febbraio 1943, gli 800 mila uomini. Nello stesso periodo l'armata rossa distrusse o catturò 2.000 carri armati e cannoni semoventi, oltre 10 mila cannoni e mortai, 2.000 aerei da combattimento e da trasporto, oltre 70 mila automezzi.
L'OFFENSIVA GENERALE DELL'ARMATA ROSSA NELL'INVERNO 1942-1943
La vittoria sul Volga mutò decisamente la situazione strategica sull'intero fronte sovietico-tedesco e innanzitutto nel suo settore meridionale. Il comando supremo sovietico decise, facendo entrare in azione nuove forze, di allargare il fronte dell'offensiva strategica. Lo sviluppo della controffensiva in offensiva generale iniziò ancor prima del completo annientamento del raggruppamento tedesco circondato sul Volga. Complessivamente, per l'offensiva generale della campagna invernale 1942-1943, venne utilizzato oltre il 70% di tutte le forze e dei mezzi dell'esercito sovietico combattente. L'offensiva strategica si sviluppò su un fronte di 3.000 km e per una profondità di 600-700 km.
Ebbe così inizio la cacciata degli occupanti dal territorio sovietico. Lo stato maggiore del comando supremo sovietico approvò il piano dell'offensiva delle truppe dei fronti sud e del Caucaso, con l'obiettivo di circondare e distruggere il raggruppamento tedesco che operava sul fronte caucasico. In base a questo piano, le truppe del fronte sud, al comando del colonnello-generale Eremenko dovevano portarsi nella zona di Rostov e tagliare la via della ritirata al raggruppamento nord-caucasico della Wehrmacht.
L'ala sinistra di questo fronte doveva attaccare verso Tichoreck attraverso le steppe di Salsk, per non consentire la ritirata del nemico verso la penisola di Taman. Le truppe del fronte del Caucaso, al comando del generale d'armata I. Tjulenev, dovevano attaccare con le forze del gruppo del mar Nero verso Krasnodar e più oltre verso Tichoreck, e, unitamente alle truppe del fronte sud, circondare in questa zona il grosso del raggruppamento tedesco nord-caucasico.
Contemporaneamente, venne ordinato al gruppo settentrionale delle truppe del fronte del Caucaso di spingere, avanzando con la propria ala destra attraverso Mozdok in direzione di Armavir, il grosso della I armata corazzata tedesca verso le pendici della catena centrale del Caucaso per poi distruggerlo.
Il 1° gennaio 1943, le truppe del fronte sud passarono all'esecuzione del piano. Quando, dopo aver superato la forte resistenza del nemico, esse giunsero al fiume Manyč, il gruppo di armate tedesche "A" si trovò chiuso in una profonda sacca, e, per non venire isolato, cominciò a ritirarsi velocemente verso Rostov.
Il 3 gennaio, il gruppo settentrionale delle truppe del fronte caucasico iniziò l'inseguimento delle unità in ritirata della I armata corazzata tedesca. Tuttavia il ritmo della sua avanzata era insufficiente. Dopo il gruppo settentrionale, iniziò l'avanzata anche il gruppo del mar Nero che operava nelle difficili condizioni dell'inverno sulle montagne, senza poter contare, a causa del maltempo, sull'appoggio dell'aviazione. In gennaio, superando la resistenza del nemico e i valichi montani, le truppe di questo gruppo liberarono Nalčik, Stavropol, Armavir e numerose altre località.
Un grande aiuto alle truppe diedero i partigiani di Stavropol diretti, dal comitato di partito della regione. I patrioti attaccavano gli hitleriani, distruggevano o si impadronivano dei loro mezzi, dei ponti, dei depositi, delle locomotive, dei vagoni, liberando anche diverse località. Il gruppo settentrionale delle truppe del fronte del Caucaso, al comando del tenente-generale I. I. Maslennikov, entrò in azione il 24 gennaio 1943 sul fronte del Caucaso del nord.
Superando la resistenza del nemico, la impraticabilità dei luoghi e il maltempo, le truppe raggiunsero ai primi di febbraio il mare d'Azov. Nella testa di ponte del Kuban, venne isolata la XVII armata tedesca, che ora poteva mantenere i collegamenti con il grosso delle forze naziste solamente attraverso la Crimea.
Intanto le armate del fronte sud combattevano nei dintorni di Rostov. Una notevole parte del Caucaso settentrionale fu liberata, ma non si riuscì a circondare il raggruppamento nemico nord-caucasico come previsto dal piano. Con l'arrivo, alla fine del gennaio 1943, delle truppe sovietiche nei pressi di Rostov, la resistenza del nemico aumentò. Il comando tedesco compiva sforzi disperati per guadagnare il tempo necessario per il ritiro delle proprie forze dal Caucaso del nord. Combattimenti accaniti si svolsero nella zona della stazione ferroviaria di Bataisk, a 10 km da Rostov, attraverso la quale i tedeschi trasportavano uomini e mezzi.
Si sviluppò anche l'offensiva delle truppe del gruppo del mar Nero. Il 4 febbraio esse giunsero al fiume Kuban e nei pressi di Krasnodar. Per impossessarsi di Novorossijsk e della penisola di Taman, nella notte del 4 febbraio il comando del fronte del Caucaso del nord e della flotta del mar Nero passò ad attuare una grande operazione di sbarco nella zona di Jušnaja Osereika. Tuttavia, accolta dal forte fuoco del nemico e avendo subito forti perdite, una parte delle navi da sbarco fu costretta a ritirarsi, mentre le truppe già sbarcate non riuscirono a mantenere la testa di ponte a causa dell'ineguaglianza delle forze.
Più favorevole fu l'esito dello sbarco delle truppe di rinforzo, al comando del maggiore Z. L. Kunikov, nella zona del villaggio di Stanička e del monte Myšako, nei pressi di Novorossijsk. Questa spedizione composta da 800 uomini della fanteria di marina, rinforzata rapidamente con altri reparti, occupò e tenne saldamente una piccola testa di ponte.
Lo stato maggiore hitleriano, compreso il pericolo che incombeva sul raggruppamento di Novorossijsk, diede ordine di ricacciare a ogni costo in mare i soldati sovietici. Contro le modeste truppe sovietiche furono concentrati gli effettivi di 5 divisioni tedesche.
Tuttavia i loro sforzi cozzarono contro il valore della fanteria da marina sovietica. Ebbe inizio una lotta che doveva durare sette mesi nella testa di ponte di Myšako, che venne denominata "Piccola terra". Per tutto questo periodo non cessarono mai i combattimenti col nemico che impiegava carri armati, artiglieria e aviazione.
I difensori della "Piccola terra" si coprirono di gloria, scrivendo una pagine di autentico eroismo nella storia della grande guerra patriottica. Le truppe del fronte del Caucaso del nord liberarono il 12 febbraio Krasnodar e, affrontando aspri combattimenti, continuarono l'avanzata lungo le rive del Kuban e nel Caucaso occidentale verso la penisola di Taman. Frattanto le truppe del fronte sud attaccarono le linee nemiche davanti a Rostov. Nei pressi della città si sviluppò una accanita battaglia.
Il 14 febbraio, dopo alcuni giorni di aspri combattimenti, Rostov venne liberata. In seguito all'offensiva furono liberate le regioni della Ceceno-Inguscezia, della Ossetia settentrionale, della Cabardino-Balcaria, il territorio di Stavropol, e una gran parte della regione di Rostov e del territorio di Krasnodar. In queste regioni vivevano prima della guerra 10 milioni di persone. Gli invasori tedeschi recarono un enorme danno all'economia della zona, uccisero molte migliaia di cittadini sovietici. Nel solo territorio di Stavropol, si resero responsabili del massacro, di oltre 30 mila civili
Contemporaneamente all'offensiva delle truppe sovietiche del Caucaso del nord vennero lanciate operazioni offensive nelle zone Ostrogožsk-Rossošk, e Voronež-Kastornoje.
Nella seconda metà del gennaio 1943 le truppe del fronte di Voronež, al comando del tenente-generale F. I. Golikov, circondarono e distrussero un forte raggruppamento nemico attestato sul Don tra Voronež e Kantemirovka.
Il colpo principale venne inferto alla II armata ungherese e all'VIII armata italiana, dislocate in questa zona. Nel corso delle operazioni furono completamente distrutte oltre 15 divisioni, mentre 6 divisioni vennero gravemente colpite. Oltre 86 mila tra soldati e ufficiali nemici furono fatti prigionieri.
Le truppe sovietiche avanzarono di 140 km verso il flume Oskol.
Quindi le truppe dell'ala destra del fronte di Voronež e dell'ala sinistra del fronte di Brjansk attaccarono e sconfissero a Kastornoje il raggruppamento nemico della linea Voronež-Kastornoje. Solo pochi gruppetti di soldati riuscirono a sfuggire all'accerchiamento. Durante questa operazione vennero distrutte 11 divisioni nemiche. Le truppe dei fronti di Brjansk e di Voronež liberarono una gran parte delle regioni di Voronež di Kursk, le città di Voronež, Kastornoje, Staryi Oskol e Tim.
In queste due operazioni nel corso superiore del Don il gruppo di armate tedesche "B" subì una dura sconfitta. Perdite assai gravi subirono le armate dei satelliti della Germania (Ungheria e Italia). La II armata ungherese fu di fatto distrutta, avendo perso 135 mila uomini. La stessa sorte toccò all'VIII armata italiana. Avendo perso completamente la capacità combattiva, essa venne ritirata dal fronte sovietico-tedesco. La disfatta delle armate ungherese e italiana produsse una forte impressione in Ungheria e in Italia e contribuì allo sviluppo delle tendenze antifasciste fra la popolazione dei paesi satelliti della Germania.
Sviluppando la loro offensiva le truppe sovietiche occuparono l'8 febbraio Kursk e il 16 febbraio Charkov. Nel frattempo, le truppe del fronte sud-ovest, al comando del colonnellogenerale Vatutin, lanciarono un attacco verso Mariupol, per tagliare la ritirata verso ovest al raggruppamento nemico del bacino del Don.
Il ritiro parziale delle truppe nemiche dal corso inferiore del Don verso Mius e gli spostamenti compiuti dai tedeschi nel bacino del Donec furono erroneamente valutati dal comando dei fronti sud-ovest e di Voronež come l'inizio di una ritirata generale delle truppe fasciste oltre il Dnepr. Lo stato maggiore del comando supremo concordò con questa valutazione. In tal modo, nonostante le truppe di questi fronti si fossero indebolite e avessero urgente bisogno di rinforzi, la loro offensiva venne forzata in tutte le maniere. Dal canto suo il comando nazista progettava una grande controffensiva in questo settore.
Il 13 febbraio il gruppo di armate tedesche "Don" venne trasformato in gruppo di armate "Sud", che fu frettolosamente rafforzato con unità fatte giungere dall'Europa occidentale, dai Balcani, e da altri settori del fronte sovietico-tedesco. A Zaporožje si tenne alla presenza di Hitler una riunione del comando supremo della Wehrmacht. Nella riunione venne approvato il piano della controffensiva, che prevedeva l'attacco alle truppe del fronte sud-ovest, in marcia verso il Dnepr, per respingerle oltre il Don settentrionale. Il piano prevedeva anche l'accerchiamento delle truppe sovietiche nella zona di Charkov, e, dopo la loro sconfitta, la penetrazione nelle retrovie del fronte di Voronež e una avanzata verso Kursk.
Nello stesso tempo dalla zona a sud di Orël doveva iniziare un'offensiva contro le retrovie del fronte centrale sovietico, per circondare le truppe dell'armata rossa concentrate nella zona di Kursk. Alla vigilia delle operazioni il gruppo di armate tedesche "Sud" disponeva di 31 divisioni, 13 delle quali erano corazzate o motorizzate, ossia della metà di tutte le unità mobili operanti sul fronte sovietico-tedesco. Per la verità, le divisioni naziste, specialmente quelle corazzate, erano incomplete in uomini e in mezzi.
La controffensiva contro l'ala destra del fronte sud-ovest ebbe inizio il 19 febbraio. Sotto la pressione delle preponderanti forze nemiche le truppe sovietiche furono costrette a ritirarsi verso il Donec settentrionale. Successivamente le unità tedesche attaccarono le truppe avanzanti dell'ala sinistra del fronte di Voronež. Le truppe sovietiche difesero coraggiosamente ogni palmo di terreno. In queste giornate ricevette il battesimo del fuoco sul fronte di Voronež il battaglione cecoslovacco al comando del colonnello Ludvik Svoboda.
Il 13 marzo i tedeschi occuparono nuovamente Charkov e respinsero le truppe dell'ala sinistra del fronte di Voronež verso Belgorod creando una situazione difficile non solo per questo fronte, ma anche per le retrovie del fronte centrale. Lo stato maggiore del comando supremo sovietico spostò allora verso le zone minacciate le riserve con le quali, verso la fine di marzo, venne arrestata la controffensiva tedesca. Su tutta l'ala meridionale del fronte sovietico-tedesco da Belgorod al mare d'Azov entrambi gli eserciti passarono sulla difensiva.
Il comando tedesco non riuscì a raggiungere i suoi obiettivi, anche se con la sua offensiva era riuscito a rioccupare una parte delle zone nord-orientali e orientali dell'Ucraina. Ma questi successi costarono un prezzo molto alto. Uno degli obiettivi principali raggiunto dalle truppe sovietiche nella campagna invernale 1942-1943 fu l'eliminazione dell'assedio di Leningrado. Lo sfondamento della difesa fortificata del nemico venne realizzato dalle truppe del fronte di Leningrado, al comando del tenente-generale L. A. Govorov e da quelle del fronte di Volchov, al comando del generale d'armata K. A. Merezkov.
Per l'offensiva venne scelto il settore a sud del lago Ladoga, lungo la linea tedesca Schlüsselburg-Sinjavino. Gli attacchi delle truppe dei due fronti furono concertati in modo da prendere i tedeschi tra due fuochi e da consentire il congiungimento dei soldati dell'armata rossa per la via più breve.
Comprendendo l'importanza strategica di questo settore, gli hitleriani vi concentrarono ingenti forze ben addestrate alle azioni in zone forestali-paludose.
Nello spazio di un lungo periodo i tedeschi avevano costruito una serie di potenti fortificazioni difese a scaglioni. L'assalto a queste posizioni era estremamente difficile. Dopo avere completato lunghi e accurati preparativi, le truppe dei fronti di Leningrado e di Volchov passarono all'offensiva il 12 gennaio 1943.
Alla rottura dell'assedio presero parte attiva i marinai della flotta del Baltico (comandati dal viceammiraglio V. Tribuz) e della flottiglia da guerra del lago Ladoga (comandati dal contrammiraglio V. S. Čerokov). Dopo aspri combattimenti le truppe sovietiche ebbero ragione della difesa del nemico e il 18 gennaio si congiunsero nella zona dei sobborghi operai n. 1 e n. 5. L'assedio di Leningrado era rotto. Lungo il litorale meridionale del lago Ladoga si formò un corridoio largo 8-11 km, lungo il quale la città poté ristabilire il collegamento per terra con il resto del paese. In questo corridoio venne costruita in breve tempo una ferrovia che nel febbraio 1943 entrò in funzione. I leningradesi la chiamarono "ferrovia della vittoria".
La rottura dell'assedio rese meno precaria la situazione di Leningrado. Per 18 mesi i leningradesi, sopportando privazioni indicibili, erano stati sottoposti a un completo assedio da parte del nemico. Complessivamente, specialmente nel primo inverno dell'assedio, erano morti per fame e per gli attacchi nemici oltre 600 mila abitanti.
Ma i leningradesi resistettero. Per tutto il mondo la difesa di Leningrado divenne il simbolo della volontà del popolo sovietico di vincere il nemico. Il presidente degli Stati Uniti d'America Roosevelt, nel diploma inviato a Leningrado, scrisse: "A nome del popolo degli Stati Uniti d'America consegno questo diploma alla città di Leningrado a ricordo dei suoi valorosi combattenti e dei suoi fedeli abitanti, uomini, donne e bambini, che isolati dalla restante parte del loro popolo e nonostante i continui bombardamenti e le indicibili sofferenze provocate da fame, freddo e malattie, hanno difeso con successo la loro cara città nel periodo critico dall'8 settembre 1941 al 18 gennaio 1943, assurgendo così a simbolo dello spirito invincibile dei popoli dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e di tutti i popoli del mondo che si oppongono alle forze dell'aggressione". Le gesta degli eroici difensori della città di Lenin sono rimaste impresse per sempre nella memoria dei popoli del mondo.
Nel febbraio e nel marzo 1943 nei settori centrale e nord-occidentale del fronte vennero compiute operazioni offensive per la liquidazione di due avamposti del nemico, profondamente incuneati nel dispositivo delle truppe sovietiche. Il 15 febbraio 1943 le truppe del fronte nord-ovest al comando del maresciallo Timošenko e la III armata d'assalto del fronte di Kalinin iniziarono l'offensiva contro le unità della XVI armata tedesca, attestata nella "sacca di Demjansk", senza però riuscire a circondare e distruggere le truppe nemiche. I tedeschi, subendo forti perdite, si sottrassero all'accerchiamento.
Nei combattimenti a nord di Velikije-Luki, il 23 febbraio, nel giorno anniversario della fondazione dell'armata rossa, compì una impresa eroica il giovane comunista diciannovenne Aleksandr Matrossov. Egli ostruì con il suo corpo una feritoia da mitraglia di un fortino nemico e immolando la propria vita garantì il successo del suo plotone. Il nome di Aleksandr Matrossov, eroe dell'Unione Sovietica, è iscritto per sempre nell'albo d'onore del 254° reggimento di fanteria della guardia, che porta il suo nome.
Le truppe dei fronti ovest e di Kalinin svilupparono in marzo un'offensiva verso Ržev-Vjazma. Sotto gli attacchi delle truppe sovietiche e paventando la minaccia di accerchiamento, il nemico fu costretto a retrocedere. La linea del fronte venne così non solo allontanata di altri 130-160 km da Mosca verso occidente, ma anche raccorciata.
L'IMPORTANZA POLITICO-MILITARE E INTERNAZIONALE DELLE VITTORIE DELL'ARMATA ROSSA NELLA CAMPAGNA DELL'INVERNO 1942-1943
Per 4 mesi e mezzo, dalla metà di novembre 1942 alla fine di marzo 1943, si protrasse la campagna invernale, che registro grandissime vittorie dell'armata rossa. Un posto centrale ebbe in questa campagna l'accerchiamento e l'annientamento delle truppe nemiche sul Volga.
Dopo avere sostenuto la pressione delle truppe fasciste nell'estate 1942, l'armata rossa inflisse loro un colpo decisivo. Come era accaduto presso Mosca, nelle condizioni difficili dei combattimenti difensivi, venne preparata una controffensiva delle truppe sovietiche su scala strategica. Tuttavia la situazione nella quale iniziò e si svolse la campagna invernale 1942-1943, si distinse sostanzialmente dalla situazione dell'inverno 1941-1942. Sotto Mosca la sconfitta delle truppe tedesche fu ottenuta in una congiuntura in cui le risorse economiche e militari del paese erano ben lungi dall'essere completamente utilizzate, mentre le retrovie si trovavano in una situazione estremamente difficile.
L'armata rossa, avendo subito enormi perdite in uomini e mezzi nell'estate 1941, non poteva ancora assicurarsi una decisa superiorità sul nemico e lanciò la controffensiva disponendo di forze e mezzi assai limitati. Questa fu una delle cause principali per cui la battaglia davanti a Mosca non riuscì a realizzare l'accerchiamento e la distruzione di grandi forze nemiche.
Nell'autunno 1942 la situazione era diversa. Nel paese era già in funzione una economia bellica organizzata e in grado, nonostante le grandi perdite dell'estate 1942, di rifornire l'esercito della quantità necessaria di mezzi e armamenti. La solidità delle retrovie, la rapida ed energica mobilitazione dell'intera economia per le esigenze della guerra, il lavoro del popolo, diretto dal partito comunista, furono la premessa che assicurò all'armata rossa la possibilità di passare alla controffensiva.
Le forze armate sovietiche, temprate nelle precedenti battaglie, dotate di esperienza e di grandi capacità combattive, potevano ora affrontare e risolvere compiti offensivi su scala strategica. Non cause occasionali, ma la solidità del regime socialista, la consapevolezza del dovere da parte di tutto il popolo e il suo elevato patriottismo, permisero all'Unione Sovietica non solo di resistere nella dura lotta, ma anche di capovolgere il corso di tutta la guerra mondiale a favore della coalizione antifascista.
La vittoria delle armi sovietiche sul Volga fu il frutto degli sforzi eroici dell'intero popolo sovietico, delle sue realizzazioni sul fronte militare ed economico. Questa vittoria alzò il morale dei cittadini sovietici, i quali videro che il loro sangue e il loro lavoro non erano stati vani. Essa diede nuove forze a coloro che continuavano a languire sotto il giogo degli invasori fascisti. La disfatta delle armate nemiche sul Volga spezzò la preziosa macchina bellica forgiata dai generali tedeschi per le aggressioni di Hitler.
Il mito della invincibilità dell'esercito tedesco cadde miseramente, mentre l'iniziativa strategica gli veniva tolta per sempre. La vittoria storica sul Volga consentì all'armata rossa di sviluppare un'offensiva generale su larga scala e di iniziare la liberazione del territorio sovietico dagli invasori. Nel corso della campagna invernale le truppe tedesche non solo persero tutto ciò che avevano raggiunto nell'estate 1942, ma furono costrette ad abbandonare una serie di città e di regioni, dove si erano attestate nel 1941.
In certi punti il fronte si spostò verso ovest di 600-700 km. Un enorme territorio di 480 mila chilometri quadrati venne liberato dagli invasori. Le popolazioni delle regioni di Voronež e di Stalingrado, delle repubbliche autonome di Ceceno-Inguscezia, Ossetia settentrionale, Cabardino-Balcaria e dei calmucchi, del territorio di Stavropol, delle regioni autonome dei circassi, dei caraciai e degli adigheti, di quasi tutto il territorio di Krasnodar, delle regioni di Rostov e di Kursk, di notevole parte delle regioni di Vorošilovgrad, Smolensk e Orël riacquistarono la liberta.
Vennero ristabiliti i collegamenti interrotti dal nemico su molte ferrovie e lungo il Volga. Durante la campagna invernale 1942-1943 gli aggressori fascisti subirono colossali perdite. Dall'ottobre 1942 al marzo 1913 oltre 1.300.000 tra soldati e ufficiali furono presi dal nemico come forza combattente. Perdite particolarmente gravi subirono gli eserciti dei satelliti della Germania. La III e la IV armate romene, la II armata ungherese, l'VIII armata italiana cessarono praticamente di esistere. L'armata rossa distrusse o catturò enormi quantità di armi e di mezzi del nemico. Ma non si trattava solo delle perdite umane e materiali subite dalla Germania hitleriana e dai suoi alleati. Le sconfitte fecero cadere il morale dell'esercito e della popolazione dei paesi dell'Asse fascista.
I governanti fascisti furono costretti ad annunciare un lutto di 3 giorni per i caduti a Stalingrado. Per la prima volta dall'inizio della guerra, nei giorni del febbraio 1943, gli abitanti delle città e dei villaggi tedeschi sentirono, invece delle marce della vittoria, il rintocco funebre delle campane delle chiese.
Mutò anche il tono della propaganda tedesca, che cominciò a parlare delle difficoltà e della crisi dell'esercito tedesco in Oriente. Fra i tedeschi si diffuse la "malattia" che il comando germanico chiamava "influenza dell'anima", esprimentesi nello scetticismo a nella crescente sfiducia nella vittoria finale.
La propaganda e il terrorismo non riuscivano più a guarire da questa "malattia". Le sconfitte all'est scossero l'intero blocco fascista. Tra la Germania e i suoi alleati si creò un'atmosfera di reciproca sfiducia, si intensificarono i dissensi che testimoniavano la crisi iniziatasi nel covo delle potenze dell'Asse. Risultò indebolita anche l'influenza della Germania nei paesi neutrali. Il Giappone, che contava di godere dei frutti dei successi militari delle truppe dell'Asse e che attendeva solo il momento propizio per aggredire l'Unione Sovietica, fu costretto a rinunciare alle sue intenzioni.
La vittoria dell'armata rossa sul Volga e la successiva offensive sovietica segnarono l'inizio della svolta radicale non solo nel corso della grande guerra patriottica del popolo sovietico, ma anche di tutta la seconda guerra mondiale. Questo fatto venne riconosciuto in tutto il mondo. Nel diploma inviato ai difensori di Stalingrado, il presidente Roosevelt scrisse che "la loro gloriosa vittoria ha arrestato l'ondata della invasione e ha segnato la svolta della guerra delle nazioni alleate contro l'aggressione".
Sotto l'influenza degli avvenimenti sul fronte sovietico-tedesco si sviluppò con maggior forza la lotta di liberazione dei popoli dell'Europa e dell'Asia contro la tirannide hitleriana.
Grazie alla vittoria delle truppe sovietiche si crearono le condizioni favorevoli per un maggior impegno di tutte le forze della coalizione anti-hitleriana.
Nell'autunno 1942 il blocco fascista schierava sul fronte sovietico-tedesco la maggior parte delle proprie forze armate: 266 divisioni di cui 193 tedesche.
Questo fatto consentiva agli alleati dell'Unione sovietica di iniziare un'offensiva vittoriosa nell'Africa del Nord.
Trascrizione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
In occasione dell'80° anniversario della vittoria dell'Unione Sovietica a Stalingrado sugli invasori nazifascisti
All'inizio dell'inverno 1942-1943 si apriva sulle rive del Volga e del Don una nuova tappa della lotta mortale contro il nazifascismo, entrata nella storia come il periodo della svolta radicale nel corso di tutta la seconda guerra mondiale. Il merito principale della realizzazione di questa svolta a favore della coalizione antifascista appartiene all'Unione Sovietica.
Nelle accanite battaglie del 1942-1943 sul fronte sovietico-tedesco si decisero i destini storici non solo del popolo sovietico, ma dell'intera umanità.
1. La disfatta delle truppe fasciste sul Volga. L'inizio della svolta radicale nella guerra
LA SITUAZIONE ALL'INIZIO DELLA CONTROFFENSIVA DELLE TRUPPE SOVIETICHE SUL FRONTE MERIDIONALE
Nell'autunno 1942 il fronte sovietico-tedesco, a eccezione di alcuni settori, si stabilizzò su tutta la linea dal mare di Barents alle pendici del Caucaso. Tuttavia la situazione continuò a essere estremamente grave per l'Unione Sovietica. Leningrado era assediata, grandi forze nemiche continuavano a operare sulle lontane vie di accesso a Mosca, gli incessanti aspri combattimenti a Stalingrado assorbivano sempre nuove forze, le vie principali di comunicazione con il Caucaso erano interrotte.
Sfavorevole per le forze armate sovietiche era anche la situazione sui mari. La flotta del Baltico era bloccata nella parte orientale del golfo di Finlandia. La flotta del mar Nero, dopo la perdita della penisola di Crimea e di Novorossijsk, era costretta a far capo a porti inadeguati come quelli di Poti, Gelendžik e Tuapse, e ciò ostacolava le sue azioni. In condizioni più favorevoli si trovava la flotta del nord. Rinforzata con navi fatte giungere dall'oceano Pacifico, essa difendeva le comunicazioni settentrionali e prestava un valido aiuto alle truppe terrestri nella difesa del litorale.
Nell'autunno 1942 divenne chiaro che i piani della campagna estiva-autunnale del comando nazista erano falliti. Benché le truppe tedesche e dei loro alleati fossero giunte sul Volga e si trovassero sulle pendici del Caucaso, esse non avevano raggiunto il loro obiettivo principale. L'avanzata dell'estate era costata alla Germania nazista circa un milione di uomini tra uccisi, feriti e prigionieri nonché la perdita di una enorme quantità di mezzi e armamenti.
Il gruppo di armate tedesche "A", avendo incontrato una accanita resistenza da parte delle truppe sovietiche sulle pendici del Caucaso, venne impegnato in lunghi e logoranti combattimenti. Il gruppo di armate "B" dovette disporsi su un fronte ad arco della lunghezza di 1.300 km. Al centro dell'arco, di fronte a Stalingrado, si trovavano la VI armata di von Paulus e la IV armata corazzata di Hoth, che combattevano per la conquista della città. Alle loro ali erano schierate la III e la IV armate romene e la VIII armata italiana, passate alla difensiva. Le truppe satelliti erano più deboli dal punto di vista militare e morale di quelle tedesche.
La situazione delle truppe degli aggressori fascisti che si trovavano sotto Stalingrado e nel Caucaso del nord era aggravata dal fatto che le loro riserve strategiche erano quasi completamente esaurite. Sullo sconfinato fronte orientale, che si estendeva per oltre 6.000 km, vi erano nella riserva del comando centrale delle truppe terrestri tedesche solo tre divisioni corazzate, una divisione di scorta e due brigate di fanteria; nella riserva dei gruppi di armate vi erano otto divisioni e una brigata.
Nell'ottobre 1942 il comando tedesco, considerando compromessa la situazione, prese la decisione di passare alla difensiva. Nell'ordine n. 1 del 14 ottobre 1942 si disponeva: "Dobbiamo affrontare la campagna invernale. Compito del fronte orientale - oltre alle operazioni offensive in corso oppure progettate - è di mantenere a ogni costo le posizioni raggiunte, respingere ogni tentativo del nemico di sfondarle e creare in tal modo i presupposti per continuare la nostra offensiva nel 1943 allo scopo di sconfiggere definitivamente il nostro più pericoloso nemico".
Sulla base di queste disposizioni le forze armate tedesche iniziarono i preparativi per l'inverno. Su tutta la lunghezza del fronte vennero costruite o rafforzate le fortificazioni.
Una particolare attenzione venne rivolta al settore centrale del fronte, dove il comando della Wehrmacht si attendeva azioni offensive dell'armata rossa. Qui vennero concentrati i rinforzi principali a detrimento dei raggruppamenti delle altre zone. All'inizio della campagna invernale, nel gruppo di armate centrale era concentrata circa la metà delle unità corazzate e motorizzate di cui i tedeschi disponevano sul fronte orientale. Lo stato maggiore di Hitler riteneva che l'offensiva dell'armata rossa contro il gruppo di armate centrale sarebbe stata lanciata agli inizi di novembre.
Dal canto suo il comando supremo sovietico, nel perfezionare i piani dell'offensiva invernale, aveva deciso di sferrare il colpo principale nel settore meridionale con le forze del fronte sud-ovest (comandate dal tenente-generale Vatutin), del fronte del Don (comandate dal tenente-generale Rokossovski) e del fronte di Stalingrado (comandate dal colonnello-generale Eremenko) partendo dalla zona di Stalingrado con unica direzione verso il bacino del Don. Per preparare la controffensiva e coordinare le azioni dei fronti vennero inviati nella zona di Stalingrado il generale d'armata Zukov e il colonnellogenerale Vassilevski.
L'opportunità di iniziare l'attacco proprio in questo settore era dettata da un insieme di fattori politici, economici e militari. La disfatta decisiva del nemico nel sud doveva portare al crollo definitivo dei suoi piani che puntavano sull'arrivo delle truppe tedesche nel Caucaso e sull'entrata della Turchia nella guerra contro l'Unione Sovietica. Ottenendo decisivi risultati militari nel sud, si sarebbero liberate le ricchissime zone cerealicole del Don e del Kuban, sarebbero stati creati i presupposti per la liberazione del bacino del Don, e sarebbe stata eliminata la minaccia nemica alle fonti di petrolio del Caucaso e alle vie di comunicazione con gli alleati che attraverso l'Iran giungevano al golfo Persico. Il settore del bacino del Don appariva il punto più vulnerabile nella difesa strategica tedesca.
Con l'arrivo delle truppe sovietiche a Rostov vennero create le condizioni per la sconfitta del gruppo di armate tedesche "A", che operava nel Caucaso settentrionale. La sconfitta del nemico nel territorio tra il Volga e il Don doveva essere solo la prima tappa della campagna invernale. Dopo il successo di questa operazione il comando supremo sovietico calcolava di compiere una serie di operazioni offensive sugli altri fronti. Una particolare importanza veniva data all'eliminazione dell'assedio di Leningrado e alla sconfitta dei raggruppamenti del nemico nelle zone di Demjansk, Ržev-Vjazma, nel corso superiore del Don e nel Caucaso settentrionale.
La prima fase della campagna invernale venne progettata nel modo più completo e accurato. Con gli sforzi congiunti dello stato maggiore del comando supremo, dello stato maggiore generale e del comando dei fronti di Stalingrado, del Don e sud-ovest, venne elaborato un piano che ricevette il nome di "Uranus". Questo piano era fondato su una idea molto ardita: con le forze dei tre fronti circondare e distruggere il grande raggruppamento di truppe fasciste nel territorio tra il Volga e il Don e creare le condizioni per il passaggio delle forze armate sovietiche alla offensiva strategica generale sull'ala meridionale e sugli altri settori del fronte sovietico-tedesco. I raggruppamenti d'assalto del fronte sud-ovest e del fronte di Stalingrado dovevano attaccare convergendo su Kalač e Sovjetskij e serrare poi in questa zona l'anello della sacca in cui dovevano restare le truppe degli aggressori.
La difesa del nemico doveva essere spezzata nei settori più vulnerabili, che erano tenuti dalle truppe romene.
L'inizio dell'offensiva era fissato per i fronti sud-ovest del Don al 19 novembre, per il fronte di Stalingrado al giorno successivo. Per attuare l' "operazione Uranus" occorreva un'enorme attività organizzativa per mettere le truppe in piena efficienza in vista dei combattimenti. Era necessario rafforzare prima di tutto i fronti con uomini, armi, mezzi militari e vettovagliamenti; creare le riserve operative e strategiche; perfezionare la preparazione politico-militare delle truppe; dislocare in segreto i raggruppamenti d'assalto nelle zone di partenza dell'operazione; organizzare il loro coordinamento e la loro direzione. I preparativi erano complicati dal fatto che il trasporto degli uomini e dei mezzi avveniva sotto il continuo bombardamento dall'aria su tre ferrovie a binario unico, fatto che limitava la velocità di afflusso. Una particolare difficoltà nel garantire la segretezza del concentramento delle forze era rappresentata dal carattere prevalentemente stepposo delle zone dove si sarebbe lanciata la prossima offensiva.
Il successo delle operazioni dipendeva in primo luogo dalle azioni delle unità corazzate e meccanizzate. Perciò, alla vigilia dell'offensiva i fronti vennero rafforzati con unità e reparti di carri armati. Complessivamente nei tre fronti erano allineati circa 900 carri armati. Oltre 13.500 cannoni e mortai vennero messi a disposizione dell'artiglieria, il doppio di quanti ne erano stati impiegati nella controffensiva di Mosca. L'aviazione contava più di 1.000 aeroplani.
Alla vigilia dell'offensiva le truppe sovietiche schierate sui tre fronti non potevano contare su una sostanziale superiorità rispetto al nemico. Ma con l'abile dislocazione delle forze e dei mezzi nelle direttrici degli attacchi principali, il comando sovietico riuscì a creare potenti blocchi di truppe. Tutte queste forze e mezzi furono preventivamente schierati sulle posizioni di attacco grazie al lavoro organizzato nelle retrovie.
Sul Volga, da Saratov ad Astrachan, funzionavano ininterrottamente 50 traghetti a vapore. Furono costruiti numerosi ponti di barche. Il concentramento delle forze passò inosservato al nemico: le divisioni in marcia mantenevano il più assoluto silenzio radiofonico, tutti gli ordini venivano dati a voce. Vennero impiegate largamente anche misure per disorientare il nemico. Un grande aiuto offrirono ai comandi militari la popolazione e le organizzazioni del partito comunista della regione di Stalingrado. I lavoratori della regione contribuirono al rifornimento delle truppe con viveri e munizioni. Decine di migliaia di cittadini lavorarono alla costruzione di aeroporti, ponti sui fiumi e strade, aiutarono a trasportare le munizioni e a riparare i mezzi militari. Verso la metà di novembre i preparativi per l' "operazione Uranus" erano stati completati. L'armata rossa era pronta a infliggere il colpo decisivo al nemico.
L'ACCERCHIAMENTO E LA DISFATTA DELLE FORZE TEDESCHE A STALINGRADO
Il 19 novembre, alle 8,50 del mattino, dopo un massiccio bombardamento delle artiglierie, le truppe dei fronti sud-ovest e del Don scattarono all'offensiva.
Una intensa nevicata e la nebbia mattutina impedirono l'intervento dell'aviazione. Dopo avere infranto la resistenza delle truppe romene della III armata, il raggruppamento d'assalto del fronte sud-ovest riuscì ad avanzare alla fine del primo giorno di combattimenti di 30-35 km. Contemporaneamente penetrarono profondamente nel dispositivo difensivo nemico anche le truppe del fronte del Don. Dal mattino del 20 novembre, in condizioni meteorologiche sfavorevoli, passò all'attacco il fronte di Stalingrado. Dopo aver rotto la difesa della IV armata romena a sud della città, le truppe sovietiche si spinsero verso nord-ovest e verso sud-ovest.
Il comando tedesco compì sforzi disperati per arrestare l'offensiva delle truppe sovietiche, ma tutti i tentativi di bloccarla o anche solo di rallentarla fallirono completamente. Le unità mobili dei fronti sud-ovest e di Stalingrado avanzando rapidamente raggiunsero le ali della VI armata tedesca, facendo pesare sul raggruppamento nemico la minaccia dell'accerchiamento.
Il 23 novembre, il 4° corpo corazzato sovietico del fronte sud-ovest al comando del maggiore-generale A. Kravčenko si congiunse come previsto nella zona del villaggio di Sovjetskij con il 4° corpo meccanizzato del fronte di Stalingrado comandato dal maggiore-generale V.T. Volski, realizzando così l'accerchiamento di un grande raggruppamento nemico forte di ben 22 divisioni. Di rincalzo alle unità mobili avanzò la fanteria dei due fronti.
Per non consentire la rottura dell'anello da parte del raggruppamento circondato o il suo sblocco dall'esterno, le truppe sovietiche continuarono l'avanzata per allargare il corridoio stabilito tra le truppe tedesche nella prima fase dell'operazione. Respingendo con successo i contrattacchi del nemico, esse giunsero la sera del 30 novembre sulla linea dei fiumi Čir e Don. Nel frattempo vennero condotte attive azioni anche sul fronte interno dell'accerchiamento. La sera del 30 novembre la superficie occupata dal raggruppamento circondato si era già ridotta di oltre la metà e non superava ormai i 1.500 kmq. Questo settore venne martellato in modo massiccio dal fuoco dell'artiglieria sovietica.
Il 22 novembre, ancor prima che l'accerchiamento fosse completato, il comandante della VI armata tedesca generale von Paulus convocò a Gumrak la riunione dei comandanti dei corpi, i quali giunsero all'unanimità alla conclusione che una lunga lotta difensiva all'interno della gigantesca sacca avrebbe portato alla catastrofe e che per evitarla bisognava spingersi immediatamente con il grosso delle forze verso sud-ovest. Il generale von Paulus chiese a Hitler l'autorizzazione a rompere l'accerchiamento verso sud-ovest, ma ottenne un inflessibile rifiuto accompagnato dalla promessa che sarebbero state prese tutte le misure per garantire il normale rifornimento dell'armata e contemporaneamente liberarla dall'accerchiamento.
Alla fine di novembre e nei primi giorni di dicembre i tedeschi fecero un primo tentativo di liberate le divisioni circondate, lanciando un contrattacco nella zona del fronte sudovest. Ma l'avanzata dei carri tedeschi fu bloccata e respinta.
Nel tentativo di ristabilire la situazione nel sud, il comando tedesco decise di creare in tutta fretta un nuovo gruppo di armate "Don", nel quale furono comprese le truppe che operavano nella grande ansa del Don, insieme al gruppo di armate circondato nella zona di Stalingrado.
A questo gruppo di armate, comandato dal maresciallo von Manstein, venne assegnato il compito di arrestare l'offensiva delle truppe sovietiche e, attaccando dalle zone di Kotelnikovo e Tormosin verso Stalingrado, di raggiungere le truppe circondate, unirsi a esse e ristabilire il precedente fronte di difesa. Il rifornimento del raggruppamento accerchiato sarebbe stato assicurato per via aerea.
Il comando sovietico intuì tempestivamente i piani del nemico e si preparò efficacemente a respingerne i contrattacchi: rafforzò i propri raggruppamenti che operavano sul fronte esterno del "corridoio", organizzò la caccia contro l'aviazione da trasporto nemica. In dicembre vennero distrutti in aria o negli aeroporti oltre 750 aerei da trasporto tedeschi. L'annientamento dell'armata di von Paulus fu affidata al fronte del Don, comandato dal tenente-generale Rokossovski. Lo stato maggiore del comando supremo era rappresentato dal colonnello-generale Voronov. Tuttavia la realizzazione di questo obiettivo dovette essere provvisoriamente rinviato.
Il 12 dicembre dal distretto di Kotelnikovo, lungo la ferrovia Tichoreck-Stalingrado, cominciò ad avanzare il 57° corpo corazzato del gruppo di armate Hoth. Sotto la forte pressione delle preponderanti forze nemiche la LI armata del fronte di Stalingrado, che operava su questa linea, fu costretta a ritirarsi verso nord-est. Tuttavia il 15 dicembre essa riuscì ad arrestare l'avanzata tedesca e nei giorni successivi resistette eroicamente alla pressione del nemico. Il 19 dicembre il gruppo di armate Hoth riprese l'offensiva e il 23 dicembre raggiunse il flume Myškova, a una distanza di circa 40 km dalle truppe della VI armata circondate.
Per respingere l'offensiva nemica venne inviata nella zona di Kotelnikovo la II armata della guardia comandata dal tenente-generale Rodion Malinovski, destinata in precedenza alla liquidazione del raggruppamento nemico circondato. Nelle dure condizioni dell'inverno russo le truppe di Malinovski si spinsero con una marcia forzata di 40-50 km al giorno verso il fiume Myškova, dove il nemico tentava di ampliare la propria testa di ponte. Appena giunta a contatto col nemico la II armata sovietica lo attaccò di slancio senza arrestarsi.
Il 24 dicembre l'armata Malinovski passò all'offensiva con una azione coordinata con una parte delle forze della V armata d'assalto e della LI armata.
Dopo avere infranto la resistenza tedesca, le truppe sovietiche occuparono il 29 dicembre Kotelnikovo. Venne cosi realizzato l'obiettivo di impedire il nuovo tentativo del nemico di sbloccare l'armata di von Paulus, chiusa irrimediabilmente nella sacca di Stalingrado, che ora appariva condannata senza scampo alla totale distruzione.
Al successo dell'azione contribuirono le truppe dei fronti di Voronež e di sud-ovest. Il mattino del 16 dicembre, dopo un ora e mezza di fuoco di artiglieria, le truppe dei fronti di Voronež e di sud-ovest sfondarono la difesa del nemico in alcuni punti e la sera del 24 dicembre avevano realizzato un'avanzata di 100-200 chilometri. In otto giorni di duri combattimenti esse inflissero una severa sconfitta all'VIII armata italiana e all'ala sinistra del gruppo di armate "Don", creando così una minaccia di profondo accerchiamento dal nord del grosso delle sue forze.
Il 30 dicembre le truppe sovietiche avanzarono profondamente nelle retrovie del nemico sulla linea Nikolskaja-Ilinka. Nel tentativo di arrestare l'avanzata dei fronti di Voronež e di sud-ovest, il comando tedesco fu costretto a fare affluire frettolosamente 8 divisioni destinate in precedenza allo sblocco delle truppe di von Paulus. Agli inizi del gennaio 1943 la situazione delle truppe chiuse nella sacca peggiorò notevolmente. L'anello dell'accerchiamento si restringeva sempre più. Ai tedeschi mancavano riserve di qualsiasi genere. Le munizioni e il combustibile stavano per finire. I morale delle truppe accerchiate era bassissimo anche se i soldati continuavano a combattere.
Nel tentativo di evitare un inutile spargimento di sangue, l'8 gennaio 1943 il comando sovietico offrì a von Paulus la resa con l'onore delle armi, proponendogli di cessare l'insensata resistenza. Sperando sempre nell'arrivo dell'armata di "soccorso" e in obbedienza agli ordini di Hitler, von Paulus respinse la generosa offerta. Il 10 gennaio 1943 le truppe del fronte del Don passarono quindi all'annientamento del raggruppamento accerchiato.
Superando la forte resistenza del nemico, le truppe del fronte giunsero il 17 gennaio a Voroponovo; il comando sovietico propose di nuovo a von Paulus di arrendersi. Ma anche questa proposta fu respinta.
Le truppe del fronte del Don continuarono gli attacchi e il 25 gennaio le avanguardie sovietiche giunsero a Stalingrado dall'ovest. Alla sera del 26 gennaio le truppe della XXI armata si congiunsero nella zona della collina di Mamai alle truppe della LXII armata, spezzando così in due parti il raggruppamento accerchiato. La combattività del nemico diminuiva ora per ora e molti soldati cominciavano ad arrendersi.
Il 31 gennaio venne spezzata definitivamente la resistenza del gruppo meridionale e il 2 febbraio quella della parte settentrionale dell'armata di von Paulus.
Le truppe del fronte del Don avevano annientato 22 divisioni, facendo prigionieri 91 mila tra soldati e ufficiali con lo stesso maresciallo von Paulus (Hitler lo aveva promosso sul campo sperando così di indurlo a non arrendersi e a sacrificare fino all'ultimo i suoi soldati) e conquistando una ingente quantità di armi e mezzi militari. Nel corso dell'offensiva, durata due mesi e mezzo, vennero sbaragliate complessivamente 5 armate fasciste. Le perdite in uomini delle truppe tedesche e alleate superarono, dal 19 novembre 1942 al 2 febbraio 1943, gli 800 mila uomini. Nello stesso periodo l'armata rossa distrusse o catturò 2.000 carri armati e cannoni semoventi, oltre 10 mila cannoni e mortai, 2.000 aerei da combattimento e da trasporto, oltre 70 mila automezzi.
L'OFFENSIVA GENERALE DELL'ARMATA ROSSA NELL'INVERNO 1942-1943
La vittoria sul Volga mutò decisamente la situazione strategica sull'intero fronte sovietico-tedesco e innanzitutto nel suo settore meridionale. Il comando supremo sovietico decise, facendo entrare in azione nuove forze, di allargare il fronte dell'offensiva strategica. Lo sviluppo della controffensiva in offensiva generale iniziò ancor prima del completo annientamento del raggruppamento tedesco circondato sul Volga. Complessivamente, per l'offensiva generale della campagna invernale 1942-1943, venne utilizzato oltre il 70% di tutte le forze e dei mezzi dell'esercito sovietico combattente. L'offensiva strategica si sviluppò su un fronte di 3.000 km e per una profondità di 600-700 km.
Ebbe così inizio la cacciata degli occupanti dal territorio sovietico. Lo stato maggiore del comando supremo sovietico approvò il piano dell'offensiva delle truppe dei fronti sud e del Caucaso, con l'obiettivo di circondare e distruggere il raggruppamento tedesco che operava sul fronte caucasico. In base a questo piano, le truppe del fronte sud, al comando del colonnello-generale Eremenko dovevano portarsi nella zona di Rostov e tagliare la via della ritirata al raggruppamento nord-caucasico della Wehrmacht.
L'ala sinistra di questo fronte doveva attaccare verso Tichoreck attraverso le steppe di Salsk, per non consentire la ritirata del nemico verso la penisola di Taman. Le truppe del fronte del Caucaso, al comando del generale d'armata I. Tjulenev, dovevano attaccare con le forze del gruppo del mar Nero verso Krasnodar e più oltre verso Tichoreck, e, unitamente alle truppe del fronte sud, circondare in questa zona il grosso del raggruppamento tedesco nord-caucasico.
Contemporaneamente, venne ordinato al gruppo settentrionale delle truppe del fronte del Caucaso di spingere, avanzando con la propria ala destra attraverso Mozdok in direzione di Armavir, il grosso della I armata corazzata tedesca verso le pendici della catena centrale del Caucaso per poi distruggerlo.
Il 1° gennaio 1943, le truppe del fronte sud passarono all'esecuzione del piano. Quando, dopo aver superato la forte resistenza del nemico, esse giunsero al fiume Manyč, il gruppo di armate tedesche "A" si trovò chiuso in una profonda sacca, e, per non venire isolato, cominciò a ritirarsi velocemente verso Rostov.
Il 3 gennaio, il gruppo settentrionale delle truppe del fronte caucasico iniziò l'inseguimento delle unità in ritirata della I armata corazzata tedesca. Tuttavia il ritmo della sua avanzata era insufficiente. Dopo il gruppo settentrionale, iniziò l'avanzata anche il gruppo del mar Nero che operava nelle difficili condizioni dell'inverno sulle montagne, senza poter contare, a causa del maltempo, sull'appoggio dell'aviazione. In gennaio, superando la resistenza del nemico e i valichi montani, le truppe di questo gruppo liberarono Nalčik, Stavropol, Armavir e numerose altre località.
Un grande aiuto alle truppe diedero i partigiani di Stavropol diretti, dal comitato di partito della regione. I patrioti attaccavano gli hitleriani, distruggevano o si impadronivano dei loro mezzi, dei ponti, dei depositi, delle locomotive, dei vagoni, liberando anche diverse località. Il gruppo settentrionale delle truppe del fronte del Caucaso, al comando del tenente-generale I. I. Maslennikov, entrò in azione il 24 gennaio 1943 sul fronte del Caucaso del nord.
Superando la resistenza del nemico, la impraticabilità dei luoghi e il maltempo, le truppe raggiunsero ai primi di febbraio il mare d'Azov. Nella testa di ponte del Kuban, venne isolata la XVII armata tedesca, che ora poteva mantenere i collegamenti con il grosso delle forze naziste solamente attraverso la Crimea.
Intanto le armate del fronte sud combattevano nei dintorni di Rostov. Una notevole parte del Caucaso settentrionale fu liberata, ma non si riuscì a circondare il raggruppamento nemico nord-caucasico come previsto dal piano. Con l'arrivo, alla fine del gennaio 1943, delle truppe sovietiche nei pressi di Rostov, la resistenza del nemico aumentò. Il comando tedesco compiva sforzi disperati per guadagnare il tempo necessario per il ritiro delle proprie forze dal Caucaso del nord. Combattimenti accaniti si svolsero nella zona della stazione ferroviaria di Bataisk, a 10 km da Rostov, attraverso la quale i tedeschi trasportavano uomini e mezzi.
Si sviluppò anche l'offensiva delle truppe del gruppo del mar Nero. Il 4 febbraio esse giunsero al fiume Kuban e nei pressi di Krasnodar. Per impossessarsi di Novorossijsk e della penisola di Taman, nella notte del 4 febbraio il comando del fronte del Caucaso del nord e della flotta del mar Nero passò ad attuare una grande operazione di sbarco nella zona di Jušnaja Osereika. Tuttavia, accolta dal forte fuoco del nemico e avendo subito forti perdite, una parte delle navi da sbarco fu costretta a ritirarsi, mentre le truppe già sbarcate non riuscirono a mantenere la testa di ponte a causa dell'ineguaglianza delle forze.
Più favorevole fu l'esito dello sbarco delle truppe di rinforzo, al comando del maggiore Z. L. Kunikov, nella zona del villaggio di Stanička e del monte Myšako, nei pressi di Novorossijsk. Questa spedizione composta da 800 uomini della fanteria di marina, rinforzata rapidamente con altri reparti, occupò e tenne saldamente una piccola testa di ponte.
Lo stato maggiore hitleriano, compreso il pericolo che incombeva sul raggruppamento di Novorossijsk, diede ordine di ricacciare a ogni costo in mare i soldati sovietici. Contro le modeste truppe sovietiche furono concentrati gli effettivi di 5 divisioni tedesche.
Tuttavia i loro sforzi cozzarono contro il valore della fanteria da marina sovietica. Ebbe inizio una lotta che doveva durare sette mesi nella testa di ponte di Myšako, che venne denominata "Piccola terra". Per tutto questo periodo non cessarono mai i combattimenti col nemico che impiegava carri armati, artiglieria e aviazione.
I difensori della "Piccola terra" si coprirono di gloria, scrivendo una pagine di autentico eroismo nella storia della grande guerra patriottica. Le truppe del fronte del Caucaso del nord liberarono il 12 febbraio Krasnodar e, affrontando aspri combattimenti, continuarono l'avanzata lungo le rive del Kuban e nel Caucaso occidentale verso la penisola di Taman. Frattanto le truppe del fronte sud attaccarono le linee nemiche davanti a Rostov. Nei pressi della città si sviluppò una accanita battaglia.
Il 14 febbraio, dopo alcuni giorni di aspri combattimenti, Rostov venne liberata. In seguito all'offensiva furono liberate le regioni della Ceceno-Inguscezia, della Ossetia settentrionale, della Cabardino-Balcaria, il territorio di Stavropol, e una gran parte della regione di Rostov e del territorio di Krasnodar. In queste regioni vivevano prima della guerra 10 milioni di persone. Gli invasori tedeschi recarono un enorme danno all'economia della zona, uccisero molte migliaia di cittadini sovietici. Nel solo territorio di Stavropol, si resero responsabili del massacro, di oltre 30 mila civili
Contemporaneamente all'offensiva delle truppe sovietiche del Caucaso del nord vennero lanciate operazioni offensive nelle zone Ostrogožsk-Rossošk, e Voronež-Kastornoje.
Nella seconda metà del gennaio 1943 le truppe del fronte di Voronež, al comando del tenente-generale F. I. Golikov, circondarono e distrussero un forte raggruppamento nemico attestato sul Don tra Voronež e Kantemirovka.
Il colpo principale venne inferto alla II armata ungherese e all'VIII armata italiana, dislocate in questa zona. Nel corso delle operazioni furono completamente distrutte oltre 15 divisioni, mentre 6 divisioni vennero gravemente colpite. Oltre 86 mila tra soldati e ufficiali nemici furono fatti prigionieri.
Le truppe sovietiche avanzarono di 140 km verso il flume Oskol.
Quindi le truppe dell'ala destra del fronte di Voronež e dell'ala sinistra del fronte di Brjansk attaccarono e sconfissero a Kastornoje il raggruppamento nemico della linea Voronež-Kastornoje. Solo pochi gruppetti di soldati riuscirono a sfuggire all'accerchiamento. Durante questa operazione vennero distrutte 11 divisioni nemiche. Le truppe dei fronti di Brjansk e di Voronež liberarono una gran parte delle regioni di Voronež di Kursk, le città di Voronež, Kastornoje, Staryi Oskol e Tim.
In queste due operazioni nel corso superiore del Don il gruppo di armate tedesche "B" subì una dura sconfitta. Perdite assai gravi subirono le armate dei satelliti della Germania (Ungheria e Italia). La II armata ungherese fu di fatto distrutta, avendo perso 135 mila uomini. La stessa sorte toccò all'VIII armata italiana. Avendo perso completamente la capacità combattiva, essa venne ritirata dal fronte sovietico-tedesco. La disfatta delle armate ungherese e italiana produsse una forte impressione in Ungheria e in Italia e contribuì allo sviluppo delle tendenze antifasciste fra la popolazione dei paesi satelliti della Germania.
Sviluppando la loro offensiva le truppe sovietiche occuparono l'8 febbraio Kursk e il 16 febbraio Charkov. Nel frattempo, le truppe del fronte sud-ovest, al comando del colonnellogenerale Vatutin, lanciarono un attacco verso Mariupol, per tagliare la ritirata verso ovest al raggruppamento nemico del bacino del Don.
Il ritiro parziale delle truppe nemiche dal corso inferiore del Don verso Mius e gli spostamenti compiuti dai tedeschi nel bacino del Donec furono erroneamente valutati dal comando dei fronti sud-ovest e di Voronež come l'inizio di una ritirata generale delle truppe fasciste oltre il Dnepr. Lo stato maggiore del comando supremo concordò con questa valutazione. In tal modo, nonostante le truppe di questi fronti si fossero indebolite e avessero urgente bisogno di rinforzi, la loro offensiva venne forzata in tutte le maniere. Dal canto suo il comando nazista progettava una grande controffensiva in questo settore.
Il 13 febbraio il gruppo di armate tedesche "Don" venne trasformato in gruppo di armate "Sud", che fu frettolosamente rafforzato con unità fatte giungere dall'Europa occidentale, dai Balcani, e da altri settori del fronte sovietico-tedesco. A Zaporožje si tenne alla presenza di Hitler una riunione del comando supremo della Wehrmacht. Nella riunione venne approvato il piano della controffensiva, che prevedeva l'attacco alle truppe del fronte sud-ovest, in marcia verso il Dnepr, per respingerle oltre il Don settentrionale. Il piano prevedeva anche l'accerchiamento delle truppe sovietiche nella zona di Charkov, e, dopo la loro sconfitta, la penetrazione nelle retrovie del fronte di Voronež e una avanzata verso Kursk.
Nello stesso tempo dalla zona a sud di Orël doveva iniziare un'offensiva contro le retrovie del fronte centrale sovietico, per circondare le truppe dell'armata rossa concentrate nella zona di Kursk. Alla vigilia delle operazioni il gruppo di armate tedesche "Sud" disponeva di 31 divisioni, 13 delle quali erano corazzate o motorizzate, ossia della metà di tutte le unità mobili operanti sul fronte sovietico-tedesco. Per la verità, le divisioni naziste, specialmente quelle corazzate, erano incomplete in uomini e in mezzi.
La controffensiva contro l'ala destra del fronte sud-ovest ebbe inizio il 19 febbraio. Sotto la pressione delle preponderanti forze nemiche le truppe sovietiche furono costrette a ritirarsi verso il Donec settentrionale. Successivamente le unità tedesche attaccarono le truppe avanzanti dell'ala sinistra del fronte di Voronež. Le truppe sovietiche difesero coraggiosamente ogni palmo di terreno. In queste giornate ricevette il battesimo del fuoco sul fronte di Voronež il battaglione cecoslovacco al comando del colonnello Ludvik Svoboda.
Il 13 marzo i tedeschi occuparono nuovamente Charkov e respinsero le truppe dell'ala sinistra del fronte di Voronež verso Belgorod creando una situazione difficile non solo per questo fronte, ma anche per le retrovie del fronte centrale. Lo stato maggiore del comando supremo sovietico spostò allora verso le zone minacciate le riserve con le quali, verso la fine di marzo, venne arrestata la controffensiva tedesca. Su tutta l'ala meridionale del fronte sovietico-tedesco da Belgorod al mare d'Azov entrambi gli eserciti passarono sulla difensiva.
Il comando tedesco non riuscì a raggiungere i suoi obiettivi, anche se con la sua offensiva era riuscito a rioccupare una parte delle zone nord-orientali e orientali dell'Ucraina. Ma questi successi costarono un prezzo molto alto. Uno degli obiettivi principali raggiunto dalle truppe sovietiche nella campagna invernale 1942-1943 fu l'eliminazione dell'assedio di Leningrado. Lo sfondamento della difesa fortificata del nemico venne realizzato dalle truppe del fronte di Leningrado, al comando del tenente-generale L. A. Govorov e da quelle del fronte di Volchov, al comando del generale d'armata K. A. Merezkov.
Per l'offensiva venne scelto il settore a sud del lago Ladoga, lungo la linea tedesca Schlüsselburg-Sinjavino. Gli attacchi delle truppe dei due fronti furono concertati in modo da prendere i tedeschi tra due fuochi e da consentire il congiungimento dei soldati dell'armata rossa per la via più breve.
Comprendendo l'importanza strategica di questo settore, gli hitleriani vi concentrarono ingenti forze ben addestrate alle azioni in zone forestali-paludose.
Nello spazio di un lungo periodo i tedeschi avevano costruito una serie di potenti fortificazioni difese a scaglioni. L'assalto a queste posizioni era estremamente difficile. Dopo avere completato lunghi e accurati preparativi, le truppe dei fronti di Leningrado e di Volchov passarono all'offensiva il 12 gennaio 1943.
Alla rottura dell'assedio presero parte attiva i marinai della flotta del Baltico (comandati dal viceammiraglio V. Tribuz) e della flottiglia da guerra del lago Ladoga (comandati dal contrammiraglio V. S. Čerokov). Dopo aspri combattimenti le truppe sovietiche ebbero ragione della difesa del nemico e il 18 gennaio si congiunsero nella zona dei sobborghi operai n. 1 e n. 5. L'assedio di Leningrado era rotto. Lungo il litorale meridionale del lago Ladoga si formò un corridoio largo 8-11 km, lungo il quale la città poté ristabilire il collegamento per terra con il resto del paese. In questo corridoio venne costruita in breve tempo una ferrovia che nel febbraio 1943 entrò in funzione. I leningradesi la chiamarono "ferrovia della vittoria".
La rottura dell'assedio rese meno precaria la situazione di Leningrado. Per 18 mesi i leningradesi, sopportando privazioni indicibili, erano stati sottoposti a un completo assedio da parte del nemico. Complessivamente, specialmente nel primo inverno dell'assedio, erano morti per fame e per gli attacchi nemici oltre 600 mila abitanti.
Ma i leningradesi resistettero. Per tutto il mondo la difesa di Leningrado divenne il simbolo della volontà del popolo sovietico di vincere il nemico. Il presidente degli Stati Uniti d'America Roosevelt, nel diploma inviato a Leningrado, scrisse: "A nome del popolo degli Stati Uniti d'America consegno questo diploma alla città di Leningrado a ricordo dei suoi valorosi combattenti e dei suoi fedeli abitanti, uomini, donne e bambini, che isolati dalla restante parte del loro popolo e nonostante i continui bombardamenti e le indicibili sofferenze provocate da fame, freddo e malattie, hanno difeso con successo la loro cara città nel periodo critico dall'8 settembre 1941 al 18 gennaio 1943, assurgendo così a simbolo dello spirito invincibile dei popoli dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e di tutti i popoli del mondo che si oppongono alle forze dell'aggressione". Le gesta degli eroici difensori della città di Lenin sono rimaste impresse per sempre nella memoria dei popoli del mondo.
Nel febbraio e nel marzo 1943 nei settori centrale e nord-occidentale del fronte vennero compiute operazioni offensive per la liquidazione di due avamposti del nemico, profondamente incuneati nel dispositivo delle truppe sovietiche. Il 15 febbraio 1943 le truppe del fronte nord-ovest al comando del maresciallo Timošenko e la III armata d'assalto del fronte di Kalinin iniziarono l'offensiva contro le unità della XVI armata tedesca, attestata nella "sacca di Demjansk", senza però riuscire a circondare e distruggere le truppe nemiche. I tedeschi, subendo forti perdite, si sottrassero all'accerchiamento.
Nei combattimenti a nord di Velikije-Luki, il 23 febbraio, nel giorno anniversario della fondazione dell'armata rossa, compì una impresa eroica il giovane comunista diciannovenne Aleksandr Matrossov. Egli ostruì con il suo corpo una feritoia da mitraglia di un fortino nemico e immolando la propria vita garantì il successo del suo plotone. Il nome di Aleksandr Matrossov, eroe dell'Unione Sovietica, è iscritto per sempre nell'albo d'onore del 254° reggimento di fanteria della guardia, che porta il suo nome.
Le truppe dei fronti ovest e di Kalinin svilupparono in marzo un'offensiva verso Ržev-Vjazma. Sotto gli attacchi delle truppe sovietiche e paventando la minaccia di accerchiamento, il nemico fu costretto a retrocedere. La linea del fronte venne così non solo allontanata di altri 130-160 km da Mosca verso occidente, ma anche raccorciata.
L'IMPORTANZA POLITICO-MILITARE E INTERNAZIONALE DELLE VITTORIE DELL'ARMATA ROSSA NELLA CAMPAGNA DELL'INVERNO 1942-1943
Per 4 mesi e mezzo, dalla metà di novembre 1942 alla fine di marzo 1943, si protrasse la campagna invernale, che registro grandissime vittorie dell'armata rossa. Un posto centrale ebbe in questa campagna l'accerchiamento e l'annientamento delle truppe nemiche sul Volga.
Dopo avere sostenuto la pressione delle truppe fasciste nell'estate 1942, l'armata rossa inflisse loro un colpo decisivo. Come era accaduto presso Mosca, nelle condizioni difficili dei combattimenti difensivi, venne preparata una controffensiva delle truppe sovietiche su scala strategica. Tuttavia la situazione nella quale iniziò e si svolse la campagna invernale 1942-1943, si distinse sostanzialmente dalla situazione dell'inverno 1941-1942. Sotto Mosca la sconfitta delle truppe tedesche fu ottenuta in una congiuntura in cui le risorse economiche e militari del paese erano ben lungi dall'essere completamente utilizzate, mentre le retrovie si trovavano in una situazione estremamente difficile.
L'armata rossa, avendo subito enormi perdite in uomini e mezzi nell'estate 1941, non poteva ancora assicurarsi una decisa superiorità sul nemico e lanciò la controffensiva disponendo di forze e mezzi assai limitati. Questa fu una delle cause principali per cui la battaglia davanti a Mosca non riuscì a realizzare l'accerchiamento e la distruzione di grandi forze nemiche.
Nell'autunno 1942 la situazione era diversa. Nel paese era già in funzione una economia bellica organizzata e in grado, nonostante le grandi perdite dell'estate 1942, di rifornire l'esercito della quantità necessaria di mezzi e armamenti. La solidità delle retrovie, la rapida ed energica mobilitazione dell'intera economia per le esigenze della guerra, il lavoro del popolo, diretto dal partito comunista, furono la premessa che assicurò all'armata rossa la possibilità di passare alla controffensiva.
Le forze armate sovietiche, temprate nelle precedenti battaglie, dotate di esperienza e di grandi capacità combattive, potevano ora affrontare e risolvere compiti offensivi su scala strategica. Non cause occasionali, ma la solidità del regime socialista, la consapevolezza del dovere da parte di tutto il popolo e il suo elevato patriottismo, permisero all'Unione Sovietica non solo di resistere nella dura lotta, ma anche di capovolgere il corso di tutta la guerra mondiale a favore della coalizione antifascista.
La vittoria delle armi sovietiche sul Volga fu il frutto degli sforzi eroici dell'intero popolo sovietico, delle sue realizzazioni sul fronte militare ed economico. Questa vittoria alzò il morale dei cittadini sovietici, i quali videro che il loro sangue e il loro lavoro non erano stati vani. Essa diede nuove forze a coloro che continuavano a languire sotto il giogo degli invasori fascisti. La disfatta delle armate nemiche sul Volga spezzò la preziosa macchina bellica forgiata dai generali tedeschi per le aggressioni di Hitler.
Il mito della invincibilità dell'esercito tedesco cadde miseramente, mentre l'iniziativa strategica gli veniva tolta per sempre. La vittoria storica sul Volga consentì all'armata rossa di sviluppare un'offensiva generale su larga scala e di iniziare la liberazione del territorio sovietico dagli invasori. Nel corso della campagna invernale le truppe tedesche non solo persero tutto ciò che avevano raggiunto nell'estate 1942, ma furono costrette ad abbandonare una serie di città e di regioni, dove si erano attestate nel 1941.
In certi punti il fronte si spostò verso ovest di 600-700 km. Un enorme territorio di 480 mila chilometri quadrati venne liberato dagli invasori. Le popolazioni delle regioni di Voronež e di Stalingrado, delle repubbliche autonome di Ceceno-Inguscezia, Ossetia settentrionale, Cabardino-Balcaria e dei calmucchi, del territorio di Stavropol, delle regioni autonome dei circassi, dei caraciai e degli adigheti, di quasi tutto il territorio di Krasnodar, delle regioni di Rostov e di Kursk, di notevole parte delle regioni di Vorošilovgrad, Smolensk e Orël riacquistarono la liberta.
Vennero ristabiliti i collegamenti interrotti dal nemico su molte ferrovie e lungo il Volga. Durante la campagna invernale 1942-1943 gli aggressori fascisti subirono colossali perdite. Dall'ottobre 1942 al marzo 1913 oltre 1.300.000 tra soldati e ufficiali furono presi dal nemico come forza combattente. Perdite particolarmente gravi subirono gli eserciti dei satelliti della Germania. La III e la IV armate romene, la II armata ungherese, l'VIII armata italiana cessarono praticamente di esistere. L'armata rossa distrusse o catturò enormi quantità di armi e di mezzi del nemico. Ma non si trattava solo delle perdite umane e materiali subite dalla Germania hitleriana e dai suoi alleati. Le sconfitte fecero cadere il morale dell'esercito e della popolazione dei paesi dell'Asse fascista.
I governanti fascisti furono costretti ad annunciare un lutto di 3 giorni per i caduti a Stalingrado. Per la prima volta dall'inizio della guerra, nei giorni del febbraio 1943, gli abitanti delle città e dei villaggi tedeschi sentirono, invece delle marce della vittoria, il rintocco funebre delle campane delle chiese.
Mutò anche il tono della propaganda tedesca, che cominciò a parlare delle difficoltà e della crisi dell'esercito tedesco in Oriente. Fra i tedeschi si diffuse la "malattia" che il comando germanico chiamava "influenza dell'anima", esprimentesi nello scetticismo a nella crescente sfiducia nella vittoria finale.
La propaganda e il terrorismo non riuscivano più a guarire da questa "malattia". Le sconfitte all'est scossero l'intero blocco fascista. Tra la Germania e i suoi alleati si creò un'atmosfera di reciproca sfiducia, si intensificarono i dissensi che testimoniavano la crisi iniziatasi nel covo delle potenze dell'Asse. Risultò indebolita anche l'influenza della Germania nei paesi neutrali. Il Giappone, che contava di godere dei frutti dei successi militari delle truppe dell'Asse e che attendeva solo il momento propizio per aggredire l'Unione Sovietica, fu costretto a rinunciare alle sue intenzioni.
La vittoria dell'armata rossa sul Volga e la successiva offensive sovietica segnarono l'inizio della svolta radicale non solo nel corso della grande guerra patriottica del popolo sovietico, ma anche di tutta la seconda guerra mondiale. Questo fatto venne riconosciuto in tutto il mondo. Nel diploma inviato ai difensori di Stalingrado, il presidente Roosevelt scrisse che "la loro gloriosa vittoria ha arrestato l'ondata della invasione e ha segnato la svolta della guerra delle nazioni alleate contro l'aggressione".
Sotto l'influenza degli avvenimenti sul fronte sovietico-tedesco si sviluppò con maggior forza la lotta di liberazione dei popoli dell'Europa e dell'Asia contro la tirannide hitleriana.
Grazie alla vittoria delle truppe sovietiche si crearono le condizioni favorevoli per un maggior impegno di tutte le forze della coalizione anti-hitleriana.
Nell'autunno 1942 il blocco fascista schierava sul fronte sovietico-tedesco la maggior parte delle proprie forze armate: 266 divisioni di cui 193 tedesche.
Questo fatto consentiva agli alleati dell'Unione sovietica di iniziare un'offensiva vittoriosa nell'Africa del Nord.
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