Nostalgia del passato o prospettive per l'avvenire?
Adriana Chiaia
gennaio 2013
Riproponiamo, a pochi giorni dalla sua scomparsa, alcuni stralci dell'introduzione di Adriana Chiaia del libro di A. V. TiŠkov, Dzeržinskij il «giacobino proletario» di Lenin. Una vita per il comunismo, Zambon Editore. 2012.
Da anni ci dedichiamo alla battaglia contro la cancellazione della memoria storica del movimento operaio rivoluzionario e la sua sostituzione con una congerie di falsità, volgari o raffinate, a seconda della "platea" di lettori a cui esse sono destinate.
Come i lettori potranno facilmente immaginare, i nostri critici di destra e di "sinistra" ci accusano di rifugiarci nel passato, di continuare a richiamarci alle lotte di classe e alle teorie rivoluzionarie che le hanno interpretate al fine di cambiare i rapporti tra le classi. Ci si accusa, di contro, di non esserci aggiornati, di non esserci sforzati di capire i cambiamenti sopravvenuti nelle dinamiche economiche e sociali del nostro tempo, nelle tecnologie, nei sistemi di informazione, di comunicazione, ecc.
Ai nostri critici rispondiamo: a noi sembra che siate voi a essere rimasti inchiodati al passato.
I nuovi rapporti di forza che non ci sforzeremmo di capire non sono forse ancora quelli della società
del capitale, "globalizzato" - come lo chiamate -, cioè entrato nella fase dell'imperialismo già dalla fine del secolo XIX (ve ne siete accorti?), i rapporti di forza tra le classi non sono ancora quelli tra sfruttatori e sfruttati, quelli basati sullo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo? Per quanto le classi dominanti capitalistiche si sforzino di soffocarle con la repressione o di addormentarle con i palliativi delle riforme, le contraddizioni inconciliabili tra gli oppressi e gli oppressori, tra gli sfruttati e gli sfruttatori permangono e si manifestano in ogni angolo del mondo.
Ammettete che il capitale si scontra ancora una volta con una delle sue crisi economiche generali, ma invece di attribuirne la causa alla natura intrinseca del capitale, cioè alla contraddizione insanabile tra i rapporti di produzione (la proprietà privata dei mezzi di produzione) e il carattere sociale delle forze produttive, l'attribuite ai suoi effetti, al calo della produzione e dei consumi, alle speculazioni del capitale finanziario, alle oscillazioni delle borse, all'andamento capriccioso dei mercati, alle classifiche delle agenzie di rating, nuove divinità apparentemente indipendenti dalla volontà degli uomini, che governerebbero quella che chiamate l'"economia reale", cioè le condizioni di vita di milioni di uomini e donne che si traducono, molto concretamente, in tassi sempre crescenti di disoccupazione e nell'estensione dei livelli di indigenza, se non di miseria di strati sempre più vasti della popolazione.
I rimedi che ci proponete sono anch'essi quelli frusti e abusati: tagli al welfare, alla salute, alle norme sulla sicurezza del lavoro, all'istruzione, alla ricerca scientifica; licenziamenti, precarietà del lavoro, riduzione del potere d'acquisto dei salari e delle pensioni; cancellazione dei diritti acquisiti dai lavoratori in decenni di lotte. In una parola: sacrifici, al grido di "siamo tutti sulla stessa barca" (ma i sacrifici non valgono per chi sta sul ponte di comando). Sacrifici imposti per diktat sempre più dall'alto, che sia il Consiglio europeo (Fiscal compact) o la Banca centrale europea o la Banca mondiale o il Fondo monetario internazionale, sacrifici che ricadono sempre sulle spalle delle classi subalterne al potere "democratico" borghese.
Agitate lo spettro della crisi del '29 per convincerci della necessità della collaborazione di tutte le classi per uscirne ancora una volta e ci promettete, con scadenze sempre più lontane, la ripresa dell'economia. Ma noi, che non abbiamo la memoria corta, ricordiamo come i capitalisti (i briganti imperialisti, per dirla con Lenin) sono usciti dalle precedenti crisi economiche: con la corsa al riarmo, con una sequela ininterrotta di guerre dapprima circoscritte (e molte sono già in atto nei nostri giorni) e infine con il grande massacro di intere popolazioni e la distruzione di beni nei conflitti mondiali. In tal modo, dal sangue e dalle macerie la fase espansiva del capitale può ripartire e procedere ad una nuova spartizione del mondo.
Chi ci vuole dunque respingere nel passato?
Noi invece vi proiettiamo nel futuro.
Nell'ultimo capitolo del libro che presentiamo si ripercorrono le tappe della lotta decisiva sul destino dell'Unione Sovietica. L'URSS sarebbe diventata un paese capace di costruire un'economia socialista basandosi esclusivamente sulle proprie risorse o era destinata a divenire un paese dipendente economicamente e politicamente dal sistema capitalista?
Come si ricorderà, con la scelta della priorità dello sviluppo dell'industria pesante e metallurgica (cioè della produzione dei macchinari necessari per tutti gli altri rami dell'industria e per la meccanizzazione dell'agricoltura) prevalse la prima opzione, sostenuta dalla maggioranza leninista del partito al prezzo di dure lotte contro la "nuova opposizione" - lotte che videro in prima linea Dzeržinskij.
I successi dello sviluppo dell'economia socialista in tutti i suoi rami, dall'industria, all'agricoltura, ai trasporti, e i loro riflessi politici nella società e nella vita culturale del paese, furono al centro del rapporto del Comitato centrale al XVII Congresso del Partito comunista(b) dell'URSS, che si tenne nel gennaio del 1934[1] nel corso del quale venne presentato il bilancio dei risultati del I Piano quinquennale. Rimandando alla lettura dell'intero rapporto, in cui si confrontano dettagliatamente i dati statistici di tutti i settori dell'economia sovietica con quelli corrispondenti dei principali paesi imperialisti, diamo, in rapidi flash alcuni dei risultati raggiunti:
- Il flagello sociale della disoccupazione è scomparso.
- Il salario medio annuo degli operai dell'industria è aumentato nel 1933 del 53,28% rispetto a quello del 1930.
- Si è adottata la giornata lavorativa di 7 ore per tutti gli operai dell'industria di superficie (per l'industria estrattiva vi erano condizioni di lavoro particolarmente favorevoli).
- Si è introdotta in tutta l'URSS l'istruzione primaria obbligatoria (ovviamente gratuita, come sancito dalla Costituzione della Repubblica Sovietica del 1918); la percentuale delle persone che sanno leggere e scrivere è aumentata dal 67% alla fine del 1930 al 90% alla fine del 1933.
- La percentuale degli operai tra gli studenti negli istituti di insegnamento superiore raggiunge il 51,4% e la percentuale dei contadini lavoratori il 16,5%.
Citiamo ancora brevemente alcuni dati relativi al ruolo dirigente assunto dalle donne nelle campagne:
- Le donne presidenti dei kolchoz sono circa 6.000, le donne membri della direzione dei kolchoz superano le 60.000, le donne capo squadra sono 28.000, le organizzatrici dei gruppi di lavoro sono 100.000. 9000 donne sono incaricate di dirigere l'allevamento del bestiame nei kolchoz. 7000 donne sono conduttrici di trattori.
La nota fotografia della ragazza sorridente alla guida di un trattore simboleggia il grande avanzamento sociale e culturale compiuto da quelle donne, ieri contadine analfabete, e la loro emancipazione dalle tradizioni medioevali imposte nelle campagne dai pope, dai kulaki e dalle famiglie patriarcali.
Nel 1934, nello stesso anno del Congresso del PC(b) dell'URSS di cui sopra, tutti i paesi imperialisti europei ed extraeuropei erano attanagliati da una crisi economica e politica generale che durava da quattro anni. Come rimedio alla recessione, i loro governi ricorrevano al protezionismo, scatenavano guerre commerciali e si lanciavano in avventure coloniali. Le classi dominanti, non potendo più governare con i metodi della democrazia borghese, facevano ricorso al fascismo e al terrore per reprimere la ribellione delle classi oppresse e rovinate e imboccavano la via senza uscita che avrebbe precipitato il mondo nei massacri e nelle devastazioni della Seconda guerra mondiale.
Perché, dunque, volete farci retrocedere nel passato?
Dobbiamo ricordarvi che l'Unione Sovietica, malgrado il terribile prezzo pagato (23 milioni di morti), fu in grado di sconfiggere il nazismo? Dobbiamo ricordarvi la bandiera sovietica issata sul Reichstag, simbolo dell'ascesa e della caduta del nazismo? Dobbiamo ricordarvi che il campo socialista nella sua massima estensione comprese un terzo dell'umanità?
Sappiamo bene che i nostri critici di destra e di "sinistra" ci sbatteranno in faccia la fine (definitiva per loro, soltanto temporanea per noi) di quel mondo: la dissoluzione dell'URSS, la scomparsa dei paesi socialisti europei.
Rispondiamo loro che così come la Comune di Parigi, sebbene sconfitta, rappresentò "il punto più alto raggiunto dal proletariato nella lotta per la sua emancipazione" e costituì il punto di partenza delle successive teorie e lotte rivoluzionarie, gli insegnamenti della rivoluzione d'Ottobre, dell'instaurazione del potere sovietico e della costruzione del socialismo costituiscono un prezioso patrimonio di esperienze del quale faranno tesoro, nella teoria e nella prassi, i movimenti rivoluzionari presenti e futuri. Le nuove ondate dell'"assalto al cielo" si dispiegheranno nella crescente consapevolezza che la soluzione del dilemma "socialismo o barbarie" si impone con sempre maggiore perentorietà e urgenza.
[1] J. Staline, Les questions du léninisme "Rapport présenté au XVII Congrès sur l'activité du CC du Parti communiste (b) de l'URSS, 26 Janvier 1934", Editions en langues étrangères, Pekin 1977, p. 683 e segg.
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