Colpisce indubbiamente il fatto che nel Documento programmatico pluriennale 2021-2023 del Ministero della Difesa italiano che ha il compito di definire le priorità di investimento e sviluppo dell’apparato militare italiano, ci siano alcuni elementi che adeguano esplicitamente quest’ultimo a quelle che abbiamo indicato come “guerre ibride”. La cyberwar innanzitutto e poi il dominio dello spazio come nuove frontiera del controllo militare.
Il documento programmatico della Difesa fa il paio con la direttiva sottoscritta la scorsa settimana dedicata proprio ad orientare la politica industriale della Difesa, i cui contenuti sono ripresi dal DPP “l’industria dell’aerospazio, difesa e sicurezza rappresenta una delle più competitive realtà industriali
italiane. Un patrimonio di conoscenza e occupazione qualificata in cui risiede una parte importante della sovranità dell’Italia, nonché della sua appartenenza alla cerchia dei Paesi tecnologicamente ed economicamente avanzati”.Il dominio spaziale e quello cibernetico sono stati collocati, a questo punto formalmente, in un ambito interforze, con alcune modifiche significative della catena di comando. La Difesa ha annunciato che il Comando Operativo Interforze (quella che ha sede a Roma presso il vecchio aeroporto di Centocelle, ndr) diventa a tutti gli effetti Comando Operativo di Vertice Interforze (Covi), ponendo sotto la sua catena di comando il Comando per le Operazioni in Rete (Cor), il Comando per le Operazioni Spaziali (Cos) e il Comando interforze per le Operazioni delle Forze Speciali (Cofs).
Secondo la newsletter Affari Internazionali, con questo documento la Difesa italiana “si adegua dunque formalmente alla suddivisione dei domini operativi definita dalla Nato tra il 2016 e il 2019, ma ancora più nettamente alle ultime indicazioni strategiche assunte nel 2021 in sede Nato.
La Difesa si impegna a rafforzare la protezione delle proprie reti e sistemi, mentre annuncia che tutti i nuovi sistemi e applicazioni interforze dovranno rispondere sia alle “misure minime di sicurezza” che al concetto di “Security-by-design”. È poi essenziale, secondo il Documento incentivare lo sviluppo e l’adozione di DefenseCloud e Artificial Intelligence.
Il rilievo dato a questi elementi, primo fra tutti il Defense Cloud per il quale sono stati stanziati 90,7 milioni da entro qui al 2035, rientra nella volontà della Difesa di realizzare livelli tali di interconnessione digitale tra le varie forze da permettere ai loro vertici di concepire ogni operazione come joint by design, incrementando così le capacità di comando e controllo interforze e favorendo la superiorità informativa e decisionale.
C’è poi il dominio dello Spazio. Qui la Difesa punta ad acquisire “un apprezzamento adeguato” delle minacce da e verso lo spazio ma anche la capacità di sfruttare le opportunità che esso offre allo strumento militare. In questo contesto rientrano il programma di ammodernamento della capacità Space Situational Awareness/Space Surveillance& Tracking (Sssa/Sst) e l’acquisto di nuovi ricevitori per la costellazione Galileo.
Il “Mediterraneo allargato” come teatro operativo strategico per l’Italia
Il nuovo documento della Difesa indica ormai chiaramente quali siano le
aree geografiche dove la politica militare italiana concentrerà le sue
attenzioni e risorse nei prossimi anni. Si prevedono infatti sforzi
esponenziali in quello che è stato definito come il “Mediterraneo allargato” che include, operativamente, anche il Mar Rosso e il Golfo Persico.
Affari Internazionali segnala però l’assenza nel documento della Difesa italiana dell’area dell’Indo-Pacifico come teatro d’interesse. A occhio appare come una sorta di divisione del lavoro tra le aree di prioritari interessi Usa e quelli europei. Eppure, ricorda Affari Internazionali, il Consiglio dell’Unione europea ha da poco approvato una strategia Ue su questa regione prendendo atto dell’importanza di una presenza navale europea significativa in loco.
Il Documento strategico della Difesa italiana individua poi le priorità e le esigenze operative per i domini tradizionali (cioè aereo, marittimo e terrestre).
Per quello aereo, si prevede il potenziamento delle capacità di sorveglianza e della difesa antiaerea e missilistica. La componente aerospaziale viene inoltre incaricata di “trainare l’incremento delle capacità operative della Difesa nello spazio”.
Per il dominio marittimo, si punta tra l’altro a sviluppare la capacità anfibia, e allo sviluppo ed acquisizione di un nuovo munizionamento di precisione a lunga gittata, insomma una Marina più proiettata a intervenire altrove che a proteggere i confini nazionali.
Infine, per il dominio terrestre il Documento della Difesa si impegna al rinnovamento e ammodernamento delle forze medie e pesanti ma anche allo sviluppo di una capacità di comando e controllo che sia integrabile in un contesto multinazionale e interforze.
Dunque apparati di guerra cibernetica, spaziali e di esplicita proiezione internazionale sui teatri di crisi ritenuti di interesse strategico (il “Mediterraneo allargato” appunto), configurano la Difesa italiana a quelle che ormai sono diventate le “guerre ibride”, guerre guerreggiate nelle quali attraverso strumenti multiformi (incluse campagne mediatiche aggressive e disinformanti, sanzioni economiche etc.) si procurano danni al nemico senza dover ricorrere –se non come estrema soluzione – agli atti bellici veri e propri. Ma qualora questi siano messi in cantiere, occorre continuare ad escludere il ricorso alle armi nucleari, troppo mutuamente distruttive, quanto il disporre di apparati bellici capaci di colpire il territorio ritenuto nemico. Da mare, da terra, da aria ed ora anche dallo spazio.
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