lunedì 3 ottobre 2022

pc 3 ottobre - Fabbriche e condizione operaia: il caso della Flex di Trieste che minaccia delocalizzazioni e licenzia 120 operai

 

La condizione operaia è peggiorata in questi decenni e, all’interno di quello che nel quadro generale abbiamo chiamato fascismo padronale, una delle forme più diffuse di attacco agli operai è quella della cosiddetta delocalizzazione, che può sembrare un termine neutro, ma che è di tutta sostanza perché consiste nello spostamento della fabbrica in un altro luogo o Paese dove in genere la forza lavoro costa di meno e le agevolazioni statali sono molto significative: innanzi tutto la possibilità di portare via tutti i profitti lasciando nel Paese tutt’al più qualche briciola di “tasse”.

Nel caso della Flex di Trieste, azienda di elettronica e computeristica, con circa 600 lavoratrici e

lavoratori, che già usufruisce di tutti gli aiuti di Stato, tra i quali quelli previsti dal programma Industria 4.0, la delocalizzazione è stata minacciata e poi “ritirata” dopo mesi di trattativa tra le “parti”, sindacati vari e ministero dello sviluppo economico.

L’accordo, secondo notizie di stampa, sarà siglato giovedì 20 ottobre al ministero dello Sviluppo economico e prevede il licenziamento di 72 operai a contratto di somministrazione e 48 uscite volontarie. All’inizio della vertenza i padroni volevano licenziare 200 assunti e 80 interinali, ma alla fine tra minacce e trattative si sono liberati di 120 lavoratori!

È una vertenza che non ha avuto lo stesso “clamore” mediatico, per esempio come quello sviluppato dalla Gkn, perché non è stata gestita direttamente dagli operai, ma dai sindacati che hanno puntato subito alla trattativa secondo la volontà del padrone e alla “risoluzione” in sede ministeriale invece di puntare alla lotta per costringere a ritirare le minacce e i licenziamenti visto che l’azienda non è in crisi! Il padrone ha ottenuto una riduzione degli operai, e bisognerà leggere l’accordo finale per capire quali altri vantaggi ha strappato agli operai… e in più si capisce bene che la promessa di non delocalizzare in Romania è una promessa da marinai…

Se delocalizzare è per ora la parola d’ordine dei padroni, tocca alle operaie e agli operai fare tesoro dell’esperienza, la propria e quella di altre fabbriche, e adottare la propria parola d’ordine, come l’ha espresso l’operaio della Dalmine all’Assemblea Proletaria Anticapitalista di Roma del 17 settembre scorso:

“Dobbiamo unire le fabbriche attraverso l'avanzamento anche della coscienza di classe, dell’unità nella lotta contro l’imperialismo, il capitalismo, lo sfruttamento, la repressione e la guerra. Questa deve essere una battaglia, che come sindacati di classe dobbiamo portare nelle fabbriche per un’unità più generale da costruire.”

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