La condizione operaia è peggiorata in questi decenni e, all’interno
di quello che nel quadro generale abbiamo chiamato fascismo padronale, una
delle forme più diffuse di attacco agli operai è quella della cosiddetta
delocalizzazione, che può sembrare un termine neutro, ma che è di tutta
sostanza perché consiste nello spostamento della fabbrica in un altro luogo o Paese
dove in genere la forza lavoro costa di meno e le agevolazioni statali sono
molto significative: innanzi tutto la possibilità di portare via tutti i
profitti lasciando nel Paese tutt’al più qualche briciola di “tasse”.
Nel caso della Flex di Trieste, azienda di elettronica e computeristica, con circa 600 lavoratrici e
lavoratori, che già usufruisce di tutti gli aiuti di Stato, tra i quali quelli previsti dal programma Industria 4.0, la delocalizzazione è stata minacciata e poi “ritirata” dopo mesi di trattativa tra le “parti”, sindacati vari e ministero dello sviluppo economico.L’accordo, secondo notizie di stampa, sarà siglato giovedì
20 ottobre al ministero dello Sviluppo economico e prevede il licenziamento di 72
operai a contratto di somministrazione e 48 uscite volontarie. All’inizio della
vertenza i padroni volevano licenziare 200 assunti e 80 interinali, ma alla
fine tra minacce e trattative si sono liberati di 120 lavoratori!
È una vertenza che non ha avuto lo stesso “clamore” mediatico,
per esempio come quello sviluppato dalla Gkn, perché non è stata gestita direttamente
dagli operai, ma dai sindacati che hanno puntato subito alla trattativa secondo
la volontà del padrone e alla “risoluzione” in sede ministeriale invece di
puntare alla lotta per costringere a ritirare le minacce e i licenziamenti
visto che l’azienda non è in crisi! Il padrone ha ottenuto una riduzione degli
operai, e bisognerà leggere l’accordo finale per capire quali altri vantaggi ha
strappato agli operai… e in più si capisce bene che la promessa di non delocalizzare
in Romania è una promessa da marinai…
Se delocalizzare è per ora la parola d’ordine dei padroni, tocca
alle operaie e agli operai fare tesoro dell’esperienza, la propria e quella di
altre fabbriche, e adottare la propria parola d’ordine, come l’ha espresso l’operaio
della Dalmine all’Assemblea Proletaria Anticapitalista di Roma del 17 settembre scorso:
“Dobbiamo unire le fabbriche attraverso l'avanzamento anche della coscienza di classe, dell’unità nella lotta contro l’imperialismo, il capitalismo, lo sfruttamento, la repressione e la guerra. Questa deve essere una battaglia, che come sindacati di classe dobbiamo portare nelle fabbriche per un’unità più generale da costruire.”
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