giovedì 14 maggio 2020

pc 14 maggio - 90 arresti per Mafia da Palermo a Milano: le mani sui cantieri navali, sul mercato ortofrutticolo e tutto il quartiere…

Mentre si avvicina il giorno in cui si sciuperanno miliardi di parole come ogni anno sulla lotta alla mafia e sui successi ottenuti in questo campo, la cronaca quotidiana si incarica di smentire tutta la messinscena. Gli arresti di ieri di 90 mafiosi da Milano a Palermo raccontano un’altra verità, quella di oggi!, che poi è quella che in parte ammettono anche gli stessi borghesi e cioè: “Cosa nostra non è un comitato d’affari – ha aggiunto Salvatore De Luca (procuratore di Palermo). È una struttura radicata nel territorio che non può essere sradicata da singole operazioni, seppur imponenti, e che ha nel suo dna l’utilizzo della violenza e della minaccia ma allo stesso tempo la capacità di attuare operazioni avvolgenti per inserirsi nel tessuto economico riuscendo poi ad appropriarsi di imprese ed aziende in difficoltà economiche”. … “Un altro aspetto che, però, in questa indagine non è emerso sufficientemente è l’utilizzo dei colletti bianchi, figure fondamentali per gli affari, che connota la moderna mafia” (Comandante guardia finanza). …“laddove i gruppi mafiosi annoverano insediamenti stabili riescono, con la compiacenza di alcuni professionisti, di segmenti delle istituzioni e di imprenditori indigeni, a investire in realtà aziendali che soffrono i frangenti in cui si manifestano le crisi di liquidità” (giudice Morosini)… il “clan dell’Acquasanta aveva un controllo capillare del territorio – dice nella conferenza stampa il procuratore capo della Dda Lo Voi – Nessuna attività economica sfuggiva al tentativo di condizionamento dei boss che son arrivati persino a controllare i banchetti di vendita dei mercati rionali”…

Dunque, le mani sui cantieri navali con due storiche cooperative, sul mercato ortofrutticolo e sul tutto
il quartiere… mentre il ministro dell’interno Lamorgese, come tutti i ministri del passato, dice che “la lotta alla mafia è una priorità”, e meno male!
Se si ribadisce che “segmenti delle istituzioni e di imprenditori”, e cioè “segmenti” di stato e padroni sono compiacenti e cioè mafiosi, è chiaro che la “lotta alla mafia” dovrebbe occuparsi innanzitutto di tagliare la testa a questi “segmenti”, ma sarebbe come chiedere alla società borghese di togliersi di mezzo da sola.

Riportiamo di seguito l’articolo di Repubblica di oggi sulla presenza della mafia ai Cantieri navali, il quale rivela che ben cinque anni fa un volantino anonimo ben dettagliato: “…nel volantino degli operai c’erano nomi, ditte, c’era la denuncia di fatti specifici: “Ci fanno firmare buste paga fasulle. E Ferrante, pezzo da novanta, ha preso il controllo degli operai”. Ne aveva fatti licenziare due. Altri due li aveva minacciati…”
“Oggi, - continua il quotidiano - Fincantieri richiama in un comunicato la firma di un protocollo di legalità con la prefettura [firmato insieme ai sindacati confederali], “esempio concreto di collaborazione tra pubblico e privato per la prevenzione delle derive criminali”, è scritto in una nota. Ma nessuna segnalazione è mai arrivata in prefettura o in procura sui nuovi vecchi boss dei Cantieri."

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I boss al Cantiere, la lunga storia della fabbrica metafora della città
Le denunce dell'operaio Gioacchino Basile negli anni Ottanta e adesso il volantino di altre tute blu, che ha svelato il ruolo della coop mafiosa
Il giovane maresciallo della polizia valutaria ricorda di aver dovuto abbassare il volume in cuffia perché il boss Giovanni Ferrante urlava: «Guarda cosa hanno combinato al Cantiere - diceva a uno dei suoi picciotti - guarda, hanno fatto i volantini per farmi arrestare. Dicono che comando io, al direttore gli hanno mandato il volantino». Quell'afosa mattina del luglio di cinque anni fa, il maresciallo chiamò subito i suoi colleghi in sala intercettazioni. Chi erano mai quegli operai coraggiosi che avevano denunciato le nuove infiltrazioni di Cosa nostra all'interno dei Cantieri navali? In quello stesso momento, anche l'uomo del clan Fontana, ufficialmente solo un operaio della cooperativa "Spa.ve.sa.na.", voleva saperlo a tutti i costi, per evidenti altre ragioni. Capì subito che quel volantino, seppur anonimo, gli avrebbe causato guai: «C'è troppo movimento, troppo, troppo assai, peggio di quando c'era mio zio». Lo zio Stefano Fontana, autorevole padrino dell'Acquasanta che all'interno dei Cantieri era un'autorità. Alla fine degli anni Ottanta, si era fatto avanti un altro operaio coraggioso per denunciarlo, si chiamava Gioacchino Basile, coraggioso perché restò da solo a parlare delle infiltrazioni dei clan all'interno dai bacini, e per questo venne pure espulso dal sindacato. “Ma adesso è peggio di quando c’era mio zio”, continuava a dire Ferrante. Evidentemente, perché non era più solo una persona a parlare. Ma un gruppo di operai, seppur rimasti nell’anonimato. “Tra di noi c’è tanta paura”, scrivevano. E il volantino lo hanno mandato pure alla Guardia di finanza. Così, è diventato uno spunto straordinario per gli investigatori. L’unica voce coraggiosa arrivata da quella parte di città, dove regnavano i Fontana e Ferrante, loro fedelissimo. L’unica voce che ha svelato dove si continuavano ad annidarsi i complici dei boss all’interno dei Cantieri. Fra alcuni nomi storici dei bacini, che da sempre si aggiudicano i lavori più importanti. Ieri, sono stati arrestati: Roberto Giuffrida, patron della cooperativa “Spa.ve.sa.na”, adesso sequestrata, accusato di associazione mafiosa: ai domiciliari, sono andati invece Giuseppe Scrima, rappresentante della cooperativa “Picchettini” e gli imprenditori Nicolò e Giuseppe Todaro Bruno, fratelli, rispondono di favoreggiamento.
Il passato e il presente che si intrecciano in modo vorticoso dentro i Cantieri. Si intrecciano le lotte di operai, spesso in solitudine, e i ricatti dei mafiosi. Una storia antica, di coraggio, ma anche di indifferenza e complicità, che fa di quel luogo la metafora di un'intera città. Da sempre. Fu un gruppo di coraggiosi, una notte del luglio 1943, a salvare lo stabilimento dalle mine piazzate dai tedeschi. Erano i comunisti Placido Nolfo, Franco Grasso, Ignazio Dell'Aira e Aurelio Attardi. Negli anni Cinquanta, c'era già un Galatolo a imporre la sua legge ai Cantieri, Tano Alati, che però fu ucciso, per un contrasto con altri boss sul controllo del mercato ortofrutticolo. Quella fu l'unica parentesi. I Galatolo e i Fontana hanno continuato a fare affari all'interno dei bacini.
Ora, com'è possibile che dopo tanti anni il clan dell'Acquasanta avesse ancora tanta forza economica? Il volantino che ha incastrato Ferrante racconta: «Le nostre cooperative sono manovrate dalle mani dei Fontana. Controllano ancora tutto il territorio, compreso il cantiere e i nostri presidenti sono in stretto contatto con loro». Ma dopo quel volantino, stampato cinque anni fa, non è successo niente ai Cantieri. Fino a martedì mattina, quando è scattato il blitz del nucleo speciale di polizia valutaria disposto dalla procura. Un lungo silenzio, come era accaduto nel passato, prima di altri blitz. Possibile che nessuno si fosse accorto della presenza asfissiante dei Fontana? Oggi, Fincantieri richiama in un comunicato la firma di un protocollo di legalità con la prefettura, “esempio concreto di collaborazione tra pubblico e privato per la prevenzione delle derive criminali”, è scritto in una nota. Ma nessuna segnalazione è mai arrivata in prefettura o in procura sui nuovi vecchi boss dei Cantieri. Eppure, nel volantino degli operai c’erano nomi, ditte, c’era la denuncia di fatti specifici: “Ci fanno firmare buste paga fasulle. E Ferrante, pezzo da novanta, ha preso il controllo degli operai”. Ne aveva fatti licenziare due. Altri due li aveva minacciati. Chissà, chi sono i coraggiosi del volantino che hanno sfidato la mafia. Ancora una volta, come nel ’43, un gruppo di operai ha salvato il Cantiere.
La Repubblica Palermo
14 maggio ’20

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