giovedì 17 novembre 2016

pc 17 novembre - speciale ANTITRUMP - 2

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TRUMP e REAGAN

Se per il tipo di elettorato la vittoria di Trump sembra avere molte analogie con quella di Reagan – anche allora tutto ciò che era reazionario si raccolse intorno a Reagan – è giusto, come dicono alcuni osservatori, che il paragone con Reagan è più apparente che reale, e questo proprio in uno dei concetti di fondo che invece avrebbe dovuto legarli.

Reagan vince con un voto reazionario ma con un'idea forza costituita dal neoliberismo. 
Il neoliberismo, che è un'espressione abbastanza superficiale, ma su cui non insistiamo, ha caratterizzato la politica americana fino al moderno Obama, anche se quest'ultimo si è presentato come “correttore” del neoliberismo (vedi il fiore all'occhiello della riforma sanitaria “Obama care”); Trump, invece, ha spinto molto sulla tradizione americana, sul restauro e conservazione dei valori, secondo un'ideologia da “onda lunga” che punta a cancellare dalla storia americana tutti gli elementi di contraddizione che l'hanno caratterizzata dal '45 in poi. 
Una reazione ai cambiamenti della società americana che va verso una restaurazione antistorica, ma evocante tutta l'America profonda che, come abbiamo scritto in un altro articolo, in altre elezioni era rappresentata da candidati di estrema destra minoritari.
Per quanto sia abbastanza illusorio che la superpotenza egemonica globale Usa possa, per così dire, fare un grande passo indietro rispetto al ruolo che assume oggi, e per di più poterlo fare in una fase di crisi e di acuta contesa globale in cui si misura con un'altra potenza globale, sia pur indebolita, la Russia, e una nuova potenza globale, la Cina, ecc., non va affatto sottovalutato ciò che queste elezioni hanno rappresentato per i suoi elettori che vogliono davvero un ritorno all'indietro e che hanno vissuto ogni cambiamento come un abbandono dei valori americani e non una loro affermazione; a cui si è aggiunto l'effetto devastante della crisi che, al di là di quello che dice Obama, anche nel cuore degli Usa ha colpito pesantemente.
Questo tipo di situazione, se Trump vuole rispondere all'esigenza dei suoi elettori, non comporta affatto un'accentuazione del neoliberismo ma una spinta fortemente “statalista”, perchè il protezionismo tale è, il fascismo neocorporativo all'americana tale è, il dominio assoluto dello Stato di polizia tale è.

L'ondata rappresentata dal voto a Trump non è la stessa da quella rappresentata da Reagan. E il fronte anti Trump ha e deve avere caratteristiche differenti e soprattutto evitare che finisca sotto l'egemonia dei miliardari globalizzatori e di quelle componenti che nella crisi hanno avuto effetti minori e, di conseguenza si è acutizzato il “divario in seno al popolo”, che ha permesso questa volta che l'estrema destra non fosse un anello debole dello schieramento repubblicano ma l'anello vincente.

Il socialismo è la prospettiva anche negli Stati Uniti. 
Il socialismo non è socialdemocrazia. L'orizzonte Sanders non è la base e l'alleato principale della battaglia proletaria, popolare, rivoluzionaria contro Trump. 

TRUMP/EUROPA-NATO/ESTREMA DESTRA EUROPEA

La vittoria di Trump rappresenta comunque un nuovo scenario nei rapporti Europa Stati Uniti.
La posizione su cui Trump ha vinto le elezioni è di tipo isolazionista, e stando alle logiche conseguenze, dovrebbe esserci una politica economica protezionista, un minor impegno negli interventi imperialisti e un minore impegno anche sul fronte della Nato.
Obama viene da un Vertice Nato in cui in apparenza le cose affermate e decise vanno in direzione opposta – vedi analisi contenuta nello speciale VERTICE NATO proletari comunisti. Di conseguenza le immediate spinte in Europa e nei partner principali di essa vanno in direzione riprendere a parlare di difesa europea per potere comunque garantirsi gli strumenti necessari per proseguire nei loro piani imperialisti, rispetto all'imperialismo russo e rispetto ai focolai di tensione nel mondo.
Ma anche su questo l'apparenza inganna. I cambi politici a questo livello si muovono con tempi lunghi che vanno ben oltre le intenzioni e i programmi di Trump stesso.
Quando Trump dice che vuole una America più forte, intende contro nemici esterni che sono poi nemici interni. E si accentua, quindi, la politica antimmigrazione e la “guerra interna” al cosiddetto “terrorismo” islamico, nella visione molto estesa che Trump e soprattutto il suo bocco elettorale hanno.
Ma naturalmente la superpotenza globale imperialista questa forza  le serve in funzione del suo dominio globale.
Di conseguenza l'idea concreta che l'amministrazione di Trump sia caratterizzato da un isolazionismo e da un minor intervento è abbastanza lontana da poter essere realmente praticata. Così per quanto riguarda la Nato. La Nato è strumento principe e principalmente nelle mani degli Usa per essere lasciata in mani europee e l'imperialismo americano non può realmente permettersi un assist ai piani di difesa europea.
Quindi, a nostro giudizio, le decisioni al Vertice di Varsavia potranno essere adombrate da un polverone ma non certo cambiate radicalmente.

Questo naturalmente non è dire che non cambia nulla.
Trump ha goduto dei favori di Putin che lo ha apertamente sostenuto nella campagna elettorale, con mezzi pubblici e occulti. In primo luogo perchè l'imperialismo russo ha teso ad indebolire la leadership americana in generale; in secondo luogo per la contesa aperta in diversi scacchieri del mondo; in terzo luogo per contrastare i piani guerrafondai definiti al Vertice Nato di Varsavia.
La continua alternanza tra Usa e Russia di fasi di contesa e fasi di collusione, con la presidenza Trump, almeno a parole, si vorrebbe segnata dalla collusione, ma tutto ciò è in contrasto col fronte elettorale che lo ha eletto, che è una sorta di en plein di tutti i falchi repubblicani e non, e che chiaramente non si può assolutamente pensare che siano fautori di una politica dell'accordo con la Russia di Putin
Quello che li unisce davvero è la natura fascio-imperialista di entrambi. 
Su questo la sintonia con Trump è davvero grande, e si sa che nella politica internazionale gli interessi e le scelte generali dipendenti dall'economia e dalla strategia sono però in parte influenzate dai personaggi che interpretano queste esigenze economiche e strategiche.

Ma una nuova collusione non può avere come base la guerra anti Isis perchè questa è già in atto. 
Trump è la risposta alla crisi di egemonia e di ruolo dell'imperialismo Usa. Questo spinge verso i fattori di guerra che determinano comunque i passi effettivi che Trump dovrà fare.

Circa i reali effetti di questa eventuale nuova fase di collusione nei diversi scacchieri e nei rapporti con l'Europa li affronteremo con più dettagli in seguito, quello che invece va segnalato è un altro dato sugli effetti politici delle elezione di Trump.
Trump ha vinto su posizioni fascio-imperialiste e questo ha creato un'immediata esultanza di tutti le forze e i capi di esse dei fasci-imperialisti del mondo, che hanno visto nella vittoria di Trump la loro vittoria e la possibilità che questo vento - legato a tutte le altre questioni da noi analizzate all'interno dei diversi paesi sull'ascesa nella crisi della forze fasciste e reazionarie e sul peso che ha l'ondata migratoria – trasporti anche le loro forze al potere.

Questo da un lato dimostra per l'ennesima volta che tutte le forze di reazione e di fascismo nei paesi imperialisti e capitalisti  europei in particolare hanno come caratteristica di essere servi dell'imperialismo più forte e aggressivo, e pur dipingendosi come nazionalisti e, alcune di esse, sostenitrici dell'ordine europeo caratterizzato dalle nazioni, in realtà sono l'ultima conformazione dei servi dei padroni e dell'imperialismo americano in primis. Un fattore che va usato nella denuncia politica dell'azione concreta di queste forze.
Il voto a Trump inoltre ha molte similitudini con il Brexit-voto in Gran Bretagna, questo si spera che contribuisca ulteriormente ha chiarire che il Brexit significa fascio-imperialismo in Inghilterra come in ogni altro paese in cui si realizzasse una situazione simile.

Ma certamente sul fronte degli effetti nella politica interna reazionaria, antimmigrati, anti donne la vittoria di Trump offre uno scenario globale che alimenta il moderno fascismo, ne consolida la presa e apre in ogni paese un livello più alto di scontro su tutto questo. Però anche su questo insistiamo a non essere superficiali.
L'imperialismo americano nel mondo e soprattutto all'interno e nei confronti dei paesi imperialisti europei ha interesse a mantenere la sua presa globale, secondo i suoi disegni e la sua classe dominante, non si può pensare che sia favorevole all'affermarsi in ogni paese delle forze fasciste. Quindi, i fascisti di vario genere, o fascio-populisti che siano, che sono corsi alla greppia della vittoria di Trump, potranno usare ad uso interno questo, ma si illudono che questo dia vita ad un rapporto privilegiato con gli imperialisti USA

Inoltre meno che mai bisogna caratterizzare la situazione mondiale con un fascio-imperialismo rappresentato da Trump con tutti i suoi alleati in ogni paese e un fronte democratico progressista che raccoglie gli altri paesi del mondo. 
Non siamo alla seconda guerra mondiale. 
Primo, perchè la Russia è un paese imperialista, e i paesi e i governi europei non sono paesi democratici e il moderno fascismo caratterizza già i governi attuali in Europa, da Renzi ad Hollande, dall'Inghilterra a tutti i governi dei paesi dell'Est, ecc. 
Secondo, perchè Putin resta in Europa un amico delle forze fasciste, i cui leader professano quotidianamente apertura, fedeltà e perfino ammirazione verso l'imperialismo russo. Questo imperialismo finanzia in parte le forze di destra e l'unica forza di destra che combatte è quella ai propri confini, per i propri interessi imperiali, rappresentata dai nazisti ucraini; per il resto la politica imperialista russa è volta a cavalcare tutte le spinte fascio imperialiste nel mondo, purchè siano contro l'imperialismo avversario e purchè permettano all'imperialismo russo di mantenere il suo ruolo.
Questo spiega perchè non c'è nessuna possibilità di uno scenario attuale da “seconda guerra mondiale”. E questo deve servire da orientamento e guida nell'azione, nella lotta globale necessaria contro il fascio-imperialismo di Trump, nella lotta all'interno dei paesi imperialisti contro l'avanzare e l'affermarsi del moderno fascismo, nello sviluppo delle lotte di liberazione e delle guerre popolari in tutti i paesi oppressi dall'imperialismo.

TRUMP e ISRAELE

La vittoria di Trump ha effetti immediati in Israele. 
Trump per fini elettorali che  in parte contraddice il suo credo e quello di molte delle componenti che lo sostengono, si è molto esposto nel sostegno ad Israele e all'azione e ai piani nazi/sionisti del suo governo attuale, e questo non fa che incentivare l'azione aggressiva dello Stato sionista nei confronti del popolo palestinese e la sua azione guerrafondaria di gendarme dell'area nei confronti di tutte le masse arabe.
Recentemente lo Stato sionista aveva avuto notevoli contrasti con l'amministrazione Obama che, pur non avendo mai lesinato il suo appoggio, per ragioni di immagine e di alleanza nel mondo arabo e nei disegni dell'aggressione imperialista in corso aveva assunto una posizione più distante dall'azione concreta dello Stato sionista e delle sue truppe.
Ora l'elezione di Trump sembra scatenare il cane rabbioso sionista che si vedrà autorizzato in un'azione ancor più genocida verso le masse palestinesi.
Ciononostante questa è una pietra che può ricadere sui piedi dello Stato sionista e dell'imperialismo Usa.
L'azione del primo non potrà che rilanciare tra tutte le amasse arabe la portata strategica della lotta di liberazione della Palestina, favorendone l'unità a fronte del dispiegarsi della guerra di tutti contro tutti per interposta persona e per conto dei diversi imperialismi che caratterizza l'attuale situazione in tutto lo scenario medio orientale e di tutto il mondo arabo. 
Più l'azione dello Stato sionista sarà coperta dall'imperialismo Usa, più forte sarà la resistenza del popolo palestinese e la resistenza delle masse arabe contro i loro nemici principali.
Questo avviene proprio mentre Israele sta attuando con una politica di alleanze con tutti i regimi reazionari e feudali della zona, all'insegna della comune natura spesso e del comune interesse contro i popoli – basti pensare ai rapporti Israele-Egitto di Al sisi, Israele-Erdogan, Israele e la nuova politica interventista dell'Arabia saudita e, in forme celate, Israele-Isis.
Questi rapporti in un quadro di accentuazione dell'azione dello Stato sionista saranno resi più difficili dallo sviluppo della lotta del popolo palestinese e dal potenziale fronte unito delle masse arabe, che intorno alla questione palestinese ha trovato e può trovare ancora, sia pur in maniera fragile, un'unità di fondo.
Una Israele più aggressiva (se si può usare un tale aggettivo per questo Stato) logora tutte le posizioni intermedie di tutti gli imperialismi, di tutte le forze opportuniste dell'area, circa gli accordi di pace, i “due popoli, due Stati”, compreso la posizione della leadership attuale del popolo palestinese.

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